Neropallato
Ricorda Doppiovubi che quando era
bambino, sulla spiaggia, sulla sabbia della spiaggia, giocava a bocce con il
suo papà.
Le bocce erano colorate – gialle,
verdi, rosse e blu – ed erano otto, due per colore. Poi c’era il boccino, che
era rosso, rosso tendente al marrone granata.
La sabbia poi erode anche i
colori, che col tempo sfumano.
Le bocce erano contenute in una
griglia di plastica bianca, le riponevi e facevi clac clac alle estremità, e il
boccino era in mezzo, e quando la griglia era chiusa, formava una maniglietta e
la potevi trasportare facilmente.
*
Giocare a bocce non è cosa per
donne, chissà perché. Ogni tanto sulla spiaggia si vedeva qualche signora che
giocava con i mariti, e i mariti avevano rughe e cappellini molli e sgonfi. Le
poche donne che giocavano a bocce non erano competitive, sia nel senso che
perdevano, sia perché non volevano
competere, semplicemente non erano interessate a vincere. In generale, le donne
non sono molto interessate a vincere. Le donne godono del gioco in quanto tale,
e soprattutto dei rapporti umani che si sviluppano all’interno del gioco.
*
Giocare a bocce col papà era
bello. Doppiovubi glielo chiedeva continuamente, fino allo sfinimento, ma lui
se ne stava seduto sotto l’ombrellone a fumare, a pensare e probabilmente - Doppiovubi lo immagina soltanto ora – a
guardarsi qualche bikini. Poi, quando
il sole calava, quando meno te lo aspettavi, quando ormai ci avevi rinunciato,
e continuavi a giocare con i tuoi soldatini – militari verdi con la base sotto
i piedi, come quelli in Toy Story –
ecco che finalmente il tuo Eroe, il tuo papà, con gravità si alzava dalla
sdraio, ci girava intorno, veniva da te e dall’alto, coprendo il sole con la
sua massa paterna, ti diceva, ma non era una domanda, era qualcosa a metà tra
una domanda e un’imposizione, aveva qualcosa dell’esortazione e anche qualcosa
della concessione, Giochiamo a bocce.
E Doppiovubi buttava i soldatini
nella sabbia e apriva la griglia, tutto contento.
*
C’è una base linguistica di
origine oscura e sconosciuta, bottia ,
che significa, a un dipresso, “gonfiore, protuberanza”.
Da bottia deriva poi bozza ,
che infatti ha in sé l’idea della rotondità, e bozzo.
E da bozza deriva boccia.
La boccia infatti è rotonda, come ben sanno quelli che amano il calcio
e le donne.
Altro paio di maniche è il verbo bocciare , che è uno di quei verbi che
comincia a usarsi di meno, perché non è polite
, soprattutto se ad essere bocciato è il figlio di un ricco, in quel caso
si dice che il ragazzo è stato respinto (se
è ricchissimo si dice che non ce l’ha
fatta ). Se invece la famiglia è di Quarto Oggiaro, si può dire
tranquillamente, e anche con una certa brutalità, che è stato bocciato .
Bocciare è una di quelle parole strane, che hanno un’origine
abbastanza precisa, ma - se non la conosci - richiamano un etimo sbagliato ma
plausibile.
E sembra possibile che il povero
ragazzino che sta per ricevere tutti quattro sulla pagella si trovi, nella
sabbia, colorato di rosso per la vergogna, vicino al boccino – che rappresenta
l’obiettivo dell’anno scolastico successivo – e all’improvviso cali dall’alto, con
quel clangore tipico e inconfondibile della boccia che ne boccia via un’altra
prendendole il posto, cali dall’alto, appunto, un’altra boccia, e lui viene
spedito lontano, e le altre bocce vincono, e lui perde. L’origine della parola
sembra (poter) essere questa (ma non è), che tra l’altro, curiosamente, collima
con respinto.
E invece pare che sia
l’italianizzazione di to blackball , espressione
nata solo nel 1770, per questioni democratiche (diciamo così, prima o poi si
dovrà pur scrivere un post coraggioso sul concetto di democrazia ), che significa mettere
una palla nera nell’urna, letteralmente neropallare,
(neropallare qualcuno, il verbo è transitivo) cioè nelle votazioni segrete (da
cui ballottaggio) inserire nel vaso
una pallina che indica il pensiero contrario, sistema di voto che si perde
nella notte dei tempi. E qui sarebbero i professori a giudicare e quando si
arriva a valutare quel ragazzo lo neropallano,
in italiano lo bocciano, cioè inseriscono
una boccia nera nell’urna.
*
Doppiovubi non sapeva, quando da
bambino giocava a bocce sulla spiaggia, che in quel gioco si celava la metafora
delle nostre intere vite future, e forse per quello il suo papà era riluttante
a giocare – perché lui, più avanti nel percorso, lo aveva già capito.
Per tutta la vita - e non solo a
scuola, la scuola è solo l’inizio - troverai sempre qualcuno che ti
neropallerà.
W.B.