Fatti, non parole.

Doppiovubi sottolinea che un fatto è un fatto; riportare l'opinione di qualcuno su un fatto, può diventare un fatto. Quindi, giornalisticamente, può essere ritenuto corretto elencare tra i fatti - e non tra le interpretazioni - l'opinione di qualcuno sui fatti (*).
Con l'abuso del virgolettato, tuttavia, il lettore è spaesato, perché il cervello non riesce bene a distinguere tra i fatti e le opinioni sui fatti (e finisce col ritenere erroneamente che le opinioni sui fatti costituiscano i fatti oggetto delle opinioni).
Per questo motivo, pensa (e opina, appunto) Doppiovubi che si dovrebbe essere molto più cauti nel farcire le notizie con le opinioni dei protagonisti, e centellinare queste ultime sino allo stretto indispensabile (**), soprattutto se i protagonisti sono personaggi, diciamo così, "autorevoli", e quindi attendibili per definizione.
Continuare a riportare il (cosiddetto) fatto che il prof. Tizio ha detto che la crescita è una buona cosa, e poi il (cosiddetto) fatto che il prof. Caio ha detto che la crescita è una buona cosa, e poi il (cosiddetto) fatto che il prof. Sempronio ha detto che la crescita è una buona cosa, alla fin fine ci porta a ritenere che l'affermazione La crescita è una buona cosa non sia - come in realtà è - un'opinione (seppur condivisa da molti), ma un fatto sacralmente irrefutabile - come in realtà non è.
E il lettore - o l'ascoltatore - da brava marionetta finirà col ripetere pedissequamente l'affermazione (che ormai assurge al rango di Verità e diventa socialmente incontestabile) in vacue, insopportabili e volgari conversazioni circolari davanti a una cotoletta durante la pausa-pranzo, o su una schifosissima pagina di Facebook, che rappresenta - sia detto en passant - il Principato del Nulla (***).

E queste non sono opinioni, ma fatti. O meglio, opinioni sulle opinioni sui fatti. Quindi, date retta a Doppiovubi in questo prezioso consiglio che segue: non date retta nemmeno a Doppiovubi, neanche quando vi esorta a dargli retta e neanche quando vi esorta a non dargli retta. Non fidatevi di nessuno. Neanche di voi stessi. Magari, almeno di voi stessi, cartesianamente, fidatevi un pochino. Oppure non fidatevi per niente neanche di voi stessi, il che, alla fine, è esattamente lo stesso.

W.B.

(*) Doppiovubi non sta qui ritornando sulla trita e antica e - forse ormai banale - questione della separazione tra fatto e interpretazione del fatto (distinzione montanelliana che conosciamo tutti) e quindi del contrabbando di mala fede delle opinioni per fatti; stiamo parlando, invece, della superfetazione del richiamo alle opinioni, le quali, ontologicamente, non sono fatti.
(**) Ma senza esagerare. Nella società moderna spesso non accade niente, se non che vengono proferite (o profferite) dichiarazioni che contengono opinabilissimi giudizi. Per cui, eccettuata la becera cronaca (della quale possiamo e dobbiamo tranquillamente fare a meno), potremmo anche ritrovarci in silenzio, il che non sarebbe male, peraltro. Ossia, arrivano le venti e il TG non viene trasmesso, Ci scusiamo con i telespettatori ma questa sera il TG non sarà trasmesso perché oggi non è accaduto niente.
(***) Con tutto il rispetto per alcuni - pochi invero - frequentatori del libro delle facce, in primis per l'amato Condore, che rappresenta un'eccezione, in quanto il Condore ha un'intelligenza superiore alla media (il che è  un fatto, non un'opinione), pur essendo colà iscritta e operativa, e nonostante ciò.

Commenti

Anonimo ha detto…
Accade che Doppiovubi si attenga al fatto come prius valutativo, in quel caso diventa molto attendibile anche la sua opinione.

Dato che la critica al giornalismo di questo post è assai opportuna perché attiene a una condizione essenziale della buona e serva conoscenza (un elemento a monte del decidere), ottimo è non farsi condizionare nella rielaborazione personale da tale inclinazione postmoderna.

Perché continui ad essere miglior magister, Doppiovubi può continuare a promuovere anche nella forma il suo impegno. E perciò, lo esorto a riprendere il buon insegnamento dei latini retori, nell'utilizzare tutte quelle espressioni che richiederebbero il congiuntivo nella consecutio temporum, perché pertinenti al fatto e alle conseguenze strette del fatto.

Esempi in latino. Verbi di avvenimento (fit ut, accidit ut...), verbi e locuzioni impersonali (est ut, satis est...), predicati nominali formati da aggettivi neutri o da sostantivi (aequum est...), i verba curandi (curo, video, provideo, nitor...), verba rogandi (oro, peto, quaero...), verbi esortativi (suadeo, moneo...), espressioni sensitivo/causali (placet ut, necesse est ut...).

E' un ottimo esercizio di onestà intellettuale, e impegna a essere responsabili di ciò che si afferma e a non disgiungere le espressioni utilizzate dalle cause.

Paolo

p.s. Vi sono casi in cui è bene fidarsi di Doppiovubi, perché anche persistendo a negarsi fiducia, quando messo alle strette dà il meglio di sé in tema di attenzione alla completezza del fatto e considerazione partecipata delle sue conseguenze. Mettere alle strette, per inciso, non significa obbligarlo o vessarlo, ma proprio mettersi nelle sue mani nel momento in cui diventa significativa la sua presenza, per altro verso mai venendo meno alle proprie "fattuali" responsabilità. Credo che Doppiovubi capisca cosa intendo, se pensasse alle volte in cui è soddisfatto del rapporto con qualche cliente. In fondo, non lo neghi, anche Doppiovubi "sa il fatto suo"... :)

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