Il Brillante C. (ottava parte)

(riassunto delle puntate precedenti)

Basta col riassunto delle puntate precedenti. Se avete voglia di conoscere il contenuto delle puntate precedenti, andate a rileggere le puntate precedenti.
 
Gli storici sono divisi sul ruolo di Russia e Cina nell’invasione della Corea del Sud. Secondo l’autorevole storico Doppiovubi, la Russia non si limitò a stare a guardare, bensì usò Kim il-sung come suo burattino senza fili.
I sud-coreani, dal canto loro, avevano ampiamente sottovalutato le minacce della Corea del Nord. Lo stesso fecero gli americani.
Erano impreparati.
La CIA aveva male interpretato le manovre belliche dei nord-coreani. Secondo l’Intelligence, erano solo chiacchiere e distintivo. Forse la storia, proprio in questi giorni, dovrebbe insegnarci qualcosa. Ma andiamo avanti.
Nella notte del 25 giugno, le truppe di Kim il-sung attaccarono a sorpresa o, come anche si dice in gergo calcistico, “alla vigliacca”.
Per i pochi che non sapessero che cosa significa “alla vigliacca”, basterà portare l’esempio di un certo G. Buffon che, dopo che la palla è chiaramente e ampiamente entrata nella porta e gli avversari circondano l’arbitro incazzati neri per non essere stato concesso il gol, slealmente ne approfitta per rilanciare l’azione e mandare i suoi addirittura a segnare, eppure lo sa benissimo che era gol, ciò che accadde realmente in data 25 febbraio 2012 a Milano, quando le armate rossonere stavano surclassando la Juventus. Per non dimenticare:




Ma questa è un’altra storia, torniamo agli anni cinquanta e alle armate coreane.
Abbastanza rapidamente, i nord coreani conquistarono, alla vigliacca appunto, quasi tutta la Corea del Sud.
La CIA se ne accorse solo a cose fatte, come emerge da interessanti report declassificati solo poco tempo fa.



Il Presidente americano Harry Truman, che vediamo qui sotto ritratto in una foto del successivo dicembre, mentre firma con enfasi proprio la dichiarazione di stato di emergenza per la guerra di Corea, il 7 luglio 1950 fece nominare il generale Douglas MacArthur, il veterano, quale comandante della coalizione ONU contro la Corea del Nord. 



L’ONU, che era appena nata ed era ancora in fase di test, come diceva Truman, ci aveva provato dapprima con le sanzioni economiche, ma i n.-coreani delle sanzioni economiche se ne fecero (e se ne fanno tuttora) un baffo, perché sono resilienti di brutto.
Era il 6 luglio 1950, quando due ufficiali dei marines recapitarono un dispaccio urgente del Presidente a casa MacArthur.
*** *** ***
 Douglas era in poltrona, fumava la sua lunga pipa e leggeva il giornale, commentando da solo proprio l’escalation coreana e scuotendo la testa come dire Questi qui senza di me non sanno da che parte cominciare.
Tutto ringalluzzito, Douglas – per quanto gli consentiva quel fastidioso dolore all’anca - si precipitò al piano superiore.
Frugava nei cassetti dentro l’armadio, bofonchiando, Ma dove l’avrà messa, ma dove cazzo l’avrà messa.
 *** *** ***
 Stiamo parlando della camicia militare buona, l'unica adatta ai chili di troppo messi su dal generale, che la moglie di Douglas aveva opportunamente nascosto in fondo all’ultimo cassetto, come fanno tutte le brave mogli che vogliono esercitare quel po’ di potere dato dalla conoscenza esclusiva degli introvabili nascondigli dove dolosamente ripongono le cose dei mariti, soprattutto quelle a cui questi ultimi tengono di più.
Si tratta di Jean Marie Faircloth (letteralmente, “vestita correttamente”, il nome è tutto un programma) in MacArthur, la seconda moglie, sposata dopo un incontro a Manila dove questa aveva fatto il colpo gobbo di agganciare il generale, e di diciotto anni più giovine del generale medesimo. Rimase accanto al marito per tutta la vita.
Morì – finalmente - a New York all’età di 101 (centouno) anni.
Ed eccovi la famigliola felice ritratta quando il nostro è già avanti con gli anni, no, diciamolo chiaro, è un povero vecchio. Davanti a loro, a fianco della mamma dalla mandibola leggermente cavallina, il ben pasciuto figlioletto, a cui fu dato l’originale nome di Arthur. Il figlio di Douglas MacArthur si chiamava Arthur MacArthur. Questo dato onomastico ci dà già una indicazione importante sul reale quoziente intellettivo del nostro generale.


Ma torniamo a Douglas che fruga nei cassetti.
- Doug, non andare.
- Ma dove l’hai messa…
- Ti prego fallo per Arthur… messa cosa?
- Dove cazzo… quella che mi sta bene… ma dov’è…
- Doug, ti sto parlando!
- Ok, tu dimmi dove hai messo la mia camicia e io ti ascolto.
- Prima mi ascolti.
- Sono un generale degli Stati Uniti!
- In pensione. Hai settant’anni.
- Niente affatto, donna, guarda qui, mi hanno richiamato, hanno bisogno di me!
- Doug, finirà male.
- Menagramo, dove l’hai messa?! Dimmelo, maledizione, ho fretta!

Ovviamente la Cassandra Jean – che tra l’altro ci aveva azzeccato, perché andrà male – girò le spalle e se ne andò a piangere in cucina, come in ogni copione americano che si rispetti.
Altrettanto ovviamente, Doug non trovò la camicia buona e, suo malgrado, si dovette presentare al cospetto del Presidente degli Stati Uniti di America con quello che aveva rimediato, una spiegazzata camiciola da sotto-ufficiale dell’esercito, palesemente troppo stretta e ormai scolorita.

(fine della ottava puntata)

W.B.

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