T-101 Mod. WB (4)



Alla fine Doppiovubi, tutto considerato, optò per recarsi nei pressi dell'Università di Glasgow (Scozia), nel febbraio del 1763.
Proprio in quell'anno (*), infatti, James Watt era stato incaricato, dall'Università di Glasgow, di riparare una “Macchina di Newcomen” (l’invenzione che aveva preceduto la vera e propria macchina a vapore), e, nel ripararla, Watt aveva capito quali fossero le modifiche essenziali per migliorarne l'efficienza in modo decisivo. Le probabilità di impedire la scoperta della macchina a vapore, uccidendo Watt nel 1763, erano così massimizzate.
Certo, restava un problema non da poco: sopprimendo James Watt, altri dopo di lui avrebbero potuto condurre a compimento l'invenzione. Il “progresso” è inarrestabile.
Se Watt fosse morto anzitempo, con ogni probabilità il suo acerrimo rivale scientifico, John Smeaton, avrebbe ideato e completato la stessa macchina; oppure lo avrebbe fatto lo stesso socio in affari di Watt, John Roebuck, o quello successivo, l’imprenditore Michael Boulton.
Doppiovubi era perfettamente consapevole del problema, ma aveva un piano.
Il nostro Eroe raggiunse così l’anno 1763, e si mise alla ricerca di James Watt.
Si recò dapprima alla taverna più vicina all'Università di Glasgow. Probabilmente, aveva pensato Doppiovubi, James Watt la frequentava. Tra un'invenzione e l'altra sarà pure andato a bere qualcosa. Quanto meno, alla taverna avrebbero potuto fornirgli informazioni preziose sulla esatta collocazione di Watt, e sulle sue abitudini.
L'indagine, ben presto, si rivelò più difficile del previsto.
In primo luogo Doppiovubi aveva sopravvalutato il suo inglese, anche e soprattutto perché l'inglese (anzi, lo scozzese gaelico!) parlato a Glasgow nel 1763 non è propriamente l'inglese parlato a Londra nel 2015. Doppiovubi, dopo le prime difficoltà, pensò che lo avrebbero considerato uno straniero, dato che parlava un inglese stentato e atipico.
In effetti risultò, di lì a poco, che Doppiovubi era stato etichettato come tedesco.
In secondo luogo, il Nostro si era aspettato che alla taverna gli avrebbero fornito informazioni con maggiore facilità.
Invece il taverniere – e anche gli avventori, al bancone e ai tavoli – erano chiusi e diffidenti. Scoprì poi che i tedeschi non erano ben visti a Glasgow, e che, in ogni caso, gli scozzesi non erano molto propensi a raccontare fatti di loro pertinenza a uno sconosciuto.
Non che James Watt fosse loro amico, e ne volessero in qualche modo preservare la riservatezza – infatti Doppiovubi venne a sapere che Watt frequentava poco la taverna, e in genere intratteneva rari rapporti sociali. Se ne stava sempre rintanato, giorno e notte, nel suo laboratorio, a compiere esperimenti e a perfezionare gli strumenti scientifici.
Quando Doppiovubi apprese dell’assoluta dedizione di Watt al suo lavoro, si rafforzò in lui l'idea che aveva sempre avuto: per ottenere grandi risultati – e nel caso di James Watt i risultati sarebbero addirittura finiti sui libri di storia e avrebbero cambiato l'umanità – occorre un lavoro duro, ma soprattutto prolungato nel tempo, per molti, molti anni. L'eccellenza si ottiene soltanto con la lunga frequentazione di un'attività: è una regola che non soffre eccezioni.
Infine Doppiovubi capì che gli scozzesi erano affaristi e commercianti per natura; tendevano a monetizzare ogni cosa, ed era chiaro che volessero essere pagati per fornire una qualsiasi informazione, tanto più che, maliziosamente, avevano presto capito che quelle informazioni erano preziose per Doppiovubi, e ciò che è prezioso dev’essere pagato, e molto bene.
Il punto era che Doppiovubi non aveva pensato a procurarsi valuta dell'epoca.
Aveva in tasca soltanto una banconota da dieci euro che, per gli scozzesi del 1763, non avrebbe avuto molto valore.
(segue)
W.B.
  
(*) Secondo alcune fonti, l'incarico di riparazione della Macchina di Newcomen fu assegnato a Watt nella primavera del 1763, secondo altre fonti nel 1764. Doppiovubi, per non sbagliare, si recò a Glasgow nel febbraio del 1763.

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