Col tempo non la senti più (seconda parte-fine?)

Già, la via d’uscita.
Intanto bisognerebbe capire se la via d’uscita è generale, oggettiva, valida per tutti, o individuale e soggettiva.
Sono vere l’una e l’altra cosa, probabilmente.
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Sappiamo che siamo malati da tempo, non da ieri.
Per quei pochi, pochissimi che se ne sono accorti, la malattia è cronica.
La prima caratteristica di questa malattia, è che il malato non sa di averla.
Come fare a curare una malattia, se non sappiamo di averla?
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Woody ha un bel ripetere a Buzz Lightyear che loro sono soltanto giocattoli. Fino a quando Buzz non spiccherà il salto nel vuoto, e non perderà un braccio atterrando malamente, il ranger sarà convinto di essere un vero ranger, che combatte contro il malvagio Zurg. Più avanti Buzz vedrà la propria pubblicità in TV, e si accorgerà con orrore – appunto – di essere soltanto un giocattolo. Il paradosso di Toy Story è quello per cui nessuno dei protagonisti è soltanto un giocattolo, perché in realtà sono uguali, in tutto e per tutto, agli esseri umani. L’unica differenza è che sanno che i loro ruoli sono, infatti, soltanto ruoli, mentre noi non lo sappiamo.
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L’amministratore delegato di una multinazionale, poniamo, è convinto di essere un amministratore delegato, ma in realtà è solo un uomo. Il vero giocattolo, nella vita, è l’amministratore delegato. Almeno Buzz ha capito di non essere un vero ranger, mentre Mario Monti, per citarne uno, crede ancora di essere qualcosa di più, e di diverso, rispetto a un essere umano. Mario Monti dovrebbe guardare sotto la sua scarpa destra, forse vedrebbe scritto col pennarello, con tratto incerto e una enne rovesciata, “Andy”.
Bisogna riscrivere l’intera nostra esistenza, e capire chi siamo veramente.
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Per prima cosa, dunque, dobbiamo comprendere a fondo di essere malati, e preda dell’Orrore, che controlla le nostre vite. Tutto intorno a noi è Orrore, e per combatterlo – sconfiggerlo, infatti, non è possibile - dobbiamo prima riconoscerlo come tale.
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L’Orrore omologa le nostre esistenze, i nostri gesti, i nostri pensieri, i nostri giudizi, i nostri valori. Tutto diventa uguale a tutto. Le nostre vite diventano inesorabilmente vdm, e corriamo dritti spediti verso la morte. Dopo una vita di infelicità e di insoddisfazione profonde, finiamo sotto un metro di terra.
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Fuggire, dunque, fuggire. Non provate a combattere l’Orrore. Non ce la potrete fare. La lotta stessa è Orrore. La competizione, lo sforzo per la vittoria, sono cibo - forse il cibo preferito - di cui si nutre l’Orrore.
La fuga, la grande fuga, è tutto quello che possiamo fare.
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Fuggire dove, fuggire verso dove?
Un uomo deve pur avere una direzione. Un luogo – anche solo metafisico - da raggiungere. Un viaggio da compiere.
Possiamo ripensare alla vita, alla nostra esistenza, come la fuga dall’Orrore.
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Doppiovubi, in questo eloquio che ricorda vagamente, fatte le debite proporzioni, quello di Paul Valery, vi vuol indicare una direzione generica, l’unica via d’uscita, l’unica porta verso la felicità, finché saremo su questa terra.
Amici, fuggiamo insieme verso la Bellezza.
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Dovremmo desiderare, cercare, amare la Bellezza.
La Bellezza è soprattutto nella Natura. Tutto ciò su cui l’uomo non ha ancora messo le mani è Bellezza. L’uomo stesso – considerato come entità biologica – è Bellezza.
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Ma la Bellezza non è soltanto nella Natura. La Bellezza si trova anche in molte opere dell’uomo, l’essere più intelligente del creato. L’arte in tutte le sue forme più elevate. La Bellezza è nella musica, nel canto, nella poesia, nella pittura, nella scultura, nell’architettura. E’ nell’armonia e nelle proporzioni. Nella giusta combinazione delle parole. La Bellezza può trovarsi anche in un oggetto creato dall’uomo, talvolta.
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Il regno dei Cieli è dei bambini.
I bambini, fino a quando sono molto piccoli – poi vengono gradualmente robotizzati -, riconoscono la Bellezza nella Natura e nelle cose. Questa cosiddetta civiltà ci ha invece deprivato di queste innate facoltà, e ora consideriamo “bello” ciò che invece è Orrore.
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La prima liberazione consiste nel discernere il Bello dal brutto, perché ci hanno voluto insegnare che cosa è da apprezzare e da inseguire, e noi abbiamo obbedito, da bravi bambini. Alla costante ricerca dell’apprezzamento altrui, per sopperire a quella carezza che aspettavamo – che stiamo ancora aspettando - e che la nostra mamma non ci ha mai dato, consideriamo bello ciò che invece bello non è, e così circondiamo le nostre vite di Orrore, e ne siamo prigionieri inconsapevoli.
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Qualche settimana fa Doppiovubi si trovava imbrigliato in uno di quei giorni in cui proprio non ce la fai a sopportare l’Orrore, e soprattutto non sopporti che gli altri non se ne accorgano, e vivono come se niente fosse, come se tutto fosse normale, mentre invece è tutto sbagliato.
E in quel giorno Doppiovubi ha letto qualche pagina di un romanzo davvero bello, e la sua bellezza era proprio nel descrivere l’assenza di Bellezza che è intorno a noi, e per qualche minuto Doppiovubi è stato bene. Il semplice contatto con la Bellezza, anzi, con la consapevolezza della Bellezza, nemmeno, con la consapevolezza dell’assenza della Bellezza, quel fugace contatto è stato in grado di sollevare il paziente dal dolore, figuriamoci che miracoli potrebbe fare la Bellezza.
In quel momento Doppiovubi ha capito con nitidezza che la Bellezza è l’unica cura.
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Bellezza anche nei rapporti umani, Bellezza nella verità e genuinità della comunicazione. Senza l’Orrore del risultato, fosse anche il risultato dell’essere felici. Condividere la stessa natura, questa è Bellezza.
I nostri rapporti umani si sono americanizzati. Sono diventati brutti.
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E forse non basta incontrare la Bellezza, passivamente. Forse l’anelito deve essere, per la nostra piena realizzazione, quello di fare Bellezza, creare Bellezza, affinché anche gli altri esseri umani possano guarire, e anche grazie a noi. E in ultima analisi creare rapporti umani belli, se proprio non siamo in grado di comporre il Requiem che ha creato Mozart. C’è speranza per tutti. C’è lavoro per tutti.
C’è molto da fare.
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E frequentare, spesso, il più possibile, il Bello è importante, perché può ispirarci pensieri Belli, e indurci a generare, a creare, a nostra volta, cose belle e rapporti belli, in un circolo virtuoso. E’ difficile che il registro anti-riciclaggio o la guida pratica all’IMU sulla seconda casa possano ispirarci qualcosa di diverso da pensieri e azioni orribili.
L’Orrore è una malattia contagiosa.
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Doppiovubi immagina la delusione dipinta sui vostri volti. Avreste voluto la ricetta pronta per essere felici, la felicità cotta e mangiata in pochi minuti – viviamo nella società del Cotto e Mangiato, nella civiltà del Plug & Play, della pastiglia che ti toglie il mal di testa in due minuti anziché in cinque, dove le soluzioni sono immediate ed efficaci -, e qui vi si parla genericamente di Bellezza, in un post farcito di corsivi, che a loro volta sono il frutto dell’Orrido. Ma ormai senza corsivo, senza enfasi, non riusciamo più a destare l’attenzione dell’altro, perché siamo completamente anestetizzati, e i lettori di Doppiovubi lo perdoneranno per quest’abuso.
La soluzione, si diceva, è anche individuale, non perché la Bellezza sia soggettiva – se dovessimo sostenere il contrario daremmo all’Orrore un lasciapassare all’interno delle nostre vite -, ma perché la via di fuga verso il Bello, l’abbandono dell’Orrore, è necessariamente frutto di un percorso che ogni singolo individuo deve affrontare da sé, e nessun altro lo può fare al posto suo. E questa è la parte difficile, perché abbiamo perso ogni voglia – ci hanno spento il fuoco, da tempo -, e abbandonarsi nella morsa dell’Orrore è molto più facile che non armarsi di una tenue fiaccola e fuggire dalla caverna.
La bellezza è oggettiva. Soggettiva è la via che ciascuno percorre per riconoscerla.
Fuggire dalla caverna buia, appunto. Siamo come i prigionieri nel mito della caverna, descritto da Platone.
*
I nostri valori sono stati avvelenati, siamo robotizzati e automatizzati.
Abbiamo bisogno di fare tabula rasa, tornare bambini, stupirci e ricominciare da capo.
Siamo ancora in tempo.
Doppiovubi è ancora in tempo, forse.
Possiamo ancora dare un senso alle nostre vite.
Siete ancora in tempo, sicuramente.

We are the hollow men
We are the stuffed men
Leaning together
Headpiece filled with straw.



W.B.






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