You, Cochrane, what city sent for him?
Dapprima
nel sogno Doppiovubi si ritrovò in un ambulatorio dentistico e c’era questo
dentista sopra di lui che diceva, Mah, vediamo, bisogna ricostruire questi tre
denti qui, poi, vede questi due – e improvvisamente Doppiovubi vide davanti a
sé un grande monitor con i suoi denti ingigantiti – vede questi due, qui
davanti, alla base c’è un colorino grigio che non va bene, adesso li togliamo
tutti e due, Come sarebbe a dire li togliamo, Eh sì vanno tolti, ormai sono
andati, Come sarebbe a dire sono andati.
E
mentre Doppiovubi si immaginava di non avere più i due denti davanti, i paletti
più grossi, e si chiedeva come avrebbe fatto dopo, si ritrovò per fortuna - i
denti erano salvi -, in una classe di liceo, ed era diventato, ritornato,
studente e c’era un professore di chissà quale materia, un uomo mai visto
prima, creato ex nihilo dal suo
inconscio, che stava per chiamare fuori per l’interrogazione, e anziché You, Cochrane, what city sent for him , disse Oggi viene fuori Thomas ***, e citò proprio il
nome di un suo compagno del liceo, in effetti un certo Thomas ***, realmente
esistito – secondo la normale ma non provata concezione di esistenza di cui
disponiamo – che Doppiovubi non vedeva da ventisei anni, e Thomas aveva i
capelli rasta e non sembrava più lui,
e il professore aveva chiamato Thomas *** e lui si era alzato svogliatamente
quindi doveva essere proprio lui, anche se non ci assomigliava per niente.
Doppiovubi fece un timido tentativo di abbracciarlo, poi rinunciò, visto che
Thomas non lo riconosceva affatto.
Il
professore poi disse, Oggi viene anche ***, e citò proprio Doppiovubi, il quale
prese la sua seggiolina, la trascinò fuori dal banco, e la mise accanto a
quella di Thomas, che era già pronto per l’interrogazione, e Doppiovubi si
sedette con una certa ansia, perché non sapeva nemmeno di quale materia si
trattasse. Provava a spiare sul libro aperto del professore, per capire almeno
a grandi linee se gli avrebbe chiesto di numeri o di parole, e sbirciò uno
schemone con scritti a mano una serie di nomi di luoghi e di date, e in quel
momento capì con amarezza che si trattava di Storia.
Il
professore cominciò proprio da Doppiovubi, e gli chiese di una battaglia mai
sentita nominare prima, e Doppiovubi disse Professore, è inutile che ci
prendiamo in giro, non ricordo nessuna battaglia, nessuna data e niente di
niente. E Doppiovubi disse questa frase non per onestà , bensì per colpire favorevolmente il professore, e si sentì
vigliacco nel sogno per questo stratagemma da quattro soldi, eppure subito dopo
proseguì con una vigliaccata ancora maggiore e aggiunse Piuttosto professore le
parlerei del concetto di guerra, se
vuole parliamo del motivo per cui nella
storia (ulteriore vigliaccata) gli esseri umani si sono fatti la guerra. E
così Doppiovubi, dietro l’assenso del professore, che era evidentemente caduto
nel tranello, iniziò una spatafiata orrenda sull’animo umano litigioso,
condendola ogni tanto con qualche generico riferimento storico del tutto fuori
luogo.
Dopo
poco, il professore lo interruppe, e sembrava soddisfatto, e Doppiovubi stava
male – e fuori dal sogno erano le due, il caldo non c’era più, e anzi tirava
aria fredda, e Doppiovubi si era addormentato con la finestra aperta memore
delle ultime notti afose e adesso invece aveva freddo – e stava male per aver
frodato. Intanto una serie di alunni si erano aggiunti agli interrogandi, il
che fece sperare Doppiovubi nel fatto che il professore non avrebbe fatto in
tempo a compiere un secondo giro di domande, perché nel secondo giro Doppiovubi
non ce l’avrebbe fatta con una seconda frode. E così chiese alla sua vicina,
Che tu sappia, fa un’ora soltanto o due ore oggi, e la vicina di seggiola gli
disse Due, e Doppiovubi pensò Sono fottuto cazzo, e mentre pensava Sono fottuto
cazzo, vide che il professore lo stava guardando con compassione, perché il
professore aveva colto il fatto che Doppiovubi si stava informando della durata
della permanenza del professore in quella classe, e il professore gli disse Che cosa stai facendo, ma non c’era
risentimento, era una domanda vera, e non si riferiva all’interrogazione e alla
frode, ma si riferiva – Doppiovubi lo capì perché glielo suggerì, come una
specie di nota a pie’ di pagina, il suo inconscio – si riferiva alla sua stessa vita.
Ma che cosa stai facendo.
Poi
il professore gli bisbigliò qualcosa d’altro, ma Doppiovubi non capì, e l’inconscio
di Doppiovubi gli suggerì di avvicinarsi per sentire meglio, perché era una
cosa importante, che Doppiovubi doveva assolutamente sapere.
Il
professore bisbigliò ancora la stessa cosa, e Doppiovubi si avvicinò un
pochino, e percepì che si trattava di un messaggio solo per lui, oltre il
sogno. Doppiovubi sentiva freddo, perché nel letto il suo corpo aveva freddo.
Doppiovubi
avvicinò infine l’orecchio alla bocca del professore, e questi gli disse una
sola parola, che era in realtà un consiglio, un’esortazione.
Questa
parola giunse all’orecchio di Doppiovubi da un territorio superiore. Il suo
inconscio si era ritratto, e non stava più parlando. In quel momento il sogno
non era più creazione di Doppiovubi.
Doppiovubi
era in ascolto.
E
la parola, l’invito, l’esortazione appunto, fu pronunciata con lentezza, come
fosse un dono prezioso da custodire per sempre.
E
la parola fu:
“Vivi”.
W.B.