Über das Recht des Volks zu einer Revolution
Vogliamo dunque parlare
di diritto di proprietà? E parliàmone!
Ancora oggi Doppiovubi,
sotto il profilo astratto, ritiene che il diritto di proprietà non dovrebbe
esistere, che sarebbe molto meglio se non esistesse. Non - badate bene - che il
diritto di proprietà sia in capo allo Stato. Secondo Doppiovubi nemmeno lo
Stato deve essere proprietario di alcunché. Omnia
sunt communia, Thomas Müntzer, Frankenhausen, etc. etc., lo sapete bene (lo sapete bene?)
com'è andata, ne abbiamo già parlato qualche anno fa. Sotto il profilo
astratto, Doppiovubi non ha cambiato idea: eliminato il concetto stesso di
diritto di proprietà (senza trasferirlo in capo a qualcuno o a qualcosa), si va
a neutralizzare una grandissima parte (pressoché la totalità) dei conflitti tra
gli esseri umani.
Ma questa, appunto, è
pura teoria e astrazione. Nei fatti, nella vita reale, gli uomini hanno bisogno del diritto di proprietà, non
riescono a rinunciarvi. Vogliono dichiarare un bene come mio, e mio significa che non è tuo. Una
delle principali caratteristiche del diritto di proprietà, l'esclusività
(l'escludere gli altri dal rapporto
con l'oggetto di cui si rivendica la proprietà), è vissuto come fondamentale, e
appunto, per questo, irrinunciabile di fatto (*).
Probabilmente il
diritto di proprietà è inscritto nei geni degli esseri umani, da qualche parte,
vallo a pescare. O forse no. Forse è la mancanza atavica di amore (cfr. la
nota).
Qualche anno fa
Doppiovubi - che non si rassegnava (Doppiovubi non si rassegna mai) ad
ammettere che l'uomo per natura ha in sè dalla nascita, ossia naturalmente,
l'idea di proprietà - si ostinava a rimanere attaccato, con le unghie, alle sue
convinzioni. L'osservazione del comportamento dei bambini, anche molto piccoli,
i quali - quando devono escludere altri bambini dall'uso dei 'loro' beni -
dimostrano una ferocia inaudita,
indipendentemente dal reale interesse verso la cosa posseduta, deponeva contro
la teoria del Doppiovubi: effettivamente l'osservazione sperimentale del
comportamento infantile faceva ben comprendere che il diritto di proprietà è
innato, e non acquisito. Doppiovubi, appunto, negava l'evidenza e si
arrampicava sugli specchi, e pur di aver ragione (o pur di non avere torto, che
non è esattamente la stessa cosa), artificiosamente distingueva la proprietà dal possesso, e diceva, I bambini in realtà vogliono il possesso, l'uso esclusivo della loro cosa, non hanno - né pretendono - un rapporto duraturo con la
stessa. Ma, Doppiovubi, arrenditi, non è così. E infatti Doppiovubi si è arreso
(non è vero, quindi, che non si rassegna mai).
Tutti gli uomini, di
tutte le aree geografiche, in tutte le epoche, usano e hanno usato l'aggettivo
possessivo mio, e conoscono e hanno
conosciuto per natura il diritto di proprietà, e lo sentono, lo hanno sentito e
lo sentiranno (?) come un diritto fondamentale.
Dunque, i sistemi
politici che suggeriscono l'abolizione del diritto di proprietà privata, in
capo al singolo appunto, non possono 'funzionare' (**), perché l'uomo non
riesce a essere, ci si consenta il giuoco di parole, deprivato della
proprietà privata.
Il problema che si pone
pertanto non è quello di cancellare la proprietà privata, ma di impedire che
qualcuno abbia tutto (o tantissimo) e altri non abbiano niente (o pochissimo).
Una sorta di salary cap, o di fair play finanziario. Un tetto,
insomma, all'accaparramento.
E siamo alla fetta di
torta. Again.
Se paragoniamo lo Stato
a un padre (o a una madre) che ha tre figli, e il padre torna a casa con una
bella torta alla crema per i suoi bambini, e lascia la torta sul tavolo, e dice
ai tre figli, Fate i bravi, io vado a cambiarmi, cominciate a scartare la torta
e tagliate tre parti, E tu papà, non la mangi, No, io ho deciso di non mangiare
dolci, E la mamma, La mamma è a dieta perenne, come il ghiaccio (che invece si
sta sciogliendo e moriremo tutti, n.d.r.), fate solo tre parti per voi, poi
arrivo, mi raccomando, e il padre va a cambiarsi, e dalla sua stanza sente dapprima
un brusio, e poi dei pianti e qualche urlo, e mentre si toglie le scarpe
sussurra, Siamo alle solite, e poi torna e sulla tavola vede il sotto-torta
vuoto, con qualche briciolina qua e là, e poi vede i suoi tre figli che lo
aspettano intorno al tavolo, e tutti hanno davanti il loro piattino, e su ogni
piattino c'è una fetta di torta, e la differenza evidentissima è che uno dei
tre figli ha una fetta di torta che corrisponde ai nove decimi di tutta quanta
la torta, non sta neanche sul piatto, deborda, e il bambino che ha preso quasi
tutta la torta è sorridente e si accinge alla scorpacciata, e gli altri due
bambini hanno, sui loro rispettivi piatti, un ventesimo a testa della torta, è
quasi ridicolo, una cosa da una cucchiaiata ed è già finita, e stanno
piangendo, e cercano di dire al padre tra le lacrime, Non è giusto, lui si è
preso tutta la torta e guarda cosa ci ha lasciato, e il bambino che ha preso
quasi tutto risponde con convinzione, Io sono più bravo di voi, sono stato più
bravo di voi, e mi merito (***) più di voi, e gli altri due, Non è vero, questo
lo dici tu, stai mentendo, papà ascoltaci, non è così, abbiamo fatto tutto quello che dovevamo fare, abbiamo
persino riordinato noi la sua stanzetta, Doppiovubi si rivolge ai suoi
lettori e chiede a loro, secondo voi, cari lettori, un buon padre (fuor di
metafora, un buono Stato, ente astratto creato per tutelare tutti i cittadini)
che cosa farà, non farà niente, accarezzerà i suoi figli in lacrime, lascerà le
cose così e andrà a leggersi il giornale sulla sua comoda poltrona?
(segue)
W.B.
(*) Sotto il profilo
psicologico il fenomeno si spiega abbastanza facilmente e banalmente (lo
capirebbe anche uno dei partecipanti al Grande Fratello VIP): ci si identifica con l'oggetto, io sono ciò che ho. Se io sono proprietario di beni di valore
(valore che sia socialmente riconosciuto, non necessariamente oggettivo,
ammesso che esista un valore oggettivo),
io stesso valgo. In buona sostanza il
valore dell'oggetto transita al proprietario, che così acquisisce valore
mediatamente. Circolare alla guida di una Lamborghini noleggiata (ove tutti
sappiano che sia tale, cioè noleggiata) non produce le stesse conseguenze;
l'oggetto posseduto è symbolon,
scritto alla greca perché fa figo e rende più credibili. Ancora più a
monte, il bisogno di proprietà - e quindi il bisogno di 'valere' - trova le sue
radici in una carenza di amore percepita (o addirittura reale) in età
infantile. Un bambino che è stato amato (o che si è sentito amato) non sente
alcuna perversa attrazione verso i beni 'di lusso'. Ritornando a valle, l'odio
sociale delle masse in povertà verso le classi ricche – odio che il 2% sta
cercando di trasformare e sublimare (e ci sta riuscendo!) in riconoscimento di
un merito verso chi ti offre lavoro – si giustifica anche così: loro
sono amabili, e noi -poveracci- no, di qui il 1917 (e, in parte, il 1848
e il 1789). Io, che sono povero, non posso accedere agli strumenti che mi
consentirebbero di essere considerato come di valore, e di
conseguenza, amato. Ancora più a monte, rispetto a questa carenza innata
di amore che l'essere umano percepisce, si trova il distacco dell'uomo da Dio.
Per questo motivo, sotto il profilo pratico, questo vuoto immenso si colmerebbe
molto più facilmente e linearmente con un riavvicinamento a Dio, anziché con un
sabato pomeriggio all'Ikea o dal concessionario, finalizzato ad acquisire la proprietà
di beni.
(**) A ciò si aggiunga
che l'uomo, per natura, tende a maltrattare il bene pubblico (perché non è
considerato davvero 'suo') e a ben trattare il suo proprio bene. Le toilettes dei bar sono spesso lerce,
perché chi le usa non vi presta la stessa attenzione che metterebbe a casa
propria.
(***) Prossimamente
Doppiovubi approfondirà il tema, in un dialogo immaginario tra il
bambino-accaparratore e il suo papà, che gli chiede conto del perché si sia accaparrato quasi tutta la
torta a scapito dei suoi fratelli. Ovviamente
la fortuna di Doppiovubi è che lo leggono in quattro gatti; se avesse visibilità,
finirebbe letteralmente stritolato
dal web. Si pensi a questo commento
che si trova in rete, contro Diego Fusaro: "...
per contrastare la strategia
fusariana del “parlare semplice alle masse” bisogna parlare con altrettanta
semplicità ed efficacia, parlare alla pancia! e spiegare al ventre della
nazione che se si abbuffa 3 volte al giorno di proteine e carboidrati, se
viaggia comodamente in auto, se lavora in giacca e cravatta nei ‘servizi’
invece che in una minera di carbone, se ha internet, se ha libertà sessuale,
libertà di viaggiare, libertà di divertirsi lo deve proprio al capitalismo!".
No comment. Doppiovubi, rimani nell'ombra, non uscire dalla tua caverna, là
fuori è pericoloso.
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