Alla cassa, prego (seconda parte)



I desideri, dunque. In qualche modo il desiderio ci toglie la libertà (il che, tra l’altro, depone a favore di un determinismo assoluto), perché guida e indirizza i nostri pensieri e le nostre azioni. Ma appunto, in quanto tale non è eliminabile, e se è eliminabile, non è sano eliminarlo o anche solo provarci. Per la verità, qualsiasi sforzo di non provare un desiderio verso un oggetto, viene immediatamente sostituito da un altro desiderio, per esempio proprio il desiderio di non desiderare  l’oggetto che desideravamo (che è la buccia di b. su cui scivolano alcuni sedicenti buddhisti). Con i desideri dobbiamo convivere, purtroppo, o per fortuna.
E veniamo lentamente al punto centrale di questa tanto importante quanto barbosissima serie di post.
Il desiderio – mentre siamo nella situazione x – ci fa muovere, prima col pensiero, poi eventualmente con le azioni, verso la situazione y , situazione in cui saremo quello che prima non eravamo (dove essere è inteso come l’agglomerato di tutte le nostre esperienze, per cui anche il desiderio di una esperienza, una volta realizzato, ci farà essere diversi da ciò che eravamo in precedenza), o avremo quello che prima non avevamo.
I desideri di passare da x  a y  ci sono sempre stati. Un uomo del medioevo desiderava una cotta in maglia particolarmente resistente, l’uomo di oggi desidera l’iPad col display  retina che gli consente di vedere meglio i palloncini che fa gaiamente scoppiare con il dito indice, seduto in tram. Cambia l’oggetto del desiderio, ma lo schema e la struttura sono sempre quelli.
Tuttavia, come vedremo nel prossimo mini-post, la Società moderna dell’Orrore ha complicato le cose, e non tanto per il ben noto congegno della pubblicità e del consumismo, ma a causa di un elemento subdolo e, invero, terribilissimo.
(2- segue)

W.B.

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