Il valore antropologico di Milan-Barcellona.

Quando Maxi Lopez ha gonfiato la rete siglando il (purtroppo momentaneo) 2-1 nella semifinale di Coppa Italia contro i malefici bianconeri, Doppiovubi ovviamente ha esultato, scattando in piedi con i pugni chiusi. Quel gesto istintivo ha costituito una sorta di folgorazione sauliana per lo stesso Doppiovubi, il quale ha riflettuto lungamente sul senso ultimo di quella esultanza ed è giunto a importanti conclusioni sotto il profilo antropologico (1).

Quello che Doppiovubi sta per dire nulla ha a che vedere con la miriade di interpretazioni sociologiche del fenomeno calcistico, bensì è da inquadrarsi in un’ottica, per così dire, naturalistica e a livello generalissimo.

Procederemo spinozianamente per gradi, avvertendo il lettore che, nella concatenazione causale, more geometrico, da un grado al successivo, si stempera progressivamente la percezione della causa prima, che viene per così dire ‘inquinata’ dagli ulteriori elementi di carattere contingente e sociologico, fino a diluirsi quasi del tutto. A voi:

a) L’uomo, inteso nel senso proprio di appartenente al genere maschile, per natura ha la ineludibile necessità di espellere liquido seminale all’interno di un locus femminile, e di farlo il più possibile (2);

b) la risorsa femminile, obbiettivo primario, è una risorsa scarsa (economicamente intesa, nel senso di non illimitata) e quindi si pone un problema di concorrenza con gli altri maschi;

c) la soluzione del problema concorrenziale sub b) è collegata indissolubilmente al concetto di “territorio”, ossia di area locale all’interno della quale l’uomo ha la piena disponibilità di almeno un essere femminile (meglio se numerosi esseri femminili) senza soffrire la concorrenza di altri maschi (3);

d) la conquista e il mantenimento del territorio, da parte del maschio, implica la necessità di un atteggiamento violento (anche solo per questioni difensive) e (al fine di acquisire nuovi territori) financo aggressivo;

e) da d) discende la naturale propensione alla guerra, da parte del maschio;

f) il maschio si rende conto che ha bisogno di aggregazioni (due uomini sono più forti di uno, e tre uomini sono più forti di due) disciplinate da regole interne, al fine di essere più forte e di poter mantenere un certo controllo sul territorio, sempre al fine di garantirsi la piena realizzazione di a), mercé le regole interne all’organizzazione;

g) il maschio dunque escogita varie forme di appartenenza a gruppi, e nascono così le fazioni (e fors’anche la democrazia stessa); non è più il singolo maschio che lotta contro l’altro maschio, il lupo che scaccia il lupo dalla sua area, ma il gruppo che si afferma più forte di un altro gruppo; in questa fase l’uomo ha già smarrito la causa prima che lo muove, ossia l’istinto sessuale, e procede inconsapevolmente (4);

h) da un coinvolgimento diretto del maschio nella lotta e nella guerra per l’affermazione del proprio gruppo, sorge il concetto di rappresentanza: l’uomo non lotta più direttamente (o, quanto meno, non solo direttamente), ma delega la lotta a un proprio rappresentante, nel quale si identifica e sublima il suo istinto di lotta per il mantenimento di una posizione; il singolo sceglie dunque i “migliori”, quelli che possono lottare meglio, e al meglio, al posto suo;

i) lo sport agonistico diventa così la sublimazione (una tra le tante sublimazioni) della necessità sub a), e così perveniamo finalmente al calcio.

Nel calcio troviamo tutti gli elementi più importanti che sono presenti nell’inconscio maschile: la necessità della conquista di un territorio (ben raffigurato da un campo suddiviso in due parti uguali), lo scontro fisico, la lotta, il conseguimento della supremazia. Sotto il profilo antropologico l’uomo si sente in tal modo maschio, senza percepirlo consapevolmente, e avverte la importanza dell’affermazione della sua squadra. Naturalmente in altri sport questa sublimazione è molto più pregnante, come, per esempio, nel rugby, dove l’elemento territoriale e lo scontro fisico sono assai più rilevanti ed evidentissimi. PIM ha suggerito, con slancio metaforico commovente nella sua perfezione, che nel tennis occorra anche l’elemento materiale costituito dalla racchetta vista come mazza, come arma contundente. Forse discutibile ma meravigliosa metafora o richiamo inconscio.

Ed ecco che l’uomo che segue il calcio vuole che la sua squadra vinca, perché la sua squadra rappresenta la sua lotta personale e individuale contro gli altri maschi, contro gli altri lupi. Ecco perché Doppiovubi ha esultato al gol di Maxi Lopez. E’ banale e superficiale l’interpretazione corrente, in base alla quale l’identificazione nella squadra che vince consente al singolo di vincere anch’egli; o meglio, tale interpretazione deve essere necessariamente completata, e diviene, per tal via, feconda di risultati.

Da quanto sopra derivano alcuni corollari importanti, che valgono anche a dimostrare la bontà delle ipotesi.

Doppiovubi ne ha escerpiti nove, ma potrebbero essere molti di più:

I) non è casuale che le donne non amino il calcio, in quanto non sentono per natura le necessità sub a-b-c-d-e (le poche femmine che amano il calcio e lo seguono lo fanno o per imitazione compiacente del padre o per interessi utilitaristici nei confronti del loro maschio) (5);

II) i maschi che affermano di non apprezzare il calcio possono essere inquadrati in una di queste tre categorie alternative: IIa) sono omosessuali, al limite nella forma di latenza; IIb) hanno avuto una madre possessiva che li ha condizionati fortemente, al punto da inibire in loro alcuni istinti tipici della mascolinità; IIc) hanno sublimato l’istinto di lotta (per il territorio) in altre attività, per esempio di natura intellettuale: si scoprirà infatti che l’uomo che dice ‘non mi piace il calcio’ poi, per esempio, giocherà a scacchi interminabili partite con un altro maschio per avere la supremazia all’interno di un banale quadrato di plastica (vedi anche quanto scritto sotto, sub VII), elevato artificiosamente a nobile e complessa attività intellettuale;

III) da f ) e g) deriva che le donne sono in generale scarsamente interessate alle forme di aggregazione, e questo si nota per esempio in politica; il fatto che le donne non siano rappresentate in politica è la conseguenza non di una società maschilista, bensì del fatto che le donne sono scarsamente interessate ad aggregarsi in fazioni per lottare a difesa di una certa supremazia: le donne hanno un altro obiettivo, che è un obiettivo altamente individuale, ma ugualmente ineludibile e ontologico: dare la vita, e poi conservarla; ne segue che la politica in generale – nel senso moderno - è fatto maschile, e, ripetesi, non perché le donne siano relegate a ruoli subalterni, bensì in quanto, dovrebbe essere ormai chiaro, per natura le donne hanno una vocazione individualista; il ruolo subalterno, che esiste e che non viene qui negato, non è dunque l’effetto di una presunta volontà maschile in tal senso, bensì l’effetto di una mancanza di volontà femminile; non si confonda l’anelito femminile moderno alla partecipazione con un autentico desiderio, in quanto il primo è il portato della reazione, frutto d’orgoglio e di auto-determinazione di genere, alla presunta affermazione della superiorità maschile da parte dei maschi, con ciò confondendo e male interpretando la reale volontà dei maschi medesimi – tesi unicamente ad aggregarsi per guerreggiare e non certo per escludere il genere femminile dalla guerra;

IV) da e) deriva che le donne non sono interessate al fenomeno bellico, e ciò non perché siano più ‘buone’ dei maschi, ma in quanto la loro finalità istintiva si colloca, come già detto, su ben altri piani; né l’uomo vuole la distruzione in quanto tale, bensì la distruzione è necessaria conseguenza dell’istinto bellico (cfr. anche quanto spiegato nella nota 6);

V) ad integrazione di I), le donne non possono “dire la loro” sul fenomeno calcistico (e tantomeno su questo post), e se lo fanno di norma sbagliano, in quanto ontologicamente non sono in grado di comprenderlo, così come gli uomini non possono ontologicamente comprendere l’atavico attaccamento della femmina al nido; ben si spiega la tralatizia affermazione femminile tesa alla assurda banalizzazione del calcio descritto in termini di “ventidue uomini che corrono in mutande dietro a una palla”;

VI) la sublimazione calcistica è solo una fra le tante sublimazioni esistenti, che però fanno capo tutte quante al concetto di lotta per il territorio con le conseguenti aggregazioni, lotta finalizzata a poter compiere più atti sessuali possibili (salvo quanto indicato sub IX); paradossalmente, la guerra in Libia ha un doppio pretesto: non si è andati a combattere per esportare la democrazia, si dice, ma per il petrolio; ebbene Doppiovubi e PIM concordano su questo, cioè che non si è andati neanche per il petrolio, bensì il petrolio ha costituito a sua volta un pretesto per poter fare una guerra, ossia per seguire il proprio istinto (6); altra sublimazione è quella economica e affaristica, ciò che ben si vede in nazioni dove il fenomeno calcistico non attecchisce (es.: negli USA, campioni del capitalismo ma non del calcio), e per converso abbiamo Paesi dove il calcio riveste un ruolo fondamentale (come in Brasile), e dove – contestualmente - la fisicità istintiva è altrettanto forte e caratterizzante (7);

VII) è raro imbattersi in altissimi intellettuali che siano a un tempo amanti del calcio: infatti costoro hanno completamente represso l’aspetto istintuale per far posto al raziocinio puro; ciò non significa che non cedano alla natura (non si può vincere, contro la natura): la loro appartenenza a circoli accademici li porta a desiderare posizioni di supremazia e di conquista di territori metaforici, non diversamente dal disprezzato football;

VIII) a completamento di I) e V), si aggiunga ancora che, per paradosso, le donne che contrastano le passioni calcistiche dei loro uomini stanno inconsapevolmente reprimendo l’aspetto più genuinamente maschile di questi ultimi (donne, siate indulgenti con gli uomini calciofili, e apprezzatene la intrinseca virilità); per paradosso inverso, gli uomini che trascurano le loro donne per recarsi allo stadio stanno cercando di realizzare l’atto sessuale nel modo peggiore, cioè allontanandosi fisicamente dal loro obiettivo primario (le donne, in taluni casi, sentendosi trascurate, potrebbero addirittura scegliere un altro maschio che nel frattempo si rende disponibile, il quale a sua volta ha optato per sublimazioni diverse rispetto al calcio); questa considerazione potrebbe essere estesa ad altri ambiti, molto più vasti, come, per esempio, quello secondo cui l’uomo moderno occidentale ha completamente perduto il senso delle necessità istintive primarie e si muove smarrito e confuso nella realtà: tra una formica che costruisce il proprio tunnel e ci ammassa scorte alimentari e l’uomo di oggi non c’è alcuna differenza. Entrambi hanno di mira la realizzazione di due necessità primarie per la sopravvivenza: avere il cibo e un riparo. Il problema è che l’uomo, a differenza della formica, è diventato completamente inconsapevole di questi due bisogni primari, e lotta per inseguire obiettivi troppo complessi che ne rendono l’esistenza carica di sofferenza e insoddisfazione. Aggiunge PIM: “(in tutto questo purtroppo aiutato dalla donna, la quale ha del pari perduto, anche se meno, la sua inclinazione ontologica, e provandosi, pur non credendo affatto nel progetto, a fare cose da maschi, contribuisce a creare estrema confusione e disgregazione)”. Prosegue Doppiovubi: la formica, invece, va dritta all’obiettivo ed è per questo felice (forse; per saperlo bisognerebbe essere una formica, ammesso che una formica possa essere felice, e comunque non si può provare nemmeno che una formica sia infelice).

IX) Doppiovubi è consapevole del fatto che il cibo, e non già l’atto sessuale, potrebbe essere il motore primo della concatenazione causale che porta alla guerra per il territorio e alla sublimazione della guerra medesima, per esempio, nel calcio. Questo, però, poco importa ai nostri fini, che sono quelli di dimostrare che l’amor nei confronti del calcio è giustificato da spinte istintive antichissime e irrazionali. Resta da capire se l’uomo è spinto più dall'impulso del reperire cibo piuttosto che da quello di copulare. Personalmente, Doppiovubi propenderebbe per la seconda ipotesi, infatti acquisire cibo è strumentale alla copulazione, e non viceversa.

Le conclusioni teoriche non possono trascurare la realtà pratica.

Doppiovubi e PIM hanno un amico in comune, il quale – diciamo così – non sta vivendo un ottimo rapporto sotto il profilo coniugale; diciamo meglio, è in fase di completo disastro. Orbene, guarda caso, questo amico comune, di fede rossonera, che pure non frequenta molto lo stadio, a sorpresa e contro ogni previsione (dato atto che non si tratta né di un prodigus né di un furiosus, n.d.P., nota di PIM), ha deciso irrazionalmente di spendere duecento euro (e forse più) per andare - si noti bene da solo - a vedere allo stadio Milan-Barcellona. Un atto irrazionale, sicuramente, e istintivo. Neppure lui, forse, potrebbe spiegarci perché, o forse direbbe che è un evento importante a cui non si può mancare, o altre balle di questo genere.

Ma un impulso irrefrenabile lo ha costretto ad andare allo stadio, dove ululerà tutta la sua forza e il suo vigore.

Da ultimo, Doppiovubi, per stasera, così identificatosi e consapevole della sua natura, volontariamente succube del suo istinto, innalza nell’aere altissima la sua aspirazione ancestrale, e a un tempo il suo conatus, e la sua cupiditas:

forza, vecchio, cuore rossonero.

W.B.

(1) I contenuti sostanziali del presente post sono dovuti a un intenso dialogos col PIM, al quale può essere attribuita a tutti gli effetti la paternità delle idee; Doppiovubi ha avuto una funzione ostetrico-maieutica nel cavare fuori da PIM le idee medesime, e le ha organizzate sistematicamente, traendone in seguito i corollari. PIM – il quale ha poi goduto del privilegio di esaminare il post in post-produzione (ci si consenta il giuoco di parole) - ha poi aggiunto vari scolii, come indicato nei luoghi opportuni.

(2) Si perdoni la crudezza dell’immagine, ma corrisponde alla realtà; sotto il profilo istintuale, l’uomo non “vuole” riprodursi, bensì sente unicamente l’esigenza di espellere liquido seminale all’interno di un essere femminile (PIM così corregge l’affermazione: “rectius, all’interno di un corpo caldo, atteso che esistono gli omosessuali”; sul punto Doppiovubi si esime dal commento). E’ poi la natura che, automaticamente e del tutto indipendentemente dalla volontà dell’essere copulante, compie il miracolo della vita (e così sgombriamo preliminarmente il campo da inopportune superfetazioni di stampo ideologico e religioso).

(3) Il fatto di avere a disposizione un numero elevato di femmine deriva dalla necessità di procreare il più possibile, come discende logicamente dal punto a). Ogni uomo sa che questo è assolutamente vero.

(4) PIM aggiunge qui, e volentieri pubblichiamo: “il maschio sente istintualmente e profondamente questo concetto di “appartenenza” a un gruppo, che questo si tratti di un gruppo propugnante idee, valori, hobby, o semplicemente recante segni distintivi, quali l’abbigliamento e il taglio dei capelli, o marchi, colori, simboli (è appena il caso di segnalare che il fatto che dei gruppi, comunque costituiti, facciano parte anche le donne, è solo per il fatto che all’interno di essi le donne cerchino, sgomitando disperatamente, di accaparrarsi il loro maschio alfa, in ossequio la ben nota questione ontologica; in più , siccome tutti i maschi appartengono a gruppi, non vi sono maschi “sciolti” cui rivolgersi, o, se lo sono, sono esemplari di caratura non interessante)”.

(5) PIM aggiunge qui, e ancora una volta pubblichiamo molto volentieri, quanto segue: “non è nemmeno casuale, e anzi è ulteriore prova dell’argumentum, che, per converso, le donne amino la boxe, che rappresenta esattamente la lotta di un lupo alfa contro un altro lupo alfa, e rimanda, ontologicamente e toccando corde profondissime, proprio alla lotta primale per la conquista della Femmina.”; l’assunto secondo cui le donne amino la boxe sembrerebbe confliggere con il dato esperienziale, ma, a ben vedere, è abbastanza condivisibile;

(6) Probabilmente si potrebbe addirittura parlare di un triplice pretesto: non si va in Libia per esportare democrazia, e nemmeno per recuperare petrolio, e nemmeno per fare la guerra, bensì per soddisfare un istinto primordiale che è causalmente antecedente al “fare la guerra”. Come spiegato, l’uomo non vuole fare la guerra “per fare la guerra”, ma per realizzare altri obiettivi.

(7) E’ forse questo il luogo per vibrare un messaggio di amore e amicizia verso tutti gli altri tifosi, ciascuno legato alla propria squadra; in ciò siamo tutti naturalmente e virilmente accomunati, e dunque, stringiamci in un ideale e mutuo abbraccio fraterno e maschile, seppur dopo ignobili insulti e irripetibili contumelie. Ecco, in questa nota numero sette, si cela l’altissimo messaggio morale di questo post, e qui Doppiovubi si rivolge a tutti coloro che non condividono la concatenazione causale ivi descritta, e chiede loro di rendere, per stavolta almeno, l’antropologia ancilla della moralità umana: se del caso, buttate pur via tutto quanto, e salvate questa nota numero sette. Vogliamoci bene.

Commenti

Anonimo ha detto…
Se rompi il cranio con una mazza da baseball ad uno sconosciuto che ti guarda male qualche femmina potrebbe anche dartela. Se la tua squadra del cuore vince ti uccidi di seghe. Il calcio è per segaioli.
Anonimo ha detto…
Doppiovubi è riuscito a condensare in un post il peggio della sua produzione, pur avendo dato fondo a molte delle sue risorse intellettuali.

Il giudizio si condensa in qualche punto.

1. Doppiovubi procede secondo una serie di deduzioni che si vorrebbero condotte secondo tratto naturalistico, per osservazione e stretta logica consequenziale. Peccato che il primo punto da cui trae le conseguenze è completamente deteriorato.

2. Infatti, posto che l'uomo sia un covo di bisogni di stampo hegeliano (rabbrividisco al solo pensiero riduzionista che evidentemente D. dà per scontato) tra i bisogni, quello descritto non si manifesta con quella violenza e oggettivazione della femminilità nemmeno tra gli animali.

3. Il resto è un continuo vagheggiamento sulle distinzioni tra uomo e donna, con continui richiami freudiani e paramarcusiani. Dico "para", perché almeno Marcuse aveva l'intuizione di pensare che la felicità nelle masse fosse un obbiettivo da raggiungere attraverso una critica dell'edonismo, non attraverso una sua definitiva trasmutazione in qualche fenomeno sportivo dalla (pretesa) connotazione irrazionalistica.

4. La cosa che più stona è il senso ironico-sarcastico che permea lo scritto. Poiché si danno per scontati tanti luoghi comuni e visione povere dell'essere umano, non solo è incondivisibile, ma davvero fuori luogo.

5. Detto questo, perché Doppiovubi, anziché complicare l'intelletto cercando di mettere insieme questioni che possono al massimo integrarsi in una complessità epistemicamente più lineare, non prova a godersi la partita come semplice momento di valorizzazione del gesto atletico condiviso?

Paolo
pim ha detto…
mi sento chiamato abbastanza in causa, visto che doppiovubi mi attribuisce, e doppiovubi è uomo d'onore, la paternità delle idee del post che il buon Paolo qui mostra di diprezzare.

in poche parole, sono abbastanza stufo di questa storia della supremazia dell'intelletto sulla materia. dell'uomo che si eleva al di sopra dei bassi istinti animali perchè sa poetare e far di conto.

l'intelletto è materia. e se fatti fummo a non viver come bruti, se fatti fummo a immagine e somiglianza di Dio, non vuole dire che Egli aveva gli zatteroni e i mustazzi, sibbene che la Natura, quale atto d'amore, è veneranda quale sublime e incomprensibile Creazione.
Anonimo ha detto…
Parole ragionevolissime Pim, non potresti dire di meglio circa la prima osservazione. L'intelletto (diciamo in sintesi il cervello e la sensibilità corporea neurofisiologicamente attiva) è materia, e come tale soggiace alla complessità materiale, né può pretendere di formulare proprie parziali sintesi accomodanti verso ciò con cui relaziona, anche verso se stessa, spacciandole per complete e magari vere.

E' in difesa di questo preciso concetto autenticativo che mi sono permesso di compiere giudizio negativo sullo scritto di Doppiovubi, e anche verso alcune delle tue visioni lì rielaborate, per cui pare che l'istinto (peraltro già elemento parziale e non per forza confliggente con - o addirittura separabile da - le altre cause d'azione corporee dell'essere umano) parrebbe confinato all'uso massivo, coatto e primario della sfera genitale. E tutto ne sarebbe conseguenza. E chi può formulare tale giudizio d'intelletto considerandolo pacifico e completo contro la realtà ben più complessa della natura?

Come vedi, difendo proprio il tuo principio stressato: non può l'intelletto permettersi il lusso di piegare la natura che gli dà parola e autogiudizio - cioè non osservare la propria complessità d'interazione neurofisiologica con la realtà - senza che compia un atto non autentico e quindi falso.

Che poi ci siano molte persone che compiono tale atteggiamento riduzionistico come motore d'azione nella loro vita, come suggerisce Doppiovubi in privato, è altro affare: riducendo il corpo e la sua complessità ad affare genitale (o di ventre, o di quant'altro parziale...), godono di poco e anche male della bellezza della vita. In sostanza, chi l'ha detto che la poesia e la delicatezza interiore sia contraria alla sessualità istintuale?

E la creazione (o anche semplicemente la natura) può benissimo essere compresa nell'essenziale, cioè nei criteri di relazione, di disvelamento di sé e nel desiderio di completezza cui si aspira quando la si vuole apprezzare, proprio per essere assecondata al meglio.

Paolo

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