Va benissimo anche un biennale
Dicono
che l’allenatore del Milan, il toscano Massimiliano Allegri, sia in procinto di
passare alla Roma. Firmerà un contratto triennale, da tre milioni di euro all’anno,
per un totale di nove milioni di euro, che corrispondono a 17.426.430.000 lire.
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Quasi
tutti i giocatori del Milan sono dalla parte del quarantacinquenne livornese.
Anche Adriano Galliani lo è. Anche la Curva Sud lo è.
Doppiovubi,
non lo è.
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Quando
si parla di un allenatore, se l’allenatore è capace, in genere si può dire che
il gioco della sua squadra sia riconoscibile. Si parla del gioco di Mourinho, si parla del gioco
di Sacchi, si parla del gioco di Guardiola.
Ma se pensiamo al gioco di Allegri,
francamente non viene in mente niente. Piuttosto viene in mente una tela completamente bianca,
mai dipinta. Intonsa.
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Doppiovubi
coglie l’occasione per richiamare alcuni concetti-base del calcio. Ovviamente
il calcio non è la materia di Doppiovubi, Doppiovubi si presenta per la prosodia
e la metrica latina secondo Massimo Lenchatin de Gubernatis. Però qualcosa sul
giuoco del calcio, dopo trentacinque anni di esperienza visiva consapevole, può affermarlo.
Qualcosa
di facile, per tutti.
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Per
segnare un punto nel giuoco del calcio, la palla deve entrare nella porta
avversaria (con qualche eccezione, come ci potrebbe confermare un certo sig. G.
Buffon, ma lasciamo perdere).
La
palla deve entrare nella porta. Non
il giocatore, la palla. Se un
giocatore entra nella porta, non succede niente. Se entra la palla, segni un
punto, altrimenti segni zero (Smokey, segna zero).
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La
palla ha una forma rotonda. Essendo
rotonda, rotola. I giocatori, invece, non hanno forma rotonda (alcuni fanno
eccezione, cfr. A. Cassano). I giocatori non rotolano, la palla sì.
Questo
importantissimo fatto, di natura fisica, ci fa capire che la palla si sposta
con relativa facilità (già gli uomini delle caverne avevano capito che un
oggetto rotondo si muove facilmente) mentre l’uomo, per spostarsi da un luogo A
a un luogo B, si muove sulle sue gambe.
Il processo di muoversi sulle gambe è complesso e faticoso, come qualsiasi bambino di tredici mesi potrebbe confermarvi. Se ti devi spostare, e
sei una palla, non fai fatica (a prescindere dal fatto che la palla non ha un
sistema nervoso e non accumula acido lattico, non si è mai vista una palla stanca, semmai avremo una palla sgonfia, ma stanca non può essere),
mentre se sei un uomo, più ti muovi, più ti stanchi. Inoltre, più ti muovi velocemente, più ti stanchi in fretta, come qualsiasi impiegato ministeriale potrebbe confermarvi.
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Queste
semplici considerazioni di natura fisica e biologica dovrebbero archimedicamente indurci un’idea fulminante. Dato che la palla deve finire nella porta avversaria, è molto più
importante che a muoversi sia la palla (che rotola e non si stanca) piuttosto
che i giocatori (che non rotolano e si stancano).
La
regola numero uno, dunque, è passare la
palla.
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Quando
uno non passa mai la palla, in gergo calcistico si dice che è un “veneziano”
(o, nella forma breve, un venezia).
Pare che il termine derivi dal fatto che in laguna, se non tieni la palla al
piede, ti finisce nel canale, e quindi niente lanci lunghi, per carità.
Quello
che un allenatore dovrebbe spiegare alla sua squadra, il primo giorno, dovrebbe
essere il principio per cui si passa la
palla.
Il
veneziano stanca se stesso, e prima o
poi la palla la perde. Scartare l’uomo – salvo casi eccezionali – è un’azione
inutile e dispendiosa di energia. L'uomo si salta appoggiando la palla a un
compagno, piazzato meglio e possibilmente più vicino alla porta avversaria (si
va avanti, non indietro, come insegna il football
americano).
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Il
rappresentante di calzature Arrigo Sacchi, che ancora nel 1982 allenava le
giovanili del Cesena, aveva già capito questi semplici principi e imponeva ai
suoi calciatori di far viaggiare la palla. Dopo di lui, l’hanno capito in
diversi. Chi l’ha assimilato meglio, si chiama Josep Guardiola, con risultati abbastanza
noti.
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Ci
sono poi dei corollari al principio per cui la palla deve viaggiare. Per
esempio, se un giocatore deve disfarsi della palla, è opportuno che abbia
almeno due compagni in grado di riceverla, altrimenti sarà costretto a
incistarsi, a infognarsi in un dribbling
che, delle due l’una, o si concluderà con successo – e allora il giocatore sarà
più stanco di prima – o si concluderà con insuccesso. Il dribbling nutre l’ego del singolo calciatore, ma danneggia la
squadra.
Pertanto,
quando un giocatore ha la palla, i suoi compagni devono metterlo in condizione
di passargliela con facilità. Per fare questo, devono spostarsi, muoversi in
continuazione, in modo tale da disorientare i giocatori avversari. Ma non si
devono muovere a casaccio - perché altrimenti a essere disorientato sarà il
loro compagno che deve passar la palla - bensì secondo criteri studiati in
allenamento e provati e riprovati. Insomma, bisogna provare, provare, provare (per
un importante modello di natura teorica, cfr. Amanda Sandrelli in Non ci resta che piangere, 1981).
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Ecco,
queste sono le basi, su cui si può costruire un gioco.
Questi
principi, in quello che dovrebbe essere il gioco
di Allegri, non si vedono. Può darsi che lui li insegni, ma se lo fa, lo fa
male, perché non si vedono. Se la tua squadra ha un gioco, anche se i giocatori
non sono dei fenomeni, si vede. Qui la tela è bianca.
Silvio,
se vuoi, Doppiovubi per nove, diecimila euro al mese ci viene lui, sulla
panchina del Milan.
Va
bene anche un contratto biennale.
W.B.