Le Cronache di Doppiovubi Carabiniere (1)
Ovviamente,
prima di intrattenervi sul mito e sulla mitologia, ciò che occuperà qualcosa
come seicento post circa - più o meno tre anni, sino al 2017 -, un breve excursus sulla esperienza militare di
Doppiovubi vi tocca, il che comunque non è del tutto off topic ma ha una carica mitologica non indifferente, perché
Doppiovubi è il vostro Super-Eroe, o almeno crede di esserlo, e lasciategli questa
innocua convinzione.
Era la fine
dell’ottobre 1992. I tre mesi di cosiddetto addestramento erano terminati e il
plotone a cui apparteneva Doppiovubi, un’accozzaglia -la più disparata- di
soggetti improbabili, era riunita in aula per ascoltare il sotto-tenente che
con un foglio in mano – in modo araldico, ma con sadismo – si apprestava a
leggere ad alta voce - a proclamare - le destinazioni. Di lì a poco ciascuno di
noi avrebbe saputo dove avrebbe trascorso i nove mesi di effettivo “servizio”
militare. Una quarantina di giovani carabinieri ausiliari in trepidante attesa
ascoltava in perfetto silenzio. Come si suol dire, non volava una mosca (modo
di dire ampiamente sbagliato, perché la mosca se ne sbatte di rimanere in
silenzio, continua a volare). Diciamo dunque più correttamente che si sentivano
volare le mosche. Ancora più correttamente, essendo a fine ottobre, si
sarebbero potute sentire volare le mosche, se ci fossero state.
Orbene,
nell’aula serpeggiava (mosche, serpenti, cos’altro?) una certa quale agitazione.
Quasi tutti provenivamo dal nord Italia, tranne un paio di marchigiani, tra i
quali uno di Civitanova Marche, un duro che parlava pochissimo, ma quando
parlava sosteneva di essere un campione di arti marziali, e si vantava di poter
fare 600,00 (seicento/00) addominali di fila, disteso per terra supino, tirando su le gambe tese a un
metro di altezza con le mani dietro la nuca, e per due mesi l’abbiamo preso per
il culo per le sue sparate e alla fine si è stufato, si è messo al centro della
camerata e rapidamente li ha fatti tutti e seicento davanti a noi e alla fine
si è rialzato come se nulla fosse, fresco come una rosa, ammesso che le rose
siano fresche. Questo qui lo chiamavamo “Civitanova”. Ciascuno di noi aveva un soprannome.
Io avevo affibbiato quasi tutti i soprannomi. Infatti ero io più o meno il capo
de facto del plotone, più che altro
per anzianità e per le mie trame diplomatiche. Avevo ventiquattro anni, ed ero
l’unico con la laurea. Tutti mi rispettavano. D’altra parte sono un leader naturale. Mi si riconoscono, tra
le altre qualità, mancanza di superbia, e umiltà. L’altro marchigiano era un
tipo davvero strano che…
(segue)