Come risolvere la crisi economica (4)
Non
che Doppiovubi si sia scordato che era in corso una serie di post con argomenti
di politica dell’economia. Il fatto è che Doppiovubi ormai vi conosce, e sa
perfettamente che alcuni di voi sono interessati a certi temi, e altri sono sollecitati,
e solleticati, da diverse questioni.
Bisogna
accontentare tutti.
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L’IVA,
dicevamo.
L’imposta sul valore aggiunto. Dunque, il valore aggiunto. Prima ancora, il valore.
Che
vi sia davvero un valore, è assai
discutibile.
Prima
o poi qualcuno dovrà avere il coraggio di non versare l’IVA e – dopo aver subìto la conseguente sanzione –
depositare un ricorso fondato sulla solida argomentazione secondo cui la
prestazione non aveva alcun valore, e
tanto meno aggiunto.
Ma
nella nostra SdO (Società dell’Orrore), si dà ormai per scontato che se un bene
passa da un soggetto a un altro, e il secondo soggetto è stato disposto
(teoricamente) a pagare, ci sia (stato) un valore, anche se molto spesso del
valore non si è vista nemmeno l’ombra.
In
realtà, più correttamente, dovremmo parlare di IPA, imposta sul prezzo
aggiunto. Il valore avrebbe anche una certa sua dignità, e il concetto dovrebbe
essere rispettato.
Il
prezzo, al contrario, è lemma tipico
del glossario dell’Orrore.
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Affannatevi
pure a ricercare la ratio, la
ragione, la giustificazione logica e politica dell’esistenza dell’IVA.
Troverete millanta descrizioni dell’imposta, di come funziona, dei suoi
presupposti, ma nessuno potrà spiegarvi il motivo della sua esistenza. L’unico
motivo reale è quello di superficie ed evidente: reperire soldi . Ammantiamo un’operazione che non dovrebbe esistere,
un’imposizione (imposta significa imposta
, non ti ci puoi sottrarre), con tutta una serie di efficaci descrizioni
del suo meccanismo , ma ci asteniamo
accuratamente dallo spiegare al cittadino perché
mai lo Stato si prenda il ventuno
per cento in più, rispetto al prezzo che il cittadino sta pagando. E tenete ben
presente che il prelievo, o, per usare un eufemismo, l’aliquota, nel 1972,
quando fu imposta questa imposta, ammontava al dodici per cento.
Lo
Stato è affamato, molto più di prima.
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Al
tempo di Augusto - 6 d.C. - fu introdotta un’IVA ante litteram, in forma embrionale. Si chiamava centesima rerum venalium, e colpiva gli
scambi commerciali (ma soltanto quelli all'asta) con un'aliquota dell'1%. Roma,
che l’aveva mutuata dagli Egizi, la giustificava per finanziare la guerra, una
specie di tassa di scopo, come diremmo oggi. Tiberio la reputò troppo elevata,
e la portò allo 0,5%, e quindi le cambiarono opportunamente il nome in ducentesima rerum venalium.
Poi
venne un certo signor Caligola, una specie di Berlusconi dell’epoca, che aveva
fatto costruire per il suo cavallo una stalla di marmo e avorio, e regalava
milioni di sesterzi a destra e a manca.
Caligola,
che pure non era proprio centratissimo, abolì la ducentesima rerum venalium.
Nessuno,
da allora, la introdusse più.
Ci
volevano i francesi, nel 1954, a escogitare l’idea brillante dell’IVA.
E
poi, dietro ai francesi, l’Europa, e, dietro l’Europa, ventisette pecorelle, belanti e obbedienti.
Oppure,
ventisette lupi famelici, travestiti da pecorelle.
(4-segue)