La ricerca della felicità (7)



“In some ways both Santa Clause and The Secret have done us a disservice. Both focused on wishing something would happen and either through the process of writing it down and/or visualization, it is supposed to magically appear. Many management and self-help gurus cite research, reportedly done at Harvard or Yale universities, which describes why only 3% of Harvard MBAs make 10 times as much money as the other 97%--because they write down their goals. The problem with this claim is that no such research study exists.”.

Su Babbo Natale e su The Secret, diciamo che una cosa è fissare degli obiettivi, altra cosa è ritenere che basti scrivere quegli obiettivi, metter giù una lista, perché si realizzino. Nessuno si sogna di dire che basti formare un elenco per ottenere il risultato. Sulla esistenza o meno della ricerca citata, è una mania pseudo-scientifica - di stampo para-galileiano - quella di ritenere che perché un’idea sia fondata debba essere supportata, sempre e comunque, da una ricerca.

Ma andiamo avanti.

“While conventional wisdom has it that goal setting is critical to improved performance, there is compelling evidence to the contrary.”.

Ha detto bene, la saggezza comune, la saggezza “convenzionale”. Appunto. E ancora:

“In my article in the Financial Post, I said, "The inherent problem with goal setting is related to how the brain works. Recent neuroscience research shows the brain works in a protective way, resistant to change. Therefore, any goals that require substantial behavioral change or thinking-pattern change will automatically be resisted. The brain is wired to seek rewards and avoid pain or discomfort, including fear. When fear of failure creeps into the mind of the goal setter it commences a de-motivator with a desire to return to known, comfortable behavior and thought patterns.".

Che esista una ricerca - che potevano anche risparmiarsi - che dimostra che il cervello si oppone ai cambiamenti, non esitiamo a crederlo. Il passaggio logico è però discutibile: dato che il cervello è refrattario ai cambiamenti, non poniamoci nemmeno l’obiettivo del cambiamento, perché il cervello ci saboterà.

“Aubrey Daniels, in his book, “Oops! 13 Management Practices That Waste Time and Money”, argues that stretch goals are an ineffective practice. Daniels cites a study that shows when individuals repeatedly fail to reach stretch goals their performance declines. Another study showed 10% of employees actually achieved stretch goals. Daniels argues that goals are motivating people only when they have received positive rewards and feedback from reaching goals in the past.”.

E qui Doppiovubi deve aprire una parentesi importante. Una cosa che ho imparato dalla vita - soprattutto dall’osservazione del comportamento altrui - è questa: quando abbiamo stabilito che una persona sta sbagliando, e il suo argomento non è condivisbile, tendiamo a scartare in toto il suo ragionamento. O tutto o niente, insomma. Tuttavia - tranne in casi rari - non è mai vero che tutto quello che dice qualcuno, su uno specifico argomento, sia sbagliato, o, per converso, che tutto quello che dice qualcuno su un tema sia giusto. Su dieci cose sbagliate almeno una potrebbe essere giusta, e magari quell’una cosa potrebbe essere di importanza fondamentale (*). Teniamo dunque acceso il sonar e ascoltiamo - o leggiamo - il pensiero altrui valutando le singole idee, una per una, senza pregiudizi sul mittente. Ogni volta che una frase è terminata, in buona sostanza, dovremmo fare, per quanto possibile, tabula rasa, e concedere fiducia piena all’interlocutore per ciò che concerne la frase successiva. Troppe volte mi è capitato di veder soggetti che scuotono la testa, mentre l’altro sta dicendo una cosa sacrosanta, solo perché la penultima idea era bislacca.
Nel caso di specie, l’idea espressa dall’autore mi sembra valida, seppur in un contesto sbagliato. Gli “stretch goals” debbono essere ben tradotti: sono gli obiettivi troppo difficili, tendenzialmente irrealizzabili. Il business dictionary on line spiega gli stretch goals così: “That cannot be achieved by incremental or small improvements but require extending oneself to the limit to be actualized. Expressed in the saying, "You cannot cross a chasm in two steps.". “Non puoi attraversare un baratro con due passettini” (**). Per uno come Doppiovubi, che adotta la filosofia Kaizen, è evidente che un “goal” che richiede - per la realizzazione - un salto quantico, non è ben posto. Anche se, ci sarebbe da dire, l’obiettivo deve essere grandioso, tutto starà nello spezzettarlo in obiettivi più piccoli. Ma questo, come diceva la voce narrante di Heidi, lo vedremo nelle prossime puntate.

(segue)

W.B. 

(*) Se in politica si adottasse la metodologia descritta, si potrebbe davvero collaborare con le diverse parti politiche per ottenere leggi migliori. Invece l’avversario è demonizzato: tutto quello che proviene dai banchi dell’opposizione - o della maggioranza - è sbagliato a priori perché proviene da quella parte politica. 

(**) La frase fu detta dal primo ministro inglese David Lloyd George: "Don't be afraid to take a big step if one is indicated. You can't cross a chasm in two small jumps.". In realtà dovrebbe essere interpretata meglio. L'uomo politico intendeva dire che in alcuni casi è necessario spiccare un grande balzo, per superare un grosso ostacolo, piuttosto che farne due piccoli e abbordabili, che ti farebbero cadere nel vuoto. Il problema è se è proprio necessario passare oltre quel baratro o se, come diceva Giacomo del Trio Aldo-Giovanni-Giacomo, "c'è il sentiero".

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