Come non sprecare il tempo che mi rimane.

Seppur cripticamente, Doppiovubi ha già avuto modo di richiamare la c.d. “Legge di Parkinson” (*). Secondo questa legge - tra l'altro -, se si ha a disposizione un certo tempo T1 per portare a termine il lavoro L, posto che il completamento di L dovrebbe comportare – secondo una misurazione oggettiva, per quanto ciò sia possibile – un minor tempo T2, il soggetto occuperà in ogni caso tutto il lasso di tempo T1, dilatando e ritardando ciascuna delle operazioni intermedie che dovrebbero condurre al più rapido perfezionamento di L; applicazioni di questo principio si rinvengono quotidianamente: lo studente universitario che sa di avere a disposizione un mese per preparare un esame (esame che si potrebbe preparare, diciamo, in quindici giorni) tenderà a diluire lo sforzo profuso e spesso si “ridurrà”, come si suol dire, agli ultimi giorni; il commercialista che invia telematicamente il modello Unico la sera della scadenza, pur avendo avuto a disposizione tutto il tempo utile per farlo prima; sui posti di lavoro, se un compito deve essere concluso entro le ore diciotto, sarà concluso entro le ore diciotto, e non prima, e niente altro verrà fatto aggiuntivamente. In buona sostanza, tutte le volte in cui abbiamo di fronte una “scadenza”, dovremmo chiederci se quello che dobbiamo fare ha realmente bisogno di quel lasso di tempo, o di un periodo minore, ed eventualmente calibrare le nostre energie e attività su quest'ultimo.
Gli esempi potrebbero essere davvero numerosi: questa legge non soffre alcuna eccezione (**).
Doppiovubi ha riflettuto sulla L.d.P., ed è arrivato alla conclusione che debba essere proficuamente estesa alla intera vita umana. Oltre a pensare al termine costituito dal treno che partirà alle 9.26, e quindi calcolare che abbiamo a disposizione 73 minuti prima della partenza, forse sarebbe il caso di pensare al più grande ed estremo di tutti i termini, quello della morte (M). Da adesso al momento della nostra morte passerà un periodo di tempo che chiameremo TM. Noi non conosciamo, naturalmente, la grandezza TM. Potrebbe essere, espresso in giorni, TM=1, oppure, espresso in anni, TM=50. Però, purtroppo, la statistica (sia quella ufficiale sia quella nostra personale) ci condiziona. Continuiamo a ripetere – un po' meno a ripeterci - che non sappiamo a quanto corrisponderà TM, eppure dentro di noi non possiamo fare a meno di riferirci a TM “medi”, che magari tenderemo a correggere con più o meno, diciamo, cinque anni.
Orbene, sulla base di questa nostra vaga, inespressa e implicita idea della quantità TM, noi pensiamo di poter fare certe cose, sviluppare certi progetti, completare alcuni obiettivi. E abbiamo stabilito (spesso, non autonomamente, ma per induzione e condizionamento esterni) che per raggiungere un certo obiettivo occorre un certo tempo, e più l'obiettivo è grande, più sarà lungo questo tempo. Questo è vero, in linea di massima, ma forse dovremmo cominciare a pensare, per l'appunto, di applicare la L.d.P. all'intera nostra vita, e in particolare ai grandissimi progetti che tutti noi abbiamo (grandissimi in senso soggettivo, per qualcuno può essere scrivere la biografia definitiva di Aristotele, per qualcun'altro comprare e arredare la casa dei propri sogni, per un altro ancora diventare il più grande cantante del mondo; tutti obiettivi degnissimi). In altre parole, ci siamo detti (o, per l'appunto, ci hanno detto) che per realizzare un certo obiettivo occorre un certo tempo, e noi ci abbiamo creduto.
E così abbiamo “impostato” le nostre attività intermedie – funzionali al completamento dell'obiettivo - come se la quantità T2 (realmente necessaria per ottenere il “grande obiettivo”) si approssimasse alla ignota quantità TM e vi coincidesse.
In realtà T2 sarà molto inferiore.
Il risultato è, inevitabilmente, che stiamo sprecando la nostra vita, e con ogni probabilità non arriveremo a niente, anche perché TM ci potrebbe sorprendere con la sua imprevista durata.
Ma forse, a meno che TM non sia tendente a zero, siamo ancora in tempo.

W.B.


(*) Ovviamente non c'è alcuna attinenza con il morbo; ci si riferisce alla scoperta di C. N. Parkinson, che nel 1958 scrisse un libro proprio così intitolato (e che Doppiovubi ha comprato e letto). Si tratta di una legge – rinvenuta nel 1955 – di tipo “economico” in senso lato.
(**) Ovviamente, il presupposto è che, a seconda del compito che stiamo prendendo in considerazione, il tempo T2 sia valutabile in termini quantitativi piuttosto che quantitativi; non si potrà applicare la L.d.P. a una attività di tipo artistico o di un certo livello intellettuale (e che contempli una dose di creatività), ma sicuramente si può applicare ad attività (anche di tipo non materiale) che comportano una certa automaticità. Un esempio calzante sono le attività di routine. Non si pensi che l'applicazione della L.d.P. conduca necessariamente a una situazione alienante (cfr. “Tempi moderni”), dove l'aumentata quantità delle azioni rende l'uomo simile a una macchina. E' proprio all'opposto: liberare tempo significa rendere anche l'uomo libero di compiere, nel tempo liberato, azioni creative e qualitativamente superiori. Non si tratta dunque di “fare più cose”, ma di usare bene il tempo che abbiamo a disposizione, o come cantava Battiato ne “L'ombra della luce”, si tratta di capire “come non sprecare il tempo che ci rimane”.

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