A training sample



Egli, tenendosi sempre il breviario aperto dinanzi, come se leggesse, spingeva lo sguardo in su, per ispiar le mosse di coloro; e, vedendoseli venir proprio incontro, fu assalito a un tratto da mille pensieri. Domandò subito in fretta a sé stesso, se, tra i bravi e lui, ci fosse qualche uscita di strada, a destra o a sinistra; e gli sovvenne subito di no. Fece un rapido esame, se avesse peccato contro qualche potente, contro qualche vendicativo; ma, anche in quel turbamento, il testimonio consolante della coscienza lo rassicurava alquanto: i bravi però s’avvicinavano, guardandolo fisso. Mise l’indice e il medio della mano sinistra nel collare, come per raccomodarlo; e, girando le due dita intorno al collo, volgeva intanto la faccia all’indietro, torcendo insieme la bocca, e guardando con la coda dell’occhio, fin dove poteva, se qualcheduno arrivasse; ma non vide nessuno.
Diede un’occhiata, al di sopra del muricciolo, ne’ campi: nessuno; un’altra più modesta sulla strada dinanzi; nessuno, fuorché i bravi. Che fare? tornare indietro, non era a tempo: darla a gambe, era lo stesso che dire, inseguitemi, o peggio. Non potendo schivare il pericolo, vi corse incontro, perché i momenti di quell’incertezza erano allora così penosi per lui, che non desiderava altro che d’abbreviarli. Affrettò il passo, recitò un versetto a voce più alta, compose la faccia a tutta quella quiete e ilarità che poté, fece ogni sforzo per preparare un sorriso; quando si trovò a fronte dei due galantuomini, disse mentalmente: ci siamo; e si fermò su due piedi. “Signor curato,” disse un di que’ due, piantandogli gli occhi in faccia.
“Cosa comanda?” rispose subito don Abbondio, alzando i suoi dal libro, che gli restò spalancato nelle mani, come sur un leggìo.
“Lei ha intenzione,” proseguì l’altro, con l’atto minaccioso e iracondo di chi coglie un suo inferiore sull’intraprendere una ribalderia, “lei ha intenzione di maritar domani Renzo Tramaglino e Lucia Mondella!”.
“Cioè...” rispose, con voce tremolante, don Abbondio: “cioè. Lor signori son uomini di mondo, e sanno benissimo come vanno queste faccende. Il povero curato non c’entra: fanno i loro pasticci tra loro, e poi... e poi, vengon da noi, come s’anderebbe a un banco a riscotere; e noi... noi siamo i servitori del comune.”.
“Or bene,” gli disse il bravo, all’orecchio, ma in tono solenne di comando, “questo matrimonio non s’ha da fare, né domani, né mai.”.
E proprio in quel preciso istante, sbucò dal nulla uno sconosciuto. I tre avrebbero giurato di aver sentito, mentre l'individuo appariva, odore di sale, un rumore di onde, e il grugnito di foche. Chissà perché.
I due bravi si guardarono allibiti. Quella presenza era del tutto imprevista. Uno dei due mise la mano sullo spadone, ma non lo sguainò subito, preferendo valutare gli eventi e la reazione del suo compare. L’altro mise invece la mano sulla pistola, pronto a usarla. Il curato tirò un sospiro di sollievo, anche se non ci capiva nulla. Aveva ben scrutato l’orizzonte a trecentosessanta gradi, e non c’era nessuno. Quell’individuo non avrebbe dovuto essere lì. No way.
Lo sconosciuto reggeva in mano una specie di archibugio – constatarono i due bravi e il tremante prelato – ma di una foggia strana e mai vista prima. Non terminava a tromba, come quelli soliti che loro conoscevano bene, bensì era tornito diversamente. Aveva una canna molto lunga, una più corta in alto, ed era lucidissimo e scuro, e aveva parti in legno parimenti lucide, e una strana parte ricurva che puntava verso il basso. L’archibugio era terribile a vedersi, ed era puntato dritto su di loro. Lo sconosciuto non parlava. Lo sconosciuto li fissava e aspettava.
“E tu chi sei?” disse uno de’ bravi.
“Io sono uno che ha deciso che il matrimonio tra quei due domani si farà, e si farà sicuramente.” rispose secco lo sconosciuto.
I due bravi si guardarono, e poi scoppiarono a ridere. 
Don Abbondio, per una forma di vigliacco adeguamento, rise anche lui, nervosamente.
Pure lo sconosciuto rise.
“Tu non hai capito, amico. Non sai in quale guaio ti stai cacciando. Noi due ti facciamo male adesso.”
“Non ho paura di voi. A parte il fatto che il vostro capo morirà di peste. E voi due non siete nemmeno citati, nei capitoli successivi, quindi potete anche morire adesso senza alterare il futuro, se Hermann Minkowski ha ragione. E vi assicuro che ha ragione.”
“Deh. Vuoi morire tu, pazzo sconosciuto, lo abbiamo ben capito!”.
I due fecero per estrarre pistola e spadone, al che intervenne il curato.
“Fermi, fermi, per la carità di Dio, io non c’entro niente, e poi il suo intervento, caro signore, non è richiesto.”.
I lettori avranno ben capito che il curato aveva fatto un banale calcolo aritmetico di convenienza, e si era detto, due sono più di uno, e poi questo tipo qui sbucato da chi sa dove, sembrava male armato, con una specie di archibugio dall’aspetto insolito, probabilmente non funzionante. L’unica possibilità per lo sconosciuto era avvalersi di un coltello molto lungo e dalla punta ricurva, che teneva infilato in una fibbia della cintura, troppo poco per farcela contro i due delinquenti incalliti.
Il curato preferiva ancora essere dalla parte de’ bravi.
“Senti, curato, adesso tu ascolti me. Alla fine il matrimonio si farà. Intere generazioni si sono rotte i coglioni su questa storia, e, credimi, tanto vale finirla qui. Domani tu sposi quei due idioti, e basta.”
“Vile marrano!” gridò uno dei due bravi, che era evidentemente il capo, sfoderando la pistola mentre l’altro sguainava lo spadone istoriato (non ne vedeva l'ora).
Doppiovubi puntò il suo AK-47 d’assalto contro colui che aveva gridato. Gli sparò una decina di colpi nello stomaco. Il bravo si dimenò a lungo prima di stramazzare al suolo. L’altro rimase inebetito, a bocca aperta. Doppiovubi sguainò quindi il suo coltello – un bowie knife  lungo venti centimetri – e gli tagliò la gola di netto, con una mossa repentina orizzontale, senza troppa fatica.
Don Abbondio era bianco come la neve.
“Ok, curato, come ho appena finito di dire, domani tu li sposi, e vedrai che andrà tutto bene. Ti comunico che - tanto - tra trentasette pesantissimi capitoli i due daranno alla luce una bambina di nome Maria, e poi una caterva di altri marmocchi, maschi e femmine. Ai due cadaveri qui penso io, tranquillo, ho visto Fargo dei Coen, so come fare. Tu pensa a tornare a casa, e se provi a dire qualcosa alla Perpetua, sappi che il resto di quella strana parte “ricurva che punta verso il basso” - che poi sarebbe un caricatore a trenta colpi, per tua info – lo riservo al tuo bel pancino. E adesso prendi il tuo fottuto breviario e smamma, che devo fare un salto veloce a San Pietroburgo, prima che Rodion apra in due come una mela la testa della vecchia usuraia, con tutto quello che ne consegue, a livello di sensi di colpa.”.
Don Abbondio, alla parola "smamma", era già lontano, tenendosi la veste per correre più veloce e pregando trafelato durante la fuga.
Questa è la storia.
La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.

W.B., con la collaborazione di A.M. (r.i.p.)

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