La ricerca della felicità (27)




Ho parlato di corpo fisico, che col tempo irrimediabilmente si corrompe, ma anche ciò che sta fuori di noi (possiamo dividere il Tutto in due insiemi: l’insieme A, costituito da tutti gli elementi che sono all’interno del nostro perimetro corporeo, e l’insieme B, definito -per esclusione- da tutti gli elementi che non sono dentro di noi; per la verità, ci sarebbe anche un terzo insieme, che non interseca né A né  B, ma esso si colloca in una realtà che (ancora) non ci appartiene, e quindi è errato chiamarlo terzo insieme, e forse è errato anche chiamarlo insieme, e forse è errato anche dire che si colloca, e forse è errato anche parlare di realtà, e forse è errato anche ipotizzare che ci apparterrà), ma anche ciò che sta fuori di noi, cioè l’insieme B, è chiaramente e interamente soggetto alla legge del disordine, e per quanto l’Uomo cerchi, con notevolissima superbia, di costruire, ordinare, creare, sistemare, organizzare, amministrare, e chi più ha sinonimi più ne metta, il Disordine domina, Disorder rules, appena molli un attimo, il Disordine si riappropria, padrone incontrastato, della tua vita. Ancora una volta, chi si ferma è perduto, devi far mille per ottenere dieci, la Natura, come si dice in linguaggio economico, non è efficiente, lo sforzo che è richiesto non è mai paragonabile al risultato. In generale, in ogni attività, naturale od opera umana, per ottenere il risultato x devi profondere uno sforzo y che non è commisurato a x, tanto da farti chiedere, purtroppo spesse volte soltanto a posteriori, se Ne Valeva La Pena. Anche in ambito socio-economico, e soprattutto con riferimento alla nostra bella Società Moderna dell’Orrore, provate un po’ a chiedervi se tutti gli sforzi e i sacrifici che avete fatto per arrivare sin qui (qualunque sia il vostro qui), hanno portato a un risultato adeguato, se le vostre speranze e aspettative sono state ripagate dieci volte, oppure, col guantone termico, state tirando fuori dal forno la teglia, speranzosi e in attesa, e scoprite che è praticamente vuota, sopra vi trovate uno striminzito pasticcino, grande come un’unghia, dopo anni e anni di elaborazione, impasto e lievitazione, e decenni di cottura. Tutto qui?
Lacrime e sangue, per (quasi) niente.

(segue)

W.B.

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