Il mito della velocità (14)
Quindi, dobbiamo fare molte cose che non vorremmo fare, e le
dobbiamo fare per molto tempo, in proporzione alla nostra giornata. Questi due
elementi (la necessarietà e la durata relativa di queste azioni) sono - quasi
sempre - ineludibili. Se è vero, come è vero, che sono ineludibili, abbiamo
soltanto due alternative.
La prima è quella di desiderare ardentemente e ossessivamente
la fine del “lavoro”, “sognare” continuamente la c.d. “serata” (*), il
fine-settimana, o le “ferie”, i “ponti”, sperare in uno sciopero o in un’assemblea
sindacale, nell’annullamento fortuito degli impegni, o, nella -davvero-
peggiore delle ipotesi, quella che rappresenta l’inizio della fine, “the
beginning of the end”, agognare la pensione.
Questo significa lavorare male, e -conseguentemente, dato
che il lavoro occupa gran parte della nostra vita- vivere male.
La seconda è accettare lo stato di cose, e -preso atto che
dobbiamo lavorare- cercare di vivere l’esperienza lavorativa al meglio; ciò
significa trovare soddisfazione in quanto si fa, e l’unico modo per trovarla
consiste nel realizzare bene il proprio lavoro, cioè, ancora una volta,
svolgerlo perfettamente (**).
Va da sé che svolgere perfettamente il proprio lavoro è
incompatibile con il farlo sbrigativamente e superficialmente (elemento
oggettivo) e con il costante desiderio di concluderlo quanto prima (elemento
soggettivo) per dedicarsi poi a ciò che riteniamo conti davvero. In altre
parole, mentre compiamo il nostro lavoro, il desiderio che ci deve muovere non
è quello di terminarlo appena possibile, bensì soltanto quello di svolgerlo
perfettamente (***).
§ § §
E veniamo alla quarta e ultima eccezione, che mi potrebbero
muovere i sostenitori del detto “l’ottimo è nemico del buono”.
Ho riservato questa eccezione alla fine. E’ la più
difficile. Per confutarla dovremo scomodare addirittura lo Stagirita.
(segue)
W.B.
(*) Nel caso delle madri di bambini molto piccoli, il sonno
puro e semplice.
(**) Nel 2005, venne a casa nostra un fabbro per montare le
maniglie sulle porte nuove. L’artigiano le montò con cura, ma alla fine, pur
sembrandoci il lavoro assolutamente ben fatto, le smontò e rimontò nuovamente,
perché a suo giudizio l’opera non era stata compiuta perfettamente. Lavorò
sempre -per ore- con il sorriso sulle labbra, era soddisfatto e seminava
soddisfazione, e alla fine lo pagammo molto volentieri. Non importa che cosa
fai, se stai scrivendo un articolo scientifico sui telomeri o se monti maniglie
d’ottone, l’essenziale è farlo perfettamente, cioè al meglio delle tue
possibilità.
(***) Peraltro è dato di comune esperienza quello secondo cui un’attività svolta con attenzione e dedizione implica un trascorrere soggettivo del tempo molto più rapido; l’”immergersi” totalmente in un lavoro lo rende più “leggero”, anche in senso cronologico (il tempo, che è un ente relativo, scorre più velocemente, sotto il profilo soggettivo). Per converso, un approccio aggressivo e negativo nei confronti dell’attività che stiamo svolgendo rende il tempo soggettivo molto più lento e difficile da tollerare, ciò che sviluppa in noi -ulteriori- frustrazione e rabbia.