No, quello si paga a parte (14 - Jim Jones' style)



A - I cervelli dunque andarono, come dite voi qui, in pappa. Vivevamo attaccati ai nostri dispositivi. Di notte (su ***CH** ci sono due notti al giorno) ci svegliavamo per controllare che non ci fossero messaggi. Spesso trovavamo messaggi notturni di altri che ci contattavano per sapere se avevamo dei messaggi per loro. Fame assoluta e continua di comunicazione. Bulimia di contatti.
WB - Conosco il problema.
A - Le statistiche dicevano che ormai il 95% del nostro tempo era dedicato a inviare o ricevere messaggi di ogni genere. Le nostre vite si stavano assottigliando sempre più. L’economia ebbe una grave contrazione, perché la gente non produceva più alcunché di utile per la società, si limitava a muovere informazioni, bit di dati, da un luogo all’altro, e spesso queste informazioni erano del tutto vuote di significato.
Sui luoghi di lavoro i ritmi di produzione calarono sempre più, gli errori e gli incidenti si moltiplicavano, perché i cervelli erano concentrati soltanto sui social network. La malattia mentale divenne diffusa, cronica, generalizzata. Non avevamo abbastanza psichiatri per curare i milioni di malati - che nelle sale di attesa ingannavano il tempo con gli smartphones - perché gli stessi psichiatri erano più malati dei loro pazienti.
WB - Bestiale.
A - Infatti. Si ebbe la PDM. La Prima Depressione di Massa, che portò milioni di suicidi, roba che Jonestown al confronto fu una merenda per bambini. Il meccanismo della errata interpretazione degli eventi - tipico del depresso, che incornicia e re-interpreta la realtà come tutta negativa e soltanto per lui - si moltiplicava a causa dei messaggi che non avevano contesti di interpretazione sufficienti. Un emoticon che partiva con le migliori intenzioni provocava spesso un’impiccagione, a causa di interpretazioni distorte.
WB - Dico sempre che le nostre interpretazioni sono in gran parte sbagliate, figuriamoci se non abbiamo il contesto, dato dai gesti, dal tono, dalla postura, dall’immediatezza della presenza dell’altro.
A - E dici bene, Doppiovubi.
E poi che accadde? - chiese il MPC controllando la sua pagina facebook.
A - Accadde che solo un due per cento della popolazione, quello che non aveva accettato i progressi della tecnologia, quello il quale - se gli dicevi che viveva nel Medioevo - lo considerava un complimento, riuscì a … ehi, ma cosa stai facendo con quel telefono, dammelo subito!
Il MPC stava cercando di comunicare con l’esterno tramite FB, e scriveva che era ostaggio di un alieno, e stava anche provando a scattare una foto dell’alieno, ma quest’ultimo lo fermò in tempo. Poteva cancellare la memoria dei dispositivi nel raggio di cinquecento metri, ma non certo dai server di Facebook.
L’Alieno, ormai alla decima ora di assedio, si decise a confessare ai due amici/ostaggi la verità.
A - Ragazzi, è inutile che vi prenda in giro. Devo applicare il protocollo OWK.
MPC e WB - Che cosa?!
A - Il protocollo dice che se entro dieci ore dall’allarme - che ho lanciato appena siamo scesi dal treno - i miei non vengono a prendermi e a risolvere la situazione, devo applicare il protocollo OWK. Lo devo applicare su di me, e anche su di voi.
WB - E quanto manca allo scoccare della decima ora?
A - Undici minuti e due secondi, Doppiovubi. Dubito che i miei arriveranno. A quest’ora dovrebbero già essere qui. Dovrò smaterializzare tutti noi, mi dispiace.
Doppiovubi, sconsolato, si mise a sedere sullo sgabello di una slot machine. Pensava tristemente, oltre alla sua famiglia - che sarebbe sparita tutto a un tratto e per sempre -, anche ai suoi lettori, che si sarebbero dematerializzati davanti ai loro dispositivi di lettura in capo a dieci minuti e quaranta secondi.
No Doppiovubi, no party, sarebbero spariti anche loro, che adesso leggevano allegramente. Anche loro erano fottuti.
Il tragico epilogo ormai era vicino, per tutti.
(segue)
W.B.

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