Chi vuol esser lieto, sia.

Ci sono giorni in cui mi rendo conto - più del solito - che le persone pensano soltanto a sé.
Sono giorni terribili, quelli, per me.
Ossia, le persone usano cose, situazioni, ma soprattutto le altre persone, allo scopo esclusivo di "star bene".
In termini generali, di essere felici.
Vorrei richiamare l'attenzione sul verbo.
Usano, ho pensato e scritto.
Mi sembra il verbo giusto.
E' questo verbo che fa la differenza.
Tutti pensano soprattutto a sé.
E' istintivo, è la sopravvivenza.
Una cosa è pensare a sé, altra cosa è usare il prossimo per il proprio beneficio.
Questo accade quando non penso a cosa potrebbe desiderare l'altro.
Questo accade quando penso solo a cosa voglio io adesso.
E tu, non sei forse "le persone"? Credi di essere diverso?
Chi pensi di essere?
No, non sono affatto diverso. Forse, l'unico elemento che mi rende diverso è la consapevolezza di questa meschinità, di questa bassezza che appartiene anche a me. E questa consapevolezza, non la rilevo molto spesso nel prossimo.

Ovviamente, le persone usate - a loro volta - vogliono essere felici.
E usano a loro volta. La situazione diventa complessa.
Una specie di mercato capitalistico della felicità, io tiro di qua, tu tiri di là, alla fine il mercato delle emozioni, in termini di liberalismo, si regola da solo.

Il gioco dura fino a quando la vita non ti chiede di pagare un prezzo.
Dico la vita, potrei dire altro.
E questo, prima o dopo, avviene.
Per esempio.
Le situazioni cambiano.
Si perdono possibilità.
Oppure.
La persona che hai usato non c'è più.
Magari se ne è andata.
Oppure è morta.

Qualcuno non capisce, e si limita a cambiare oggetto d'uso.
Ricomincia da capo.
Qualcun altro si dispera, ma ormai è troppo tardi.

W.B.

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