Il male

Non ricordo più dove - ma lo cercherò e ne darò conto - Seneca tratta del problema del rapporto tra Dio e il male. E' il tema che ogni uomo, prima o poi, nella sua vita, deve affrontare. In pillole: se Dio (esiste e quindi) è, per definizione, buono, perché esiste il male?
Dio, che è onnipotente, perché consente che l'uomo soffra? Naturalmente, il problema diventa gravissimo quando ci riferiamo ai casi di sofferenze del tutto incolpevoli (ad esempio, il neonato che si ammala e muore).
Leibniz, che ha studiato a fondo l'argomento, su cui ha scritto i Saggi, ha addirittura coniato il neologismo teodicea, ma il problema si pone da quando l'uomo esiste.
Per chi volesse conoscere tutti gli aspetti del problema, nessuno escluso, consiglio l'ottimo e completo Dio nel dolore, di Armin Kreiner, ed. Queriniana.
Torniamo a Seneca. Non ricordo, come dicevo, dove lo dice, ma ricordo cosa dice.
Secondo Seneca, il male, la sofferenza, il dolore sono esclusivamente opera di Dio. Egli, dunque, risolve senza mezzi termini l'antecedente logico problematico (è Dio a essere autore del male, o il male è generato da una potenza avversa malefica?) nel senso che ogni responsabilità è da attribuirsi pienamente a Dio. E' solo Dio, in altre parole, che consente che l'infante sia ucciso da un tumore al cervello. Con ciò si elimina alla radice l'impostazione "manichea", in base alla quale l'onnipotenza di Dio non sarebbe più tale, e si cancella quindi alla base ogni contraddizione logica.
Ma perché Dio, secondo Seneca, consente, e quindi è causa unica del male?
Il filosofo sostiene che Dio ama i suoi figli, e si prende cura di loro. Le sofferenze che Dio ci arreca sono il segno che egli si sta occupando di noi. Paradossalmente, se a qualcuno va tutto sempre bene, significa che Dio non si cura di lui, perché quest'ultimo non se lo merita. Dovremmo dunque essere lieti di soffrire, perché Dio, in tal modo, manifesta la sua cura di padre nei nostri confronti.
E' evidente che l'uomo moderno, non necessariamente ateo, di fronte a questi argomenti, nella migliore delle ipotesi sorride, mentre, nella peggiore delle ipotesi (ad esempio, se gli è appena capitata una disgrazia) potrebbe anche essere - comprensibilmente - colto dall'ira.
Rimane pertanto da spiegare l'apparente paradosso contenuto nell'argomento di Seneca.
Come si può pensare che Dio manifesti il suo amore facendoci soffrire?
Come giustifichiamo questo Dio sadico e quest'uomo masochista?
Credo che, logicamente, ci sia una sola spiegazione.
L'attaccamento al mondo materiale ci allontana dal mondo spirituale.
Solo la sofferenza riesce a liberarci da questo attaccamento, per guidarci nuovamente verso un bene superiore. Finché tutto ci va bene, finché tutto fila liscio, l'illusione materiale si rafforza.
Due considerazioni conclusive.
La prima.
Il problema della teodicea è a mio parere il più importante che si possa affrontare.
Credo che ogni uomo che si possa dire tale abbia il dovere di riflettere su questo tema. Io ne so pochissimo. Auspico che qualcuno senta il desiderio di studiare.
La seconda.
Non so se Seneca abbia ragione o no.

W.B.

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