Il quinto secondo



Biglietteria della stazione ferroviaria di Porta Garibaldi, Milano.
Venerdì 11 gennaio, ore 8.20 a.m.
Doppiovubi doveva acquistare un biglietto per il giorno successivo. Doveva anche farsi rimborsare per un ritardo, quindi scelse la biglietteria con l'operatore, anziché l'automatica. Si mise pazientemente in coda.

Gli sportelli aperti erano due. Le persone davanti a Doppiovubi cinque, tra cui due cingalesi che viaggiavano insieme. Non ci sarebbe stato molto da aspettare, pensò Doppiovubi.

Dopo circa tre minuti fu il turno di Doppiovubi. Gli toccò un bigliettaio rugoso con i capelli brizzolati raccolti dietro la nuca in una folta e lunga coda. Aveva uno spiccato accento napoletano.

Il bigliettaio si dimostrò abbastanza efficiente. In due minuti stampò il biglietto, e nell'arco di altri due minuti fece in tempo a spiegare a Doppiovubi che il ritardo di sessantadue minuti non era rimborsabile, a causa di un cavillo del regolamento. Doppiovubi provò svogliatamente a protestare.
Il bigliettaio stampò un cartoncino con la causale del mancato rimborso, e niente di più.

Proprio mentre Doppiovubi si apprestava a riporre il biglietto nel portafogli, sentì un vociare alle sue spalle. Si voltò lentamente e vide che le persone in coda, dietro la linea gialla di rispetto, ce l'avevano proprio con lui. In particolare un uomo dal volto irsuto, di circa quarant'anni, il primo della fila e il capo della piccola sommossa, era agitatissimo.
- Insomma! Sono dieci minuti che è allo sportello! - gridò fissando Doppiovubi con ferocia.
- E' una questione di... civiltà! – aggiunse. La breve pausa era stata dovuta alla scelta delle parole giuste. Il riferimento alla civiltà, evidentemente, gli era piaciuto. Era furibondo.
La seconda della fila - una donna arcigna sui settant'anni - annuiva con forza e convinzione e sentì il bisogno di aggiungere, a rinforzo:
- Qui ci sono persone che per colpa sua stanno perdendo il treno.
Dietro di loro, il resto della coda, seppur silente, mostrava espliciti segni corporali di accordo con i due principali rivoltosi.

Doppiovubi ebbe un lungo momento di stasi e per così dire di sospensione, che durò quattro secondi. Al primo secondo, osservò in cerca di aiuto il bigliettaio napoletano, che, guarda caso, di là dal vetro proprio in quel momento aveva sentito il bisogno impellente di aggiustare le monetine a seconda del loro valore, e quindi aveva lo sguardo intento e chino sulla monetiera.
Doppiovubi poi, durante il secondo successivo, ammiccò all'altro sportello, come per dire Perché accusate soltanto me, visto che gli sportelli sono due. Al terzo secondo, pensò di ribattere, Se devo chiedere un bonus, come faccio a richiederlo alla biglietteria automatica, ma non lo disse. All’ultimo secondo, pensò di aggiungere ancora, Se proprio avete tutta questa fretta, perché non ci andate voi alla biglietteria automatica, ma nemmeno questo disse.
Quei quattro secondi durarono un'eternità.
Durante quella lunga pausa di quattro secondi, la folla dei dissidenti rimase nella fremente attesa della reazione di Doppiovubi, preannunciata da movimenti e gesti inequivocabili.

Al quinto secondo, infine, la reazione di Doppiovubi arrivò – non poteva non arrivare -, e lasciò tutti di stucco, compreso lo stesso Doppiovubi.

Ebbene, Doppiovubi guardò fissamente e virilmente negli occhi l’uomo dalla barba ispida, il capo della improvvisata banda avversaria. Lo guardò fissamente e virilmente, e poi non disse nulla, e non fece nulla.

Doppiovubi non disse nulla e non fece nulla. Infilò con un gesto semplice lo pseudo-bonus nel suo portafogli, e tornò a guardare la nevrotica compagnia, ma la guardò senza alcuna rabbia e senza alcuna compassione. Senza amore, e senza odio. Uno sguardo privo di qualsiasi turbamento. Uno sguardo vergine, come quello di un bambino.
L’ira del brutale gruppo era rimbalzata contro Doppiovubi e si era infranta tutto intorno, dissolvendosi. Uno schermo invisibile e indistruttibile aveva protetto e custodito il Nostro Eroe, il quale si sentì, improvvisamente, dotato di una forza incredibile e straordinaria, sovrumana anche. Egli non provò alcuna superbia per la sua imprevista consapevolezza di potenza, ma solo un indicibile stupore. Meravigliato per l'inattesa scoperta, Doppiovubi osservò il rozzo barbuto abbassare gli occhi e dirigersi mestamente verso lo sportello.  
E Doppiovubi, per quei brevissimi istanti, percepì il riflesso di un’altra dimensione.
Grazie a una semplice inazione, mercé una banale omissione, aveva assaggiato la meraviglia dell’Essere.
La libertà dalla schiavitù del male.

W.B.

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