The Explanations



- E ora possiamo passare all’analisi di “grand”.
- Fermo lì, Doppiovubi.
- Che cosa c’è, vuoi che ritorniamo su “theft”?
- No, per carità. Non credi di dovere delle spiegazioni ai tuoi lettori?
- Di cosa?
- Non fare finta di niente. Prima di settembre postavi su argomenti specifici. Ogni tanto qualche post seriale, la storia di Leibniz, per esempio, poi a settembre quella questione di Proteo, e poi… me. Credo che tu debba delle spiegazioni ai tuoi lettori, ripeto. Almeno, a quei pochi che sono rimasti.
- Forse hai ragione Ale.
- In primo luogo dovresti spiegare che cosa ci faccio io qui. L’assurda vicenda del mio ripescaggio dal 1843.
- Ok, mi hai convinto.
- I viaggi nel tempo, e balle del genere.
- Adesso basta, non esagerare, ho detto che mi hai convinto. Adesso spiegherò ogni cosa.
- E vedi di farlo bene, anche.
*** *** ***
- Intanto, Ale, come è possibile che tu sia qui.
- Infatti.
- Questo non è un post, Alessandro. Non è una serie di post. E’ un sogno, un lunghissimo sogno lucido. Tu fai parte del mio sogno.
- Come hai fatto?
- Stephen LaBerge. Ti sono andato a prendere, e ti ho portato qui con me. Tu esisti davvero, nel mio sogno, e i miei lettori ti conoscono. Il mio sogno è un viaggio nel tempo in cui ti prelevo. Nel sogno tutto è possibile. Più volte, nelle scorse settimane, ho detto che nel mio mondo, nel mondo di Doppiovubi, tutto è possibile. In realtà, nel sogno tutto è possibile.
- Perché io? Perché non Hernan Cortés o Winston Churchill?
- La domanda reale, e preliminare, sarebbe, perché un altro oltre a me.
- Già.
- Dal 2007 al settembre 2013 è stato un soliloquio. Doppiovubi che parla, e gli altri – i suoi lettori - che ascoltano. Avevo bisogno di una controparte. Una vita fatta di output  è senza significato.
- Hai ragione. Il male della società moderna è proprio questo, tra gli altri. Troppi output  e pochi input. Si parla ma non si ascolta.
- Sto parlando io, adesso. E poi quello che stai dicendo tu, lo sto dicendo io.
- Ok, mi taccio.
- E quindi avevo bisogno di qualcuno con cui parlare. Un conato di maieutica ostetricia. Ricorda Platone, ricorda i dialoghi. La grandezza dei dialoghi è nella relazione, nella dialettica dalla quale nasce un’idea che si avvicina alla verità. Uomo e donna che generano un figlio. Due interlocutori che – nella loro diversità – partoriscono idee.
- Comincio a capire qualcosa.
- Ecco che avevo bisogno di qualcuno diverso da me, molto diverso. Ti ho sempre odiato, Ale, fin dai banchi di scuola. Ti ho odiato e ho odiato quelli che ti amavano. Eri l’individuo perfetto, per dare equilibrio a Doppiovubi. La controparte, il diverso, quello in cui non ti puoi specchiare. L’altro da me, l’ombra della luce, il bianco e il nero.
- Lo yin e lo yang.
- Chiamalo come vuoi. Doppiovubi da solo non poteva continuare. Anche Galileo, nel Dialogo sui massimi sistemi, ricorre al dialogo. E guarda che risultati. La relazione, il segreto dell’esistenza. Da due a tre, dove il Tre è l’unità di due opposti complementari.
- E adesso che abbiamo fatto amicizia, che ne sarà di me?
- Non lo so.
- Non litighiamo più come all’inizio. Mi sto doppiovubizzando. Parlo come te. Non ti servo più.
- Non lo so. Nei miei progetti c’era quello di rimandarti nel 1843. Penso che lo farò.
- Dobbiamo ancora parlare di “grand”.
- Già. Penso che ti rimanderò indietro.
- Non capisco il significato di “grand”.
- Penso che lo farò.

(continua, sorprendentemente)

W.B.

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