E polvere ritornerai.

Pensava, Doppiovubi, che tutte le interviste che ha rilasciato, gli studi che ha svolto, l'auto-esaltazione relativa al suo essere magistrato sin da giovine, il presunto contributo alla formazione della carta, come la chiamava lui, la patetica convocazione delle reti unificate per affermare la propria resistenza al complotto ordito, il suo pugno chiuso a contenere il mento antiesteticamente troppo pronunciato nelle fotografie appese negli edifici pubblici, l'impegno politico antiberlusconiano, e la dignità, la verità etc. etc., ebbene, tutto questo non solo non esiste più, ma non è servito a niente, e lui e le sue opere e i suoi pensieri saranno presto dimenticati da tutti, e quei pochi uomini che se ne ricorderanno, moriranno e i loro ricordi si dissolveranno.
E poi, pensava ancora Doppiovubi, questo vale per tutti noi.

W.B.

Commenti

Anonimo ha detto…
Sono molto contento di questa constatazione. Finalmente Doppiovubi si è reso conto che le Sue battaglie erano inutili, vanità delle vanità. Non solo perché a un certo punto si constata che non vi è niente di nuovo sotto il sole e che i risultati acquisiti o mai raggiunti in queste vie sono comunque tutti destinati a cadere nell'oblio, ma perché tali battaglie non sono per nulla il centro dell'esistenza ed è giusto che siano oblio.

D'altra parte se Doppiovubi avesse solo conseguito qualcuno degli obbiettivi che elenca con strepitoso successo, e comunque con lo spirito falsamente teleologico e rivoluzionario che ora constata esserci stato, quanto affanno inutile avrebbe comunque generato. Già sarebbe stata una grazia comprendere da anziano che è la polvere sui trofei guadagnati ad essere divenuta più importante dei trofei stessi. E che molta della Sua opera era orgoglio mortale, non acquisto di immortalità.

Ecco, chi scrive non è diverso da Doppiovubi, né si può fregiare di qualcosa in più tra le cose descritte che non sia vano, ma su una cosa desidera gareggiare con Doppiovubi perché riconosce esistere una gara non vana.

Anzitutto sul "timore" (la reverenzialità) di essere sempre secondo, mai primo su qualunque cosa faccia. In secondo luogo, sulla fiducia verso ciò che è dato in attributo, quale prestito da scontare insieme. E ancora, sul mondare i gravi inutili, nell'esercizio di potatura per dare più frutto. Poi, sulla gioia dell'intreccio delle intuizioni verso il Vero e il Bello, sperimentandone l'esistenza, e stabilendo dimora in essa.

Sfido Doppiovubi a performare questa gara senza riserve, lasciando campo aperto. Poiché si tratta di attività che necessitano per forza l'esperienza comune attiva e una continua gioiosa mortificazione di ciò che muore e un continuo atto di fede in ciò che esiste al di fuori di noi e anche dentro di noi senza nostro merito alcuno: solo in questa dimensione dipendente e mai sovrana è possibile scoprire cosa resiste al vano.

Paolo
pim ha detto…
Era il mio numero uno. Il mio diavolo personale. Il catalizzatore dei miei strali e l'ultimo orizzonte dei miei sì. Era il mio campione al contrario, il mio uomo-nadir. Era la retorica fatta persona, il vuoto dell'anima, un vecchio, grosso sacco appesantito da novant'anni di parole sempre più rarefatte, sempre meno significanti, sempre più inutili. Era l'emblema di un sistema inafferrabile, invisibile, intoccabile. L'immarcescibile nocchiero, con la sciarpa bianca, in un fiume fangoso, malato, maleodorante, in cui confluivano i detriti, le scorie e cascami dell'industria della politica. Il più democristiano dei democristiani, salito al trono che voleva qualcun altro, che si mise a sputacchiare la morale quotidiana, parlando di responsabilità e di coraggio di verità, lui che non conosceva né l'una né l'altro.
Era, invero, l'incapacità di essere vero, l'incapacità di essere reale, di dire, finanche di mostrare. Era come quei sacchi di risate delle giostre, o le scatolette che fanno i versi degli animali se girate sottosopra. Era il potere per il potere, con il potere e dentro il potere, consustanziale con esso.

Avrei voluto scrivere un post su di lui, nel giorno della sua morte. Lo aspettavo da anni. Da anni abbozzavo nella mia testa il mio lunghissimo elenco, le mie accuse, pregustavo il giorno in cui avrei aperto ai miei giudizi, avrei spalancato ai miei orrori, gustato i miei lazzi.
Invece, quel giorno, non ho scritto niente.
Anonimo ha detto…
Anche Pim si è accorto della vanità di questi pensieri, mi pare una gran cosa.

In effetti, certe riflessioni non giovano a nessuno.

Meglio piuttosto liberarsi dagli orpelli interiori e dagli stereotipi istituzionali negativi su cui riversare il proprio senso di giustizia frustrata, per concentrarlo su cose più reali, prossime e proficue.

Auspico che Pim e Doppiovubi rivelino tutto il loro migliore senso sociale, facendolo fiorire dall'essenzialità.

Paolo

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