Neropallato



Ricorda Doppiovubi che quando era bambino, sulla spiaggia, sulla sabbia della spiaggia, giocava a bocce con il suo papà.
Le bocce erano colorate – gialle, verdi, rosse e blu – ed erano otto, due per colore. Poi c’era il boccino, che era rosso, rosso tendente al marrone granata.
La sabbia poi erode anche i colori, che col tempo sfumano.
Le bocce erano contenute in una griglia di plastica bianca, le riponevi e facevi clac clac alle estremità, e il boccino era in mezzo, e quando la griglia era chiusa, formava una maniglietta e la potevi trasportare facilmente.
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Giocare a bocce non è cosa per donne, chissà perché. Ogni tanto sulla spiaggia si vedeva qualche signora che giocava con i mariti, e i mariti avevano rughe e cappellini molli e sgonfi. Le poche donne che giocavano a bocce non erano competitive, sia nel senso che perdevano, sia perché non volevano competere, semplicemente non erano interessate a vincere. In generale, le donne non sono molto interessate a vincere. Le donne godono del gioco in quanto tale, e soprattutto dei rapporti umani che si sviluppano all’interno del gioco.
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Giocare a bocce col papà era bello. Doppiovubi glielo chiedeva continuamente, fino allo sfinimento, ma lui se ne stava seduto sotto l’ombrellone a fumare, a pensare e probabilmente  - Doppiovubi lo immagina soltanto ora – a guardarsi qualche bikini. Poi, quando il sole calava, quando meno te lo aspettavi, quando ormai ci avevi rinunciato, e continuavi a giocare con i tuoi soldatini – militari verdi con la base sotto i piedi, come quelli in Toy Story – ecco che finalmente il tuo Eroe, il tuo papà, con gravità si alzava dalla sdraio, ci girava intorno, veniva da te e dall’alto, coprendo il sole con la sua massa paterna, ti diceva, ma non era una domanda, era qualcosa a metà tra una domanda e un’imposizione, aveva qualcosa dell’esortazione e anche qualcosa della concessione, Giochiamo a bocce.
E Doppiovubi buttava i soldatini nella sabbia e apriva la griglia, tutto contento.
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C’è una base linguistica di origine oscura e sconosciuta, bottia , che significa, a un dipresso, “gonfiore, protuberanza”.
Da bottia deriva poi bozza , che infatti ha in sé l’idea della rotondità, e bozzo.
E da bozza deriva boccia.
La boccia infatti è rotonda, come ben sanno quelli che amano il calcio e le donne.
Altro paio di maniche è il verbo bocciare , che è uno di quei verbi che comincia a usarsi di meno, perché non è polite , soprattutto se ad essere bocciato è il figlio di un ricco, in quel caso si dice che il ragazzo è stato respinto (se è ricchissimo si dice che non ce l’ha fatta ). Se invece la famiglia è di Quarto Oggiaro, si può dire tranquillamente, e anche con una certa brutalità, che è stato bocciato .
Bocciare è una di quelle parole strane, che hanno un’origine abbastanza precisa, ma - se non la conosci - richiamano un etimo sbagliato ma plausibile.
E sembra possibile che il povero ragazzino che sta per ricevere tutti quattro sulla pagella si trovi, nella sabbia, colorato di rosso per la vergogna, vicino al boccino – che rappresenta l’obiettivo dell’anno scolastico successivo – e all’improvviso cali dall’alto, con quel clangore tipico e inconfondibile della boccia che ne boccia via un’altra prendendole il posto, cali dall’alto, appunto, un’altra boccia, e lui viene spedito lontano, e le altre bocce vincono, e lui perde. L’origine della parola sembra (poter) essere questa (ma non è), che tra l’altro, curiosamente, collima con respinto.
E invece pare che sia l’italianizzazione di to blackball , espressione nata solo nel 1770, per questioni democratiche (diciamo così, prima o poi si dovrà pur scrivere un post coraggioso sul concetto di democrazia ), che significa mettere una palla nera nell’urna, letteralmente neropallare, (neropallare qualcuno, il verbo è transitivo) cioè nelle votazioni segrete (da cui ballottaggio) inserire nel vaso una pallina che indica il pensiero contrario, sistema di voto che si perde nella notte dei tempi. E qui sarebbero i professori a giudicare e quando si arriva a valutare quel ragazzo lo neropallano, in italiano lo bocciano, cioè inseriscono una boccia nera nell’urna.
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Doppiovubi non sapeva, quando da bambino giocava a bocce sulla spiaggia, che in quel gioco si celava la metafora delle nostre intere vite future, e forse per quello il suo papà era riluttante a giocare – perché lui, più avanti nel percorso, lo aveva già capito.
Per tutta la vita - e non solo a scuola, la scuola è solo l’inizio - troverai sempre qualcuno che ti neropallerà.

W.B.


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