Le Cronache di Doppiovubi Carabiniere (5)
Quando
arrivai a Roma, nella piccola stazione dei carabinieri, c’era qualcosa di
strano. Questa camera, una camera lunga e stretta, aveva quattro letti in fila,
e davanti ad essi un lungo armadio.
Il letto
lasciato libero per me era il terzo. Quella era la camera dei carabinieri
ausiliari (ce n’era un’altra omologa alla fine del corridoio, in tutto gli
ausiliari erano otto), perché i carabinieri di professione vivevano a Roma o
dintorni, ovviamente. Non dormivano lì, andavano a casa.
L’aria
era stantìa. Il luogo era destinato al sonno, e alla vestizione, e basta, anche
perché non c’era spazio per altro. Nell’ultimo letto, quello più vicino alla
finestra, giaceva una figura addormentata. Il luogo era in penombra. Non potevo
accendere la luce, per non svegliarlo (*).
Misi giù
la borsa, cercando di fare poco rumore. Uscii dalla stanza e andai nel
soggiorno, dove c’era la TV - costantemente accesa - qualche seggiola e un
tavolo da biliardo.
Un paio
di carabinieri ausiliari - giunti a Roma ormai da qualche mese, e quindi
padroni della situazione - mi accolsero squadrandomi. Giocavano a biliardo, e
mentre giravano intorno al tavolo, osservando le bocce, mi facevano qualche
domanda.
Doppiovubi
era molto imbarazzato, seduto su una seggiola, non sapeva se parlare, o tacere,
o far finta di guardare la televisione.
“Io se
fossi in te in quel letto non ci andrei.” - alla fine mi disse uno dei due.
L’altro
lo guardò male, come se avesse rivelato qualcosa che non avrebbe dovuto dire.
“Tu non
lo sai chi ci dormiva in quel letto, vero, non te l’hanno ancora detto?”
(segue)
W.B.
(*) I turni erano quattro: 0-6, 6-12, 12-18,
18-24. Se facevi il turno da mezzanotte alle sei, alle sei e un quarto arrivavi
nella tua camera, toglievi al buio e in silenzio la bandoliera e la pistola (quelli
che iniziavano alle 12 dormivano ancora), ti spogliavi e andavi a letto.
Praticamente c’era quasi sempre qualcuno che dormiva, per questo l’aria era viziata.
Solo verso le quattordici, quando si svegliavano anche gli 0-6, la camera era
illuminata - di luce solare - e abitata. Doppiovubi era arrivato alle undici
circa, su un vecchio autobus Cacciamali (che chiamavamo in gergo “cacciamaiali”),
partito nel cuore della notte da Torino. Per un’arcana e burocratica ragione,
alla destinazione non potevi andarci da solo, ma dovevano portartici loro, su
un autobus dell’Arma.