Come trovare lavoro
Abbiamo detto che è
necessario che la massa sia subordinata sotto il profilo culturale. Ma come,
direte voi, hai appena detto che siamo ormai in presenza di un esercito di
laureati nelle materie più svariate, e ci vieni a raccontare che esiste una subordinazione
culturale? Mai come oggi il popolo è da considerarsi colto!
Introduciamo dunque una
fondamentale distinzione tra cultura e 'titolo di studio'. Oggi pochissimi
studiano per l'amore della materia e della disciplina che vanno studiando. Già
nei primissimi anni si ragiona intorno al c.d. mondo del lavoro. Non si sceglie l'ambito di studi che la propria
inclinazione predilige, ma quello che offrirà
maggiori sbocchi lavorativi e professionali. Terribile. Terribile.
*
Lo studio, dunque, è diventato meramente strumentale
al lavoro. In ultima analisi, io non studio ciò che si addice alla mia
natura, bensì ciò che – a seconda di ciò che richiede il mercato del lavoro
– mi sarà più utile in futuro.
Stiamo vivendo nel periodo d'oro della utilitas (*).
Quando scegli che cosa studiare, e sei ancora un ragazzino, mostruosamente
già cominci a rispondere alla domanda di cui al titolo di questo post. E
rispondi alla domanda sopprimendo i tuoi sogni.
Hai ucciso i tuoi sogni.
Questo è il peccato originale che pagherai per sempre.
E non ne sei nemmeno colpevole, maledizione. Hanno armato
la tua mano di ragazzino. Sono loro i colpevoli. Ma non li beccheranno
mai (forse; anzi, no, non li beccheranno mai).
E' che tutti intorno a te pensano esclusivamente al lavoro.
E se tutti pensano esclusivamente al lavoro, vuol dire che è giusto pensare esclusivamente al lavoro. Facile e lineare. Come
trovare lavoro? Basta guardare al mercato del lavoro! Piccolissimo dettaglio,
riflettete sul concetto di 'mercato', non quello in economia politica, dove ci
sono le curve e le equazioni, (di cui pensavi di esserti liberato con la maturità e invece eccole lì), quello vero, il
mercato in piazza, dove c'è gente reale che è sudata quando fa caldo e batte i
denti quando fa freddo, dove si vendono i pomodori un po' troppo avanti, che
devi girare e controllare per evitare di doverli usare per il sugo, e si
vendono le mutande, quelle da tre pezzi a due euro. Sul mercato si vende merce.
Cose. Prodotti. Dire mercato del lavoro significa ridurre il lavoro a merce.
Ma dato che il lavoro, in sé, è un concetto astratto, non
esiste il lavoro, esiste il lavoratore, esiste l'essere umano che
lavora (che sia un operaio tornitore o un ricercatore universitario esperto in
topologia delle reti, non importa), dire mercato del lavoro significa mercato
delle azioni degli esseri umani, e
ancor meglio, per essere più precisi, mercato degli esseri umani. Lo
aveva detto Marx. Ma 'Marx' non si può pronunciare, figuriamoci scrivere, è una
brutta parola. Non volevamo essere triviali, non era nostra intenzione. Ci
scusiamo dunque per aver scritto il token 'Marx', non volevamo offendere
la sensibilità di nessuno (di alcuno). Ci siamo sbagliati, volevamo invece scrivere 'Mars',
la storica barretta di cioccolato e caramella mou (che è socialmente molto più
accettata e desiderata, soprattutto quando uno è frustrato, e mangia troppo,
perché non trova lavoro o il suo lavoro non corrisponde ai suoi sogni, il che,
guarda caso, accade nel 98% delle situazioni, percentuale non casuale), il
fatto è che la 'x' è situata poco a sud-est della 's' sulla tastiera, e la
manualità non è il forte di Doppiovubi. Le dita scivolano, sai com'è. Lapsus digiti.
E magari si puntasse al lavoro in quanto tale. Il
lavoro, a sua volta, è strumentale ad avere soldi. Ma non divaghiamo.
Il tema qui è la scelta. Anzi, la mancanza di libertà di
scelta.
E' chiaro, stando così le cose, che coloro i quali possono
permettersi di sbagliare, studiano e si acculturano, in modo molto, ma
molto diverso. A volte prendono perfino la seconda laurea. L'acerrimo e
simbolico nemico (compagno di classe) dell'adolescente Doppiovubi (**), figlio
di avvocata (attenzione alle desinenze) e dentist'o' (riattenzione), negli anni
d'oro delle due professioni, e nipote di notaio, famiglia titolare di svariate
diecine di unità immobiliari, si laureò in giurisprudenza, ma poi, avvinto da
una certa qual noia per la materia, si laureò altresì in architettura.
Con tutta calma e col conforto della sua augusta gens, callidamente unì le due discipline, e oggi lo incontri ai
convegni – quale relatore, è un bel relatore
- dove il diritto si coniuga all'estetica delle costruzioni, ed è ovviamente
osannato e ammirato, e il punto è che è bravo (***) e sa quello che
dice.
Ancora una volta, stiamo parlando di libertà e necessità.
Si tratta di due modi ben diversi di accostarsi alla
cultura. Se sei libero (****), vagherai diciottenne per gli scaffali di
una biblioteca di quartiere, e, come un rabdomante, ti fermerai naturalmente
innanzi ai libri che rappresentano il tuo destino, come direbbe James Hilmann
(*****). Potrebbe trattarsi, naturalmente, del classico Manuale
dell'autoriparatore, e non necessariamente della Fenomenologia di
Hegel. Non siamo certo qui a esaltare la cultura che non si sporca le mani,
anzi.
E che dire poi di quel fatto drammatico, che accade quando
il povero (è il caso di dirlo) malcapitato, effettivamente china la testa e
segue i diktat del mostruoso mercato del lavoro, piega i suoi sogni allo
sbocco professionale, e intraprende un percorso di studi che è
necessariamente lungo, dura anni e anni. Intanto però, il mostro, il leviatano,
il mercato del lavoro, essendo per l'appunto passati anni, muta,
come Proteo, cambia le sue fattezze, il mondo si evolve ragazzi, è la
modernità, il cambiamento è positivo, evvai, e il povero malcapitato, con il suo
rotolo di carta in mano, festeggiato da alcuni amici invidiosi ancora un po'
indietro nel cursus universitario, che brindano con mezzi sorrisi
amarognoli e mangiano qualche pizzettina scongelata nel baretto meno caro
dietro l'università, e i suoi genitori un po' imbastiti nel loro vestito buono,
l'unico che hanno, orgogliosi e felici, sorridono, il povero malcapitato col
suo rotolo in mano col fiocchetto, In nome della legge, conferiamo il diploma
di laurea al povero qui malcapitato, ecco che si dirige a testa alta e a petto
in fuori verso il mercato del lavoro e viene subito rimbalzato da crasse
e grasse risate, perché quello che il mercato del lavoro richiedeva
anche solo tre anni prima (o cinque, o quattro, a seconda dei casi), oggi non è
più richiesto, oggi si (ri)chiede qualcosa di diverso, e il gioco è fatto, il
2% acquisisce nuova carne fresca per il suo macello, Amico, ti devi
adattare, vieni a lavorare qui da noi, lavora duramente, accetta questi quattro
soldi, le tutele crescenti e ritieniti fortunato, tieni questo bel telefonino
in tasca, stattene qui buono e mansueto, guarda un po' di messaggini, sentiti 'social',
incanala la tua protesta nei partiti e movimenti a disposizione, non c'è altro,
è un numerus clausus quello dei
canali di protesta, prenditi uno straccio di aperitivo se vuoi, ma soprattutto
taci.
(segue...)
W.B.
(*) Magari si trattasse, quanto meno, di utilitas
sociale; si tratta invece di una mera utilitas individuale. E magari si
trattasse di una utilitas individuale orientata alla crescita
dell'essere umano; si tratta invece di una progettualità tesa a evitare, in un
futuro, che il tuo vicino di casa abbia uno schermo da 55 pollici, e tu
soltanto di 32 (l'optimum sarebbe il contrario, e comunque le dimensioni
contano), con i conseguenti problemi di autostima – a seconda dei casi, bassa o
eccessiva - anche in capo ai tuoi figli.
(**) Già co-protagonista nel leggendario post del 12
dicembre 2013 e successivi.
(***) E ci mancherebbe pure altro, cazzo.
(****) Non si dimentichi che i figli, nella stragrande
maggioranza dei casi, sono condizionati, in un modo o nell'altro, dai genitori,
nella scelta del loro cammino. Se i tuoi genitori sono in grado di 'reggere' –
economicamente e psicologicamente – scelte 'alternative' rispetto al criterio
della utilitas e a ciò che richiede il mercato del lavoro, la
musica cambia molto (il rapporto è più o meno quello tra J. S. Bach e M.
Pezzali), rispetto a una famiglia in difficoltà, che sogna il riscatto sociale
di classe (e dagli con le volgarità), e che non può permettersi e –
direttamente o indirettamente – non permette, pur in buona fede, ai figli
scelte davvero libere e in linea con la specificità dell'individuo.
(*****) Doppiovubi, per
inciso, forse si sarebbe fermato davanti agli scaffali di storia.