Ad avancarica.

L'esercito inglese avanza compatto verso di noi. I soldati nemici tengono i fucili all'altezza della cintura con le baionette già innestate, e marciano tenendosi a braccetto. Il tamburino e il pifferaio dettano i tempi del loro incedere ritmico. Sembrano impavidi. Noi francesi, al di qua della piana, siamo schierati in ginocchio, come per chiedere perdono anzitempo dei morti che faremo. I nostri moschetti sono già carichi e puntati, ma dobbiamo aspettare il segnale del comandante. Le mani ci tremano. Se spariamo troppo presto, non avremo il tempo di ricaricare, e gli inglesi si abbatteranno su di noi di corsa, e ci faranno a pezzi con le baionette. Dobbiamo aspettare il segnale del comandante. Se riusciremo a cogliere il momento giusto per sparare, potremo fare più morti, e lo scontro corpo a corpo sarà più facile per noi. Dobbiamo aspettare il segnale del nostro comandante. Ho paura.



Quando Doppiovubi ripensa a Barry Lyndon di Stanley Kubrick, nella sua mente appaiono immediatamente due immagini a flash. La prima, è il volto di Redmond che osserva con sguardo stupito, stranito, addolorato e deluso, e con due meravigliose narici allargate, sua cugina Nora ballare gaia con il capitano Quinn, e in quella specifica scena abbiamo già bello pronto, come un sofisticato sugo Barilla, il riassunto completo di qualsiasi rapporto uomo-donna mai svoltosi sulla faccia della terra dai progenitori a oggi. La seconda immagine è quella dell'esercito inglese che marcia compatto sulla pianura, al suono del tamburo e del piffero, contro i francesi. Gli inglesi cadono come mosche, è questione di pura fortuna sopravvivere o meno alle scariche di palle sparate dai moschetti francesi. Redmond osserva con lo stesso stupore i suoi vicini di plotone accasciarsi, ma, come tutti gli altri, avanza imperterrito. Quando nella mente di Doppiovubi compare questo secondo flash, Doppiovubi in qualche recesso del suo cervello ode in sincrono all'immagine anche la traccia audio della melodia del tamburino e del pifferaio, e inevitabilmente per il resto della giornata nei ritagli di tempo Doppiovubi prende a fischiettare il motivetto degli inglesi che marciano e muoiono sulla piana.



Doppiovubi legge da WP, copia e incolla: "Ecco come avveniva lo sparo: il moschettiere estraeva dalla cartucciera la cartuccia di carta, contenente una dose di polvere e la palla di piombo calibro .70, ne strappava la sommità con i denti e infilava tutto nella canna dell'arma; dopo di che sfilava il calcatoio dall'alloggiamento sotto la canna e lo pigiava a fondo nella canna; metteva la polvere fina, solitamente contenuta in una fiaschetta rigida, nello scodellino, ne chiudeva la martellina (o chiusino, fungeva anche da coperchio dello scodellino) e armava il cane: tirando il grilletto il cane sfregava contro la martellina generando scintille: queste infiammavano la polvere fina dello scodellino che diffondeva il fuoco nella culatta causando l'esplosione della polvere grossa. I moschettieri più addestrati potevano sparare 3 o 4 colpi al minuto; solitamente si sparavano 2 colpi per poi procedere all'attacco con la baionetta: l'introduzione della baionetta su questi fucili rese inutile la picca poiché anche il moschettiere poteva combattere corpo a corpo (utilizzando l'arma da fuoco anche come asta o picca).". In altro luogo Doppiovubi ha letto che per compiere come si deve lo strappo iniziale con i denti, occorrevano i denti, appunto, e all'epoca di bocche sgangherate ce n'erano molte e per questo specifico motivo i soldati sdentati venivano esonerati, ma dato che di furbi ce ne sono sempre stati, chi si strappava i denti apposta per essere esonerato dalla battaglia - il che accadeva per davvero - veniva messo in prigione e colà marciva.



Doppiovubi ha già scritto non molto tempo fa che ci sono azioni giuste e azioni sbagliate, e in qualche modo, per operare un parallelismo con la geometria e la fisica, potremmo anche dire che le tre dimensioni geometriche corrispondono al contenuto delle azioni, in altre parole, potremmo descrivere geometricamente nello spazio tridimensionale il contenuto delle azioni, se riuscissimo a inventarci una corrispondenza matematica tra tutti i contenuti possibili e tutte le loro posizioni possibili nello spazio. Una volta descritte nello spazio le azioni, forse sarebbe possibile addirittura consultare lo spazio e andare lì a ricavare quali siano le azioni giuste e le azioni sbagliate, avremmo almeno delle coordinate geometriche e forse tutto sarebbe più facile. Doppiovubi non è sicuro per niente che i suoi lettori abbiano compreso l'abbinamento tra il contenuto delle azioni e la loro posizione spaziale, anzi è quasi convinto che i suoi lettori abbiano pensato che Doppiovubi ha qualche problema; per converso è convinto che qualcuno abbia compreso, ne basta anche uno solo e Doppiovubi è contento. Orbene, una volta posto il piano spaziale delle decisioni, dove possiamo ritrovare le azioni giuste e le azioni sbagliate, x, y e z ci danno qualche riferimento, ci aiutano a non sbagliare - un'altra volta Doppiovubi parlerà dell'idea che ha avuto, quella di un Uomo che non Sbaglia Mai, in sostanza la storia di un uomo che non commetteva errori mai, e infatti il racconto si chiamerà L'uomo che non commetteva errori - ci aiutano a non sbagliare, dobbiamo fare i conti con la quarta dimensione, diciamo quella temporale, per dirla con Minkowski. Le azioni sul nostro quadrante tridimensionale possono anche essere individuate come giuste spazialmente. Ma non è detto che lo siano temporalmente.



Ed ecco che Doppiovubi perviene al punto focale di questo post: c'è un momento giusto per compiere un'azione, e un momento sbagliato per compiere la stessa azione. E l'azione giusta compiuta nel momento sbagliato ontologicamente cambia la sua natura e diventa per questo solo fatto sbagliata. E' il kairos di cui Doppiovubi già parlò, è il momento opportuno.



Dobbiamo aspettare il segnale del nostro Comandante.



W.B.

Commenti

Anonimo ha detto…
Ti riferisci ad uno spazio delle fasi.
http://it.wikipedia.org/wiki/Spazio_delle_fasi

Si tratta di identificare quali grandezze (ipotizzando di poter misurare tutto... questione che banalizza molto della Realtà in maniera da rendere molti modelli irrilevanti) si possano definire 'ortogonali', ovvero indipendenti. Intuitivamente 'grandezze' che posso variare senza che nessuna delle altre se ne accorga. Per un determinista radicale quale sono, il concetot di giusto o sbagliato assume il valore di alto o basso. Non esiste alternativa a ciò che è. Il lubero arbitrio è una puttanata. L'unica realtà che sfugge alla comprensione è il perchè la realtà stessa si guardi attraverso ciò che definiamo autocoscienza.
dominicus
Anonimo ha detto…
Un appunto a dominicus. C'è una differenza nemmeno tanto sottile tra la ponderazione complessiva delle variabili relative al contesto in cui un'azione si compie e la ragione delle stesse. Mi pare assai difficile cancellare con un colpo di spugna la dimensione etica, che doppiovubi almeno latamente considera in questo post. Accettando una visione radicalmente deterministica, peraltro, si giunge all'assurdo di disconoscere il principio di causa-effetto nonché si finisce per connotare di qualità spaziali la dimensione temporale. Un doppio equivoco da cui non si esce, in una rappresentazione matematica, logica e fisica, salvo dar retta a qualche "creativo" che pretenderebbe di applicare organicamente alcuni circoscritti assunti della meccanica quantistica all'intera complessità reale.

Per eliminare l'aporia, mi permetto di osservare che forse occorrerebbe concentrarsi proprio su quell'elemento sfuggente, definito correttamente "autocoscienza", e provare a considerarlo né come strumento, né come mero accidente.

Paolo
Anonimo ha detto…
Personalmente finisco spesso con l'assimilare l'autocoscienza con la presenza in alcuni punti della Realta' di una sorta di -moto vorticoso- laddove statisticamente il Tutto fluisce in -moto laminare-. sono condizioni fluidodinamiche che tendono a crearsi e a spegnersi anche in situazioni piu' semplici e intuitive. Per quanto riguarda il tempo, dichiaro di non essere un fanatico del modello di Minkowski, e trovo difficile, entro i confini di quel che si e' detto Vero nell'ultimo secolo, dar solida spiegazione ad esperimenti come quello di Sagnac. Trovo che parlare di tempo e di rapporti di causa-effetto in termini differenti rispetto ad altre grandezze ortogonali, semplicemente perche' la nostra -intersezione col Tutto- si sposta in questa direzione, sia una semplificazione antropocentrica di modelli astratti che non lo richiedano implicitamente. Una fetta di salame potrebbe credere che il suo 'tempo' fluisca dalle fette alla sua sinistra verso quelle a destra, ma il salame e' il salame, la destra del salame e' identica alla sua sinistra, e cio' che possiamo dire e' semplicemente che quel salame vede il coltello procedere da sinistra a destra. Tutto e' immanente. La dimensione etica e' implicita, il suo senso e' che semplicemente E'. non se ne puo' fare a meno come degli assiomi di Peano. Ma Tutto non puo' essere altrimenti.
con grande stima per la qualita' degli interventi.
dominicus (marco)
Anonimo ha detto…
Questa impostazione reca con sé un possibile limite, ossia l'utilizzo esclusivo della fisica e della matematica in funzione assorbente su aspetti qualitativamente pregni.

Non è un problema relativo solo alla dimensione etica, che potrebbe benissimo essere collocata a valle di tale discorso, seguendo la gerarchia dei saperi, ma ad esempio del metodo, che invece sta a monte tanto della fisica che della matematica. Affermare che "tutto è immanente", secondo una semantica di tipo fisico-matematico implica una scelta metodologica che scarta a priori tutto ciò che lasci presupporre ipotesi diverse. Può una teoria della matematica e della fisica compiere tale passo senza uscire dal proprio sistema?

D'altra parte, spiegare secondo la fluidodinamica ciò che potrebbe essere l'autocoscienza (o la coscienza) non può che essere una metafora, e mi pare un po' insoddisfacente per il fruttuoso lavoro intellettuale di un immanentista radicale...

Mi sforzo però di fare proprie le ragioni del mio interlocutore, invitadolo al contempo a uscire dai conforti delle scienze primarie, con il solo scopo di scrutare meglio il campo d'osservazione.

Può essere utile in tal senso la lettura di un'opera di un immanentista di grandissimo spessore, che tuttavia si occupa in primo luogo di genetica e biologia. L'opera si intitola "Evoluzione senza elezione. Autoevoluzione di forma e funzione" e l'autore è Antonio Lima-de-Faria.

Perché una lettura sull'evoluzione? Per meglio orientarsi nel tema del metodo ritengo occorra uscire dal proprio campo, senza allontanarsi troppo, ed affrontare un tema di "medio raggio", ossia quegli aspetti dela realtà che siano ponderabili nel complesso secondo le normali dotazioni della nostra inclinzione alla conoscenza. Inotre ritengo sia importante affrontare il tema del tempo sul lato biologico, perché in tal modo ogni ipotesi delle scienze primarie può acquisire elmenti di riscontro. E' un buon esercizio, una lettura essenziale, e non credo offenderà - anzi potrebbe solo esaltare - le premesse interessanti ed elevate che ho potuto leggere.

Ringrazio con stima Dominicus, Marco, per la gentilezza, la profondità e la considerazione. Dalla mia posizione non immanentista rimando ogni complimento a Colui che mi ha fornito di strumenti e volontà, con il desiderio di approdare al loro migliore utilizzo, grazie anche all'incontro di persone qualificate e in ricerca.

Paolo

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