Eppure, la morte ce lo insegna molto bene.

Mi sembra che l'uomo occidentale sia ossessionato dal trascorrere del tempo.
Egli combatte una guerra contro il tempo.
Egli - vanamente - insegue la vittoria facendo una maggiore "quantità" di cose.
Per questo, egli deve essere più veloce.

Non comprendo questa generale tendenza verso una maggior "quantità" di cose fatte.

Eppure, la morte ci insegna molto bene che non conta quante cose abbiamo portato a termine, prima che lei ci sorprenda.

W.B.

Commenti

pim ha detto…
la morte non esiste.
tu, da buon vecchio democritiano, pensi alla corruzione della materia, alla disintegrazione.
ma ha ragione Parmenide.
cio che è, è; ciò che non è, non è.
se dunque siamo,
siamo, siamo stati, saremo.
W.B. ha detto…
Non vorrei che qualcuno, leggendo il tuo commento con troppa rapidità, pensasse erroneamente che sono un vecchio democristiano.
Anche perché si sta parlando di morte, e l'associazione di idee è fin troppo facile.
Come hai ben scritto, io sono un vecchio democritiano (e anche un vecchio leucippiano), non un vecchio democristiano.
Sono cose ben diverse.
pim ha detto…
nondimeno, pensi alla corruzione.
W.B. ha detto…
Ti dirò, mio caro Parmenide.
I miliardi di cellule che compongono il tuo corpo sono, a loro volta, costituite da atomi. Questi atomi sono, a loro volta, costituiti da particelle.
Queste particelle sono le stesse che sono presenti negli atomi che costituiscono le molecole che costituiscono la tastiera su cui hai scritto.
Questo però non significa che tu sia uguale alla tua tastiera.
Questo perché i miliardi di cellule che compongono il tuo corpo sono organizzate da qualcosa che nessuno ha ancora capito cosa sia, ma che convenzionalmente si chiama vita.
Con l'evento che convenzionalmente chiamiamo morte, ciascuna di queste cellule smette di lavorare insieme a tutte le altre per uno scopo comune, e va per la sua strada.
La morte, caro Parmenide, esiste.
Ma, come al solito, siamo d'accordo. E' solo un problema di ambiguità intrinseca del linguaggio.

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