La triste storia di Goffredo (terza parte)



(riassunto delle puntate precedenti)

Mentre ad Hannover, città fieristica della Bassa Sassonia - martoriata da bombe inglesi nel 1943 per cause remote – nel XVII secolo regna incontrastato il Casato di Brunswick-Lüneburg, a Lipsia, nel 1646, emette il suo primo vagito un bambino di nome Gottfried Wilhelm von Leibniz.



Orbene Gottfried, rimasto prestissimo orfano del suo povero (ma abbientissimo) papà, era quello che si dice un piccolo genio. Lasciato sempre solo e spaurito tra gli scaffali della immensa biblioteca paterna, il bimbo passava il suo tempo a leggere tutto quello che gli capitava sotto tiro, senza distinzione. Altro che i Gormiti: si narra che a soli dodici anni padroneggiasse già il latino, ma chissà, non c'eravamo, sarà stata la sua mamma al mercato a mettere in giro la diceria, Guarda, il mio Gottfried conosce già il latino, Ma no, non dirmi, così piccolo? Ma certo, pensa che ha già letto l'intera opera di Tito Livio, Non ci credo, Eh sì, ha preso dal suo povero papà, Guarda invece il mio non c'è verso, voglia di studiare zero, Ma no, stai tranquilla, vedrai che col tempo, se vuoi ti do l'indirizzo di un precettore, un abate italiano, è caro eh, però che risultati, Grazie Catharina, ce l'hai qui l'indirizzo, No, non ce l'ho qui con me, magari più tardi ti mando un servo con un bigliettino, Grazie cara ciao, Figurati, ciao ciao ciao. 
Ci sarà da crederci? Non lo sappiamo, ma è bello pensare che non sia andata così e Tito Livio l'avesse letto per davvero.

Gottfried, naturalmente - il padre e il nonno erano stati professori di diritto all’Università di Lipsia -, si laureò in giurisprudenza, e non poteva essere altrimenti. Col tempo, grazie a intensi studi da auto-didatta, fu anche filosofo, teologo, linguista, diplomatico, biologo, fisico, ma soprattutto, come vedremo, matematico.

Una vera e propria leggenda.

La sua più grande fortuna (?) si realizzò quando nel 1676 il Duca Giovanni Federico, quello delle infradito, gli offrì l’ambito posto di bibliotecario presso la Corte degli Hannover.

Gottfried sarebbe stato pagato molto bene. Indubbiamente gli Hannover, lo sapevano tutti, erano dei gran stronzi, ma il compromesso era buono, perché Leibniz poteva dare libero sfogo alla sua innata sete di conoscenza, avendo moltissimi libri a  sua completa disposizione. Insomma, un sogno che si stava avverando. Il nostro mito trasferì, come si suol dire, baracca e burattini ad Hannover.

Ma ecco il rovescio della medaglia : il Duca diversi anni dopo gli commissionò un’opera auto-celebrativa e il Nostro non avrebbe potuto certo dire di no. Il suo incarico fu quello di raccontare nientemeno che la secolare storia del Casato degli Hannover.

Gottfried accettò con finto entusiasmo – avrebbe dedicato più volentieri il suo tempo allo studio della matematica, che stava lentamente ma inesorabilmente diventando la sua più grande passione. Ma il Nostro era un vero duro, e prese l’impegno sul serio (troppo sul serio, come vedremo). Per anni viaggiò in lungo e in largo per tutta l’Europa (Italia compresa), ovviamente lautamente spesato dagli Hannover, per recuperare informazioni e documenti utili alla sua attività di biografo ufficiale del Casato.

E però, cari e pazienti lettori, sarebbe bene che abbiate anche presente l’immagine dell’eclettico filosofo tedesco : all’epoca la fotografia, come tutti sanno, non esisteva ancora. Per tramandare la propria immagine ai posteri, si doveva necessariamente ricorrere al ritratto a olio.

Ed ecco il nostro amico Gottfried come si presentava immobile innanzi al pittore di Corte, nella sua migliore mise, con tanto di bavaglino-sciarpina:






Dovreste fare un certo sforzo di immaginazione per pensarlo senza l’ampio e vaporoso parruccone con la scriminatura in mezzo, che a quell’epoca andava di gran moda : lo indossavano proprio tutti. In effetti non è molto normale indossare una criniera di capelli finti, a meno che uno non alleni una squadra piemontese. Peraltro, nell’ultima puntata della saga avremo modo di ritornare sul punto, e a sorpresa.

Ma torniamo all’immane lavoraccio intrapreso da Gottfried, suo malgrado.

A Corte cominciavano ormai a spazientirsi, perché la Storia degli Hannover, nonostante i reiterati solleciti, non era mai pronta, ed erano passati ormai svariati anni. Più avanti, il Duca si incazzò ufficialmente e disse senza mezzi termini a Leibniz che sarebbe andato bene anche un semplice opuscolo, uno schizzo sintetico in generale, una specie di bigino e nulla di più, e che il filosofo aveva esagerato, in fondo mica c’era bisogno di un trattato. Ma Leibniz, che era un inguaribile perfezionista, aveva raccolto tanto di quel materiale – che non verteva solo sulla storia degli Hannover bensì, già che c’era, sulla storia di tutta la Germania – da non potersi certo limitare a qualche generico appunto sulle origini del Casato : così facendo sarebbe dovuto andare contro la sua stessa natura.

La Storia degli Hannover, anche se Leibniz ci lavorò per trent’anni, non vedrà mai la luce.

Oltre un secolo dopo, gli storici pensarono di riordinare tutte le carte e gli appunti raccolti da Leibniz : il materiale postumo avrebbe riempito addirittura tre poderosi volumi. Il Nostro aveva lavorato molto e in silenzio e aveva confezionato un’opera ciclopica, seppur incompiuta. Purtroppo gli Hannover, come abbiamo già osservato poc’anzi, erano dei grandissimi stronzi, e non avrebbero mai potuto apprezzarla come meritava. Anzi, come vedremo nella prossima puntata, gli Hannover costituirono addirittura un importante tassello della rovina di Leibniz : come dice sempre la mamma di Doppiovubi, Occhio, che il cretino ti frega.

Ma non anticipiamo i tempi.

Eppure Leibniz nei decenni aveva tessuto pazientemente anche un ambizioso progetto diplomatico : portare il Duca di Hannover (il suo Duca) a regnare nientemeno che sulla Gran Bretagna. I lettori di Doppiovubi sanno già che questo progetto, nel 1714, andò a buon fine, e ora apprendono che fu proprio Leibniz a consentirne la realizzazione. Lo scopo era quello di “spezzare” l’asse anglo-francese, troppo pericoloso per l’ascesa della sua Germania. Quel demonio di Leibniz ci riuscì, e come già ben sapete il Re Giorgio I di Gran Bretagna, incredibile dictu, fu un tedesco a denominazione di origine controllata.


Il nostro amico fu addirittura ammesso nella Royal Society, l’accademia inglese delle scienze – in realtà club esclusivo – che dal 1640 raccoglieva le menti europee col quoziente intellettivo più elevato, quel che oggi potrebbe corrispondere a, per fare un ardito ma calzante parallelismo e paragone, diciamo “Rivoluzione Civile” di Antonio Ingroia.
All’apparenza, la carriera di Leibniz stava procedendo a gonfie vele.
Tutto sembrava andare per il meglio.

Ma tragiche nubi si stavano addensando sull’orizzonte del povero e ignaro Goffredo, anche se lui non lo sapeva ancora.

(fine della terza puntata)

W.B.



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