Il mito della velocità (5)



La velocità, dunque. Più siamo veloci, più cose realizziamo, più siamo felici. Questo è il teorema.
E non pensiate che Doppiovubi sia qui a propinarvi l’elogio della lentezza in quanto tale, l’arte del vivere lentamente, lo “slow food”, e compagnia bella, concetti che vanno di moda in una certa nicchia, con caratteristiche ideologiche abbastanza definite.
Sono espedienti creati negli ultimi anni per cercare di combattere la noia che deriva dal vuoto della vita.
Corriamo continuamente e poi - ti dicono - dobbiamo cercare di rallentare, “assaporare la vita”, “essere consapevoli”. L’elogio della lentezza - in quanto tale - non ha alcun significato, dice Doppiovubi, che i libri sull’argomento li ha letti -ovviamente- tutti. La lentezza in sé, non è un valore. Vorrei essere più chiaro:

la lentezza, in sé, non è un valore.

L’unico pregio della lentezza, ricercata volontariamente, è la eventualità - ma purtroppo rimane una mera eventualità - di una maggiore concentrazione sul “qui e ora”. Peccato che, mentre passeggi a un chilometro orario, la tua mente vaghi rapidissima sui mille e uno impegni che - dopo la lentissima passeggiata - avranno la meglio su di te.
Un’altra tecnica inventata per ovviare al problema della velocità è quella che trova il suo fondamento nel pensiero buddhista. Una volta compreso che la chiave è il desiderio - che ci spinge a fare più cose, troppe cose - i buddhisti, che non sono scemi, si impegnano per sopprimere il desiderio, e ritornare liberi; i buddhisti vanno alla radice del problema, e tentano di estirparla.
Sopprimere i desideri, dice tuttavia Doppiovubi, è impossibile. Il desiderio è connaturato all’uomo, che sia un panino al salame quando hai fame o il fischio di inizio di una partita importante.
Potrete anche “raccontarvela su”, ma coi desideri ci dovete convivere.

(segue)

W.B.

Post popolari in questo blog

Allahu Akbar.

Come si scrive un'enciclopedia

Quasi tutti i TV erano chiaramente sintonizzati su Telereporter