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Visualizzazione dei post da aprile, 2014

La ricerca della felicità (9)

Dicevamo. Il goal-setting è stato trattato per primo da Aristotele, nell’Etica Nicomachea, con buona pace di coloro i quali, sapientoni e filosofoni, storcono il naso di fronte al coaching   e ai moderni gurus del self-improvement. Aristotele era uno con due cosi così. Se vivesse oggi sarebbe lì ad attizzare l’uditorio con un microfono attaccato all’orecchio. Una certa idea della filosofia ha relegato i filosofi medesimi in un mondo triste, lugubre quasi, polveroso e tetro, dove si medita guardando il soffitto e ogni due ore si scrive una mezza frase ambigua e interpretabile in venti modi diversi. Secondo me Aristotele non era così. Il suo discepolo più famoso, tra l’altro, ha conquistato il mondo, e aveva un’auto-stima pazzesca. Un motivo ci dovrà pur essere stato. Una certa idea della filosofia crea persone depresse, anziché persone felici di vivere, che poi è lo scopo reale della filosofia (intendo, perseguire la felicità). Se leggi Essere e Tempo , di Martin Heidegger, è

La ricerca della felicità (8)

“Sai, questo... questo è un caso molto, molto complicato, Maude. Un sacco di input e di output . Sai, fortunatamente io rispetto un regime di droghe piuttosto rigido per mantenere la mente, diciamo, flessibile.” ( Il Grande Lebowski , 1998) Come ho detto già su FB, in risposta alle giuste lamentele di uno dei miei più fedeli seguaci, che appunto si doleva del prolungato silenzio qui sul blog, il prolungato silenzio serve - anche - a scremare i miei apostoli più fervidi, quelli che non mi abbandoneranno mai , rispetto a quelli dell’ultima ora. The strong core , lo zoccolo duro (*). In effetti c’è una statistica di lettori che insiste a guardare - alle otto di mattina - se c’è un aggiornamento. Quelli sono lo zoccolo duro, la mia personale pietra su cui costruirò, il framework che durerà nei secoli. Su di voi, miei zoccoli, io edificherò. Come anche ho detto su FB, seppur in altra circostanza, è una questione di input e di output . Doppiovubi ogni tanto ha bisogno d

La ricerca della felicità (7)

“In some ways both Santa Clause and The Secret have done us a disservice. Both focused on wishing something would happen and either through the process of writing it down and/or visualization, it is supposed to magically appear. Many management and self-help gurus cite research, reportedly done at Harvard or Yale universities, which describes why only 3% of Harvard MBAs make 10 times as much money as the other 97%--because they write down their goals. The problem with this claim is that no such research study exists.”. Su Babbo Natale e su The Secret, diciamo che una cosa è fissare degli obiettivi, altra cosa è ritenere che basti scrivere quegli obiettivi, metter giù una lista, perché si realizzino. Nessuno si sogna di dire che basti formare un elenco per ottenere il risultato. Sulla esistenza o meno della ricerca citata, è una mania pseudo-scientifica - di stampo para-galileiano - quella di ritenere che perché un’idea sia fondata debba essere supportata, sempre e comunque, da

La ricerca della felicità (6)

Si chiama “goal-setting”. Fissare uno scopo, stabilire un obiettivo. Gli americani ne hanno fatto una scienza. Gli americani fanno una scienza di tutto ciò che apprezzano. Su psychologytoday.com trovate naturalmente un articolo di Ray B. Williams - datato 11.4.2011 - che sostiene che il goal-setting non funziona, e anzi è dannoso. C’è sempre qualcuno che sostiene una tesi diversa. Non siamo mai andati sulla luna. L’Olocausto non c’è mai stato. Il goal-setting è sbagliato. L’articolo è intitolato - ovviamente - “Why goal setting doesn’t work”. Il titolo è già capzioso. Dà per scontato che il g.s. non funzioni, e ci spiega perché.   Potremmo scrivere un articolo dal titolo Vi spieghiamo perché l’Inter è la squadra più forte del mondo. L’articolo si trova all’indirizzo http://www.psychologytoday.com/blog/wired-success/201104/why-goal-setting-doesnt-work , ma visto che internet è mutevole e cangiante, come il mitologico Proteo, non è da escludersi che tra qualche tempo a

La ricerca della felicità (5)

Fino a qualche anno fa, nel calcio - per indicare la rete segnata - si scriveva ancora “goal”, con la “a”. Poi, lentamente, ma inesorabilmente, la “a” è scomparsa. Nessuno scrive più “l’Inter ha subito un goal all’ultimo minuto”. La parola “goal” è chiaramente di origine inglese. Il miglior dizionario etimologico inglese on-line dice: “ goal (n.) 1530s, "end point of a race," of uncertain origin. The noun “ gol” appears once before this, in a poem from early 14c. and with an apparent sense of "boundary, limit." Perhaps from Old English *gal "obstacle, barrier," a word implied by gælan "to hinder." Or from Old French gaule "a pole," from Germanic; or a figurative use of Middle English gale "a way, course." Sports sense of "place where the ball is put to score" is attested from 1540s. Figurative sense of "object of an effort" is from 1540s.”. Dal che scopriamo che: a) alla Gazz