Le Cronache di Doppiovubi Carabiniere (10)
La guardia notturna non
rappresentava un problema in sé. Si trattava di recarsi in un box, un cubo di
due metri e cinquanta per due metri e cinquanta per due metri e cinquanta,
costruito in latta e vetro antiproiettile azzurrato. D’inverno era freddissimo,
diventava una specie di ghiacciaia. Ma all’interno c’era un calorifero mobile a
rotelle, che sparato al massimo della temperatura e avvicinato al corpo umano
contribuiva a non farlo morire lì così. D’estate la garitta quadrata si
trasformava in un forno, e allora c’era poco da fare, se non tenere la porta
aperta e sperare che finisse presto il turno di guardia.
All’interno del box -
oltre alla stufetta, in inverno - c’erano un tavolo, una sedia, una presa di
corrente, un interruttore per la luce (ovviamente, accendeva un neon, di quelli
che ti spaccano gli occhi) e un telefono per comunicare con la stazione dei
carabinieri. In caso di bisogno.
Il pavimento era di
gomma.
Il carabiniere aveva la
facoltà di portare con sé dentro la garitta, per la notte, praticamente quello
che voleva. Radio, libri, giornali, parole crociate. Era il 1992. Immaginatevi,
se appena ci riuscite, un mondo senza telefoni cellulari. Qualcuno di voi, diciamo
quelli nati intorno al 1981 (*), questo mondo non l’ha mai visto né vissuto.
Il box si trovava a
guardia di un Ministero, ma un Ministero che non interessa a nessuno e
praticamente impenetrabile. Una cancellata insormontabile e portoni massicci
ermeticamente chiusi. La guardia era un pro
forma, e anche per questo era consentito portarsi dietro i gadgets più vari per trascorrere il tempo. L’unica
cosa che dovevi fare era quella di esserci,
e di non dormire. Durante la notte, a
sorpresa, sarebbe venuto un sottufficiale a controllare, a sorpresa, se eri
sveglio o no. Il controllo poteva essere alle 00:05, oppure nel cuore della
notte, oppure alle 05:55. Il controllore portava con sé un librone su cui
annotava gli estremi del controllo.
(segue)
W.B.
(*) I cellulari ebbero
un boom intorno al 1998. Prima del
1998 quelli che parlavano per strada al telefono -pur essendo gente indubbiamente ricca- venivano
additati come dei pazzi che parlavano da soli. Ipotizzo qui che un ragazzino,
all’epoca, non maneggiasse un telefono prima dei suoi diciassette, diciotto
anni (oggi si comincia a sei anni a parlarci e a scriverci, molto prima a
maneggiarlo e ad averne dimestichezza come un oggetto normale).