Omnia sunt communia

Sarà un'idea un po' estrema, poco consona ai tempi in cui viviamo, ma Doppiovubi è contrario al diritto di proprietà. Non solo al diritto di proprietà privata - che filosofi, economisti e giuristi non riescono a giustificare in alcun modo, sotto il profilo teorico (cfr. l'ottimo Filosofia del diritto di proprietà, di Michele Prospero, soprattutto il vol. I, da Aristotele a Kant) - ma anche al diritto di proprietà in quanto tale.
Ciò significa che a Doppiovubi ripugna altresì la proprietà pubblica: nemmeno lo Stato dovrebbe essere proprietario di alcunché (ed è il principale motivo per cui l'esperimento comunista è fallito: l'errore è già nel Manifesto del 21 febbraio 1848, e si presenta lampante nel punto 5 del decalogo del secondo capitolo). E' un po' come la pena di morte; non può lo Stato - per punire l'omicidio - uccidere l'assassino: è una contraddizione. Allo stesso modo lo Stato non può proclamare la cancellazione del diritto di proprietà e poi mantenere il controllo sui beni. Di più: vedremo che lo Stato cessa di esistere, in qualche modo.
E' certo che occorrerebbe un radicale cambiamento di mentalità. Ovviamente ciò è impossibile, per cui immaginare un mondo dove tutto sia di tutti rappresenta soltanto un esercizio di pensiero. Una sorta di Utopia. Ci vorrebbe un Anno Zero, in cui, di punto in bianco, ci fosse un unanime accordo sociale (su scala almeno nazionale) per cui si dicesse Ok ragazzi, d'ora in poi comincia la festa, tutto è di tutti, dobbiamo solo regolarne un uso equo. I ricchi, nonché le formichine risparmiose, si opporrebbero strenuamente a vedersi soffiare, di sotto al naso, i loro beneamati beni, e lotterebbero finanche imbracciando il famoso fucile. Per cui si tratta di un mero esperimento mentale. O forse no. O forse, no.
A scuola, per legge, bisognerebbe eliminare dalla grammatica il pronome possessivo. I bambini non conoscerebbero più il significato di "mio", che sui dizionari rimarrebbe come vestigia di un passato ormai obsoleto. E' un po' come l'esperienza della "comune" indiana degli anni sessanta, ma organizzata a livello nazionale (*) con uno "Stato" (diciamo così) che usa anche la forza per impedire la sopraffazione dell'uomo sull'uomo, e dello Stato stesso - stavolta senza virgolette - sull'uomo. Non collanine e coltivazioni di riso e hashish in quantità, il che riduce l'esperimento a macchietta, ma una società evoluta, altamente tecnologica, attenta all'ecologia, naturalmente senza diritto di proprietà e soprattutto felice. Nessun conflitto di classe. Non c'è conflitto di classe, se non esistono le classi. Semplice.
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Sta di fatto che la cancellazione del diritto di proprietà (che non è un diritto naturale, bensì una creazione e convenzione umana, seppur particolarmente diffusa) porterebbe con sé innumerevoli vantaggi.
Prima di tutto sparirebbe il denaro, concetto che "sta in piedi" solo se è riconosciuto il diritto di proprietà.
Non si tornerebbe al baratto, perché il baratto presuppone anch'esso il diritto di proprietà dell'oggetto che si vuole scambiare. Semplicemente si userebbero le cose, e occorrerebbe soltanto regolare i conflitti per l'uso delle stesse. E' ovvio che qualcuno (molti, inizialmente, nessuno, dopo qualche tempo) inizierebbe ad appropriarsi delle cose di tutti, e questo sarebbe un comportamento da punire da parte della collettività. In sostanza, la proprietà sarebbe una fattispecie di natura, diciamo così, "penale", punita anche molto duramente, per i primi tempi. Oggi abbiamo il reato di appropriazione indebita, domani avremmo una sorta di "reato" di appropriazione dei beni comuni. Se ci pensate, in un primo momento vi sembra assurdo. Dopo un po' cominciate ad abituarvi all'idea, e vi ci coccolate dentro. E vi fa stare bene. A meno che, ovviamente, non siate un petroliere. Ma anche il petroliere - a regime - vivrebbe molto più sereno di come vive oggi. I beni in realtà sono di tutti e di nessuno. Possiamo affermare che l'unico vero proprietario di tutto sia Dio. Ma lui è chiaramente fuori competizione, nonostante stia leggendo questo post con una certa soddisfazione.
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Una delle più grandi preoccupazioni dell'uomo è legata infatti al timore di perdere quello che ha. O quella - speculare - di non riuscire ad avere a sufficienza. Ovviamente è il verbo avere che ti intrappola. Pensate un po' a come potreste sentirvi se non aveste paura di perdere niente, perché non avete niente - bensì "avete" tutto, come tutti - e non doveste lottare per accaparrarvi beni che vi servono - perché "avete" già tutto, come tutti. E' la meravigliosa sensazione che provano i barboni, ma senza soffrire i disagi dei barboni. "Avreste" già tutto, e in più non dovreste dormire sotto un cartone in pieno inverno, in un anfratto della stazione.
Infatti, una delle terribili conseguenze del diritto di proprietà è la famigerata responsabilità. Se non hai niente, non sei responsabile di niente. Se hai tutto, non sei responsabile di niente, allo stesso modo, ma vivi alla grande.
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Scompare dunque il concetto di furto. Non si può rubare quello che non è di proprietà di nessuno. Lo si usa e basta. Prendiamo il bike sharing. Le biciclette non dovrebbero essere legate con il lucchetto e non dovrebbe esserci una tesserina elettronica per prenderle e non dovresti versare al Comune una cauzione e non dovresti avere la carta di credito. Le biciclette dovrebbero semplicemente essere a disposizione. Vai, ne trovi una, la prendi, la usi, la metti giù. Nessuno la "ruberebbe", perché tanto ne trovi in giro finché vuoi. Soltanto in una primissima fase iniziale i cittadini, per pura abitudine, tenderebbero a "rubare", e qualche pirla nasconderebbe la bicicletta in un posto segreto per tenerla solo per sé, ma col tempo capirebbe che è una fatica inutile. Tanto le biciclette ci sono, a volontà, per tutti.
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E se scompare il concetto di furto, non c'è bisogno di temere il ladro e il rapinatore. La polizia deve solo evitare che qualcuno ti entri in casa per usare un bene essenziale che stai usando tu - il letto, magari - ma dopo una prima fase nessuno oserebbe entrarti in casa. Piuttosto scomparirebbe il concetto di casa come luogo "proprio" e tutti potrebbero soggiornare liberamente dove più desiderano, con il solo limite dell'accordo collettivo sull'uso del singolo bene. Ma Doppiovubi si ferma qui, perché se approfondissimo il concetto, vi piacerebbe talmente tanto che qualcuno potrebbe prendere Doppiovubi sul serio (e, di fatto, serio Doppiovubi lo è, almeno su questo tema) (**).
Non siete ancora pronti per questo, come disse Marty McFly, con la chitarra in mano sul palco degli anni sessanta, in Back to the future, davanti a una platea a bocca aperta.
Forse tra qualche centinaio di anni la civiltà umana ci arriverà. 
E sarà, tra l'altro, la fine di qualsiasi guerra. Una cosetta da niente.
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Eh sì, il timore del furto ti fa vivere male. E più sei ricco, più sei preoccupato. Si potrebbe disegnare una curva in un sistema di riferimento cartesiano, e mettere sull'asse delle ascisse la P di preoccupazione e sull'asse delle ordinate la R di ricchezza, o viceversa. La curva avrebbe un andamento lineare. Tendenzialmente al punto zero si collocano i suddetti barboni, che non hanno R ma non hanno nemmeno P (o meglio, ben poca P, data dalla scarsità di cibo e di riparo), e - mano a mano - la curva sale con un andamento abbastanza costante, poi, a un certo punto, quando R ha raggiunto davvero un valore elevatissimo, il soggetto tende a preoccuparsi di meno. Warren Buffett è talmente ricco che non ha molta paura di perdere quello che ha. E' difficile sottrargli tutto, gli resterà comunque molto, quindi è - relativamente - tranquillo. Infatti il magnate di Omaha il 14 febbraio 2013 ha comprato serenamente la Heinz, quelli del tomato ketchup, e ci ha speso ventitre miliardi di dollari, che non sono proprio noccioline (o patatine fritte, visto il contesto).
Tendenzialmente, però, il timore del furto cresce costantemente con la ricchezza. E viene il momento in cui difendi la tua bella casetta dai ladri, e quella che per te doveva essere una soddisfazione, diventa un incubo, e non ci dormi la notte. Cominci a montare allarmi su allarmi e ti compri pure una bella arma da fuoco che tieni nel cassetto del comò. All'inizio fai installare le inferriate alle finestre, poi anche alle finestrine, e poi alla porta sul retro. Magari dipingi le inferriate di un bel colore rosso sangue, per renderle esteticamente gradevoli e per dare un segnale subliminale ai ladri. E alla fine ti ritrovi, incolpevole, in una bella prigione. Una prigione - incontestabilmente - di tua proprietà.



W.B.

(*)  Occorrerebbe uno Stato, dove effettuare la sperimentazione, che non sia né troppo grande né troppo piccolo. Uno Stato completamente autosufficiente - qualcuno direbbe autarchico - per evitare del tutto gli scambi commerciali con l'estero (fermo restando che nell'arco di poco tempo il contagio si estenderebbe a tutto il mondo, e anche gli altri Stati, constatando la floridità e fecondità dell'idea, la seguirebbero a ruota). Infatti l'esportazione implicherebbe un pagamento da parte dei Paesi esteri, ma nella nostra Utopia il denaro non esiste, e l'importazione implicherebbe un pagamento da parte di Utopia, e ovviamente ciò sarebbe impossibile. Probabilmente l'Italia è troppo grande per una sperimentazione come questa. Probabilmente, ma non certamente.
(**) Doppiovubi non va oltre nella descrizione delle conseguenze della cancellazione del diritto di proprietà, ma qualche piccolo divertimento se lo vuole concedere. Per esempio, non soltanto non si verificherebbero più tutti i fatti che generano reati legati al patrimonio e al denaro, ma anche quelli che trovano nel denaro - e quindi nel diritto di proprietà - il cosiddetto movente, che sono tantissimi. Non si ucciderebbe più per ottenere il denaro della vittima, né per vendicarsi della sua cupidigia. Non si avrebbe il classico caso del cric spaccato in testa all'automobilista che ti ha graffiato la macchina all'incrocio, perché la macchina non sarebbe tua, e l'ira non nascerebbe nemmeno. E così via.
Lo stesso Codice civile, che regola rapporti basati, direttamente o indirettamente, sul diritto di proprietà, perderebbe di significato. Sul piano del diritto pubblico, scomparirebbe quasi (o forse senza quasi) il concetto di Stato come ente, perché l'idea di pubblico trova in gran parte le sue radici nella contrapposizione al privato, ma quest'ultimo esiste in quanto esiste il diritto di proprietà. Semplicemente i lavoratori, per così dire, "pubblici", presterebbero la loro opera in servizi che sono finalizzati tendenzialmente all'uso comune, ma anche in questo caso la differenza tenderebbe a essere evanescente, perché in un certo senso tutti lavorerebbero per il bene comune. Ovviamente scomparirebbe la tassazione, perché non ci sarebbe alcun bisogno di finanziare servizi alla collettività (e poi, finanziare senza denaro non è possibile). La gente smetterebbe di lavorare? Per nulla affatto, è una leggenda assoluta. Si lavorerebbe con gioia e senza preoccupazione. Probabilmente scomparirebbe il concetto di lavoro - che è finalizzato alla percezione di qualcosa che diventi tuo in cambio della tua attività, e proprio qui nasce il conflitto, perché il lavoratore percepisce che lo scambio è iniquo, ma noi abbiamo radicalmente superato il concetto di scambio - e si passerebbe, grazie a una semplicissima preposizione, al diversissimo concetto di collaborazione. Il cum unisce gli uomini, e cambia tutto. L'assetto complessivo si sposta radicalmente. I talenti sono liberi di esprimersi. Non c'è allocazione di ricchezza - non c'è ricchezza, in ultima analisi -, ma vera condivisione delle risorse naturali e umane. D'altra parte, se tutto è condiviso, non occorrebbe poi una così onerosa attività (col)lavorativa. Basterebbe poco. Il tempo dedicato alla collaborazione sarebbe una frazione minima della giornata. Forse si collavorerebbe (dal neologismo collavorare) ancora di più, e non sarebbe un paradosso, perché si trarrebbero gioia e soddisfazione dal collavoro.
Nel 1516 Thomas More immaginò un'isola - Utopia, appunto - nella quale la proprietà privata è abolita, il denaro non esiste più, non c'è mercato ma i beni sono prodotti solo per il consumo comune. Non c'è niente di nuovo sotto il sole. Utopia dovrebbe essere il libro di testo principale, a scuola, dei bambini dai cinque anni in su. Doppiovubi è pervenuto autonomamente allo stesso risultato del filosofo inglese, dopo anni di congetture e idealizzazioni. Thomas aveva ragione. Quindi la continuità concettuale storico-filosofica è data dall'asse Platone (che nella Repubblica mette i semi dell'idea) > Thomas More > Doppiovubi (ovviamente Doppiovubi li guarda dall'alto in basso). Gli è che l'opera di Thomas More ebbe una diffusione modesta (seppur con diverse edizioni e traduzioni in varie lingue), ma oggi c'è una novità assoluta - forse ne avrete sentito parlare -, della quale non si disponeva nel 1500, che si chiama web, ed è una cosa che consentirebbe la diffusione planetaria dell'idea in poche settimane, con conseguenze conflagranti. Si pensi che probabilmente Thomas More inventò Utopia a seguito della frustrazione che provava nei confronti del regime inglese dell'epoca; dopo cinquecento anni - e qualche guerra mondiale - abbiamo avuto modo di constatare che il sistema della proprietà non funziona e fa vivere nel dolore l'intera umanità, e lo abbiamo constatato molto più di Thomas More. Mezzo mondo soffre la fame esclusivamente a causa dell'esistenza del diritto di proprietà, anche se le risorse planetarie sarebbero (e sono) ampiamente sufficienti per tutti. Il problema non si risolve aiutando chi ha fame dandogli qualcosa tolto alla nostra proprietà (una frazione infinitesimale, il che si risolve in una ipocrisia incredibile). Il problema si risolve consentendo a tutti di accedere liberamente alle risorse. D'altra parte, anche l'altra metà del mondo, quella che non solo non ha fame, ma è anche tendente al sovrappeso, non è felice, e l'infelicità è data proprio dal sistema in cui viviamo, completamente imbevuto del concetto di proprietà. La coscienza umana percepisce, nel suo profondo, la terribile ingiustizia del sistema; tutti noi, nei più lontani recessi della nostra anima, sappiamo perfettamente che la proprietà è sbagliata. Se solo facessimo emergere questa profondissima intuizione, il mondo sarebbe libero, e tutti gioirebbero e vivrebbero felici. Solo un soggetto si rotolerebbe per terra, nella polvere, preso dall'ira irrefrenabile. Solo un soggetto, che ama il concetto di proprietà perché la proprietà, per sua natura, divide gli uomini, ed è la migliore arma per far sì che non si amino tra loro, griderebbe il suo lamento terribile al cielo, e forse il suo regno su questa terra sarebbe avviato verso la fine. Doppiovubi pensa che voi sappiate perfettamente chi sia quel soggetto, come lo avete sempre saputo in cuor vostro. In questo senso, la proprietà è del tutto contraria alla natura dell'uomo.
E non si creda che Doppiovubi abbia postato queste parole con leggerezza. Fare clic su "pubblica" gli è costato, perché sa che questo non è un post qualunque, e dopo sarà molto difficile continuare a parlare di politicanti, Champions League e psicologia spicciola, come se niente fosse. Qualcuno dei cari lettori di Doppiovubi - che ha avuto la pazienza di arrivare fin qui, e sarà il 10 per cento - forse oggi si soffermerà, per qualche minuto, a fantasticare su un sistema come quello sin qui descritto, fissando il vuoto e interrompendo le sue occupazioni che gli portano denaro per acquistare beni; poi scuoterà la testa e tornerà alle sue occupazioni. Forse posterà svogliatamente il link su Facebook. Di questo dieci per cento, forse un decimo, e quindi l'uno per cento, si chiederà, E se Doppiovubi avesse ragione, se si dovesse fare per davvero, e poco dopo si risponderà come si sono sempre risposti gli uomini dal 1516 al 2013: non è possibile, non si può fare. Oppure, ormai non si può più fare. Il problema vero è quel terribile ormai. A costoro Doppiovubi dice, Non disperate. Se leggete Seneca, nelle Lettere a Lucilio potrete trovare un piccolo conforto. Il filosofo, che era ricchissimo e viveva nella massima opulenza, si poneva - non poteva non porsi, seppur implicitamente - il problema della sua ricchezza e della profonda ingiustizia del sottrarre l'uso dei beni agli altri uomini (tra cui i suoi schiavi). La sua risposta fu indiretta. Consigliò a Lucilio di vivere come se le ricchezze non ci fossero, come se nulla fosse in proprietà (in realtà si tratta di una fictio, di uno stratagemma per liberarsi dalla schiavitù della proprietà e dalla conseguente preoccupazione di perderla, e per questo non si può affermare che Seneca abbia compreso del tutto che la proprietà è un errore madornale commesso dall'umanità). Quindi optò per una soluzione individuale ed intimistica. Doppiovubi, quasi allo stesso modo, e trasponendo il suddetto stratagemma, dice a quell'uno per cento che tutto sommato accetterebbe un mondo senza proprietà, Se proprio non è realizzabile là fuori, perché gli uomini sono follemente convinti di quanto sia bello essere infelici, almeno realizzatelo lì dentro, nell'unico luogo di cui siete padroni assoluti. Nella vostra mente, considerate le vostre proprietà, e le proprietà altrui, come assurde e ingiuste. Questo potrebbe darvi un poco di sollievo. Non molto, ma è già qualcosa. Poco è sempre qualcosa in più di niente.
D'altra parte, aveva ragione Thomas More, ma aveva ragione anche Marty McFly.
Non siete ancora pronti per questo.
O forse sì.





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