La preghiera

"Lo spirito è eternamente libero. Gli "stati di coscienza" e il flusso della vita psicomentale gli sono estranei".
(Mircea Eliade)

Credo che uno dei motivi della grave crisi in cui versa la Chiesa cattolica sia l'eccesso di razionalità che caratterizza il rapporto che il fedele ha, o deve avere, o dovrebbe avere, con il divino.
Dovremmo essere tutti d'accordo sul fatto che, se una parte immortale dell'uomo esiste, quella non coincide con la mente e non risiede nella mente. L'anima, o lo "spirito", non ha niente a che vedere con gli stati psichici ed emotivi. I pensieri, nella loro qualità fisica di corrente elettrica, fanno sicuramente parte del mondo finito, della materia, del corruttibile.
L'anima non è, non si identifica con la mente, come ben scriveva Eliade, sopra citato.
Se questo è vero, il rapporto con il trascendente è ben difficilmente realizzabile mediante il pensiero (e quindi mediante il linguaggio, perché il pensiero razionale non può esistere senza linguaggio).
La preghiera, intesa quale comunicazione tra Dio e l'uomo, nella misura in cui è veicolata dal pensiero e dal linguaggio, incontra limiti difficilmente superabili.
Il linguaggio dell'anima è tale per cui occorrerebbe porsi davanti a un crocifisso, per un tempo indeterminato, e attendere, senza pensare a niente. Dopo un minuto, o dopo un'ora, o dopo un giorno, l'anima si espande. Si può finalmente piangere.
L'assenza di pensiero avvicina a Dio, ed è il grande vantaggio di alcune religioni orientali rispetto a quella cattolica. Là si privilegia la meditazione, nella sua caratteristica di allontanamento del e dal pensiero.
Ecco, quello che mi pare manchi, alla Chiesa cattolica, è una riscoperta della mistica cristiana. La cultura teorizzatrice del Vaticano è immensa. La costruzione razionale rasenta la perfezione.
Eppure, nella sua finitezza, ci allontana da Dio.
W.B.

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