Il gesto

Circa due anni fa elaborai alcune interessanti riflessioni - interessanti magari solo per me - sul concetto di 'scopo', 'finalità', 'obiettivo'. 
Proverò adesso a raccontarvele, sempre che ci riesca.
Nella vita ciascuno di noi va avanti ponendosi continuamente scopi, che sono ordinati cronologicamente, secondo una concatenazione di tipo 'seriale' (si può compiere una sola azione per volta).  
Prendiamo uno scopo qualsiasi a breve termine, per esempio 'recarsi all'Ikea a comprare delle candeline profumate' (obiettivo che chiameremo "x"). 
Per raggiungere tale obiettivo, si deve previamente attuare una concatenazione di altri atti, che rappresentano, per così dire, 'sotto-obiettivi' rispetto all'obiettivo primario, e ne cito solo alcuni: si deve accendere l'automobile, percorrere la strada fino all'Ikea, parcheggiare, chiudere la serratura, eccetera. 
Questi 'sotto-obiettivi', tutti orientati ad "x", a loro volta contengono degli altri 'sotto-obiettivi' ancora più ridotti. Per esempio, per accendere l'automobile si devono prima prendere le chiavi. Per prendere le chiavi si deve spostare il proprio corpo in direzione del luogo dove si trovano le chiavi, e sempre più in particolare, si deve muovere un braccio verso le chiavi, si devono muovere le dita per afferrare le chiavi, e infine si deve far partire un impulso, dal cervello, per comandare le dita che afferreranno le chiavi. 
Si può così pervenire sino al singolo impulso cerebrale, oltre il quale la frammentazione degli obiettivi non può continuare. 
Quando tizio sta generando un impulso cerebrale per muovere le sue dita per afferrare le chiavi che gli consentiranno di andare all'Ikea ad acquistare la candelina profumata, si potrebbe sostenere che l'obiettivo di tizio sia quello di 'afferrare le chiavi', ma in un'ottica più generale, in realtà il suo obiettivo non è quello di 'afferrare le chiavi' (azione che non è interpretata dal soggetto agente come un valore in sè), bensì quello di 'possedere la candelina'. 
Per il momento possiamo tralasciare la visione ancora più generale. Infatti, sino ad ora abbiamo frammentato le azioni e abbiamo esaminato i singoli obiettivi, ma potremmo anche allontanarci dall'azione, e immaginare che l'obiettivo primario non sia nemmeno quello di acquistare la candelina, bensì quello, per esempio, di 'fare felice la moglie', tramite l'acquisto della candelina. Evidentemente è bene fermarsi, nell'analisi, agli obiettivi consapevoli, che vengono interpretati come tali.
Ora, il problema dell'uomo, a mio modestissimo avviso, è che mentre egli punta al raggiungimento dello specifico scopo che si è prefissato non sta ponendo la necessaria attenzione agli obiettivi intermedi, interpretati come meri passaggi per raggiungere "x". La sua coscienza esclude la concentrazione sugli obiettivi intermedi, compiuti automaticamente. 
Eppure la vita è costituita, quantitativamente, soprattutto da questi obiettivi intermedi. Molto di ciò che si fa non viene percepito, in quanto meramente strumentale al raggiungimento dell'obiettivo prefissato. 
E così la vita perde di significato. 
Anche un gesto banale può diventare invece una vera e propria 'esperienza'. La vita si fa piena e ricca. Ogni azione viene considerata come avulsa dal resto e come significativa in sè. 
Lo scopo è quasi del tutto eliminato. 
Il desiderio - che è ciò che rende l'uomo infelice - tende così a scomparire.

W.B.  

Commenti

Anonimo ha detto…
Esiste un metodo ancora più efficace per riempire di senso la vita quotidiana. Attingendo alle categorie weberiane, basterebbe eliminare l'agire per scopo e limitarsi a valutare l'agire per valore. In sostanza ogni azione umana, per quanto possa avere una finalità, è senz'altro concepibile sempre come ricettacolo di un valore. E' il "come" si agisce, da anteporre al suo "perché", il vero motore di cambiamento del senso del presente. E' chiara la conseguenza di questa affermazione. Se venisse affermata la pregnanza morale di ogni azione, la prima attenzione della persona non sarebbe fuori da sé, bensì dentro di sé, nel discernimento dei valori e nella misura onesta della propria coerenza ad essi. Se questo diviene il paramentro della felicità, ecco concretizzarsi anche una virtù più grande, la speranza. Non è più l'ottenimento dell'obbiettivo il vero anelito dell'uomo, bensì la pienezza dell'agire del presente, profezia per quanto verrà, senza affanno sugli obbiettivi, intermedi o ultimi.
W.B. ha detto…
Perfetto. Non ricordo più chi ha detto che l'uomo trae la felicità non dal compiere le azioni, ma da COME compie le azioni.

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