Il mito della velocità (12)



Il perfezionismo “può” essere una malattia. Il primo a distinguere un perfezionismo “sano” da un perfezionismo “malato” fu lo studioso Don Hamachek, che nel 1978 -non molto tempo fa- scrisse un articolo rivoluzionario sul perfezionismo: “Psychodynamics of normal and neurotic perfectionism”, pubblicato sulla rivista “Psychology: A Journal of Human Behavior”. Secondo Hamachek, “… normal perfectionists set realistic standards for themselves, derive pleasure from their painstaking labors, and are capable of choosing to be less precise in certain situations”. Dopo Hamachek, si è liberata una vasta corrente di psicologi che ha sdoganato il perfezionismo c.d. “normale”. Oggi possiamo finalmente leggere argomentazioni sacrosante, come quella di L. K. Silverman (1999), secondo cui “… olympic champions, scientific breakthroughs, great work of art are all products of the perfectionistic personality gone right”. Secondo la Silverman, anche i perfezionisti patologici -che pure esistono- possono “guarire” re-incanalando la loro ossessione verso l’eccellenza, e quindi trasformando il senso di fallimento e di inadeguatezza costanti, tipici del perfezionista malato, nella soddisfazione e nella gratificazione derivanti dall’ottenimento di risultati di grande valore. Moltissimi, ancora oggi, negano l’esistenza della categoria di un perfezionismo “sano”, ancora sulla scia di Freud che -manco a dirlo- collega il perfezionismo all’analità (*)- e soprattutto sulla scia di Pierre Janet.
D’altra parte, la Società Moderna Consumistica ha interesse a formarci in modo tale da renderci superficiali, frettolosi, disattenti, distratti. Il perfezionista non è un Buon Consumatore, e anzi si può affermare il contrario, cioè che il perfezionista sia un Pessimo Consumatore. Nessuna sorpresa, dunque, nel fatto che la Società battezzi il perfezionismo come una malattia molto grave, e che si cerchi di diffondere sempre più l’elogio della mediocrità (“l’ottimo è nemico del buono”).
Il terzo argomento è il seguente: “Doppiovubi ti sbagli, se posso fare più cose (con un grado di accuratezza necessariamente medio-basso), posso terminare prima i miei incombenti, soprattutto se ne sono costretto (cfr., per esempio, le attività lavorative di natura subordinata), per poi liberare tempo per dedicarmi a ciò che -per me- conta davvero”.

(segue)

W.B.

(*) E’ il caso di ricordare proprio qui che in inglese “anal” significa anche “perfezionista”.

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