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E poi si chiese, Ma forse io stesso mi comporto così con gli altri, forse anch'io uso gli altri per il mio benessere.
Dopo averci riflettuto un po', si rispose abbastanza convinto, No, io non lo faccio.

Qualche tempo prima era giunto alla conclusione che l'infelicità dell'uomo fosse sempre invariabilmente determinata da un unico fattore, ossia dalla sua capacità di costruirsi mentalmente un'aspettativa, proiettata nel futuro. La teoria si poteva descrivere così. L'uomo immagina una situazione piacevole, non attuale, per cui ovviamente la desidera, e si crea un'aspettativa. Il tempo passa, e la realtà, quando viene a esistenza, è oggetto di confronto con l'aspettativa. Normalmente non coincidono: nella fantasia tutto va secondo programma, altrimenti che fantasia sarebbe, nella realtà, invece, le cose non vanno come previsto, anzi.
Quindi l'uomo – e, soprattutto, la donna – cerca disperatamente di forzare la situazione, di cambiare la realtà, per tentare una difficile sovrapposizione con la sua matrice immaginaria.
Naturalmente la lotta si rivela, il più delle volte, vana e fallimentare.
Nascono frustrazione e delusione. Ne consegue l'infelicità. L'antidoto consiste – aveva concluso - nell'eliminazione in radice del primissimo elemento del processo, ossia la cancellazione di ogni aspettativa. Spezzare il primo anello della catena. Ecco la soluzione: non aspettarsi niente.
Quando capì che bastava sostituire alla parola 'aspettativa' la parola 'desiderio', per arrivare al medesimo risultato a cui erano pervenute decine di correnti filosofiche e religiose - che sostengono, praticamente da sempre, che la felicità consegue all'assenza di desiderio - provò un senso di sconfinata tristezza, perché aveva immaginato di essere stato molto acuto, mentre l'umanità ci era già arrivata da alcune migliaia di anni.
Ed eccola, proprio lì, ancora una volta a presentarsi, la delusione, l'aspettativa frustrata.
Allora pensò a un correttivo, e decise di spostare l'antidoto al momento successivo, quello della lotta. Ecco una soluzione originale: la cessazione totale dalla lotta nel momento in cui ci si rende conto che la realtà non coincide con il desiderio.
Ma anche la cessazione dalla lotta è patrimonio di molte filosofie, e da sempre.
Poi si consolò, perché pensò, Guarda come sono intelligente, sono arrivato autonomamente agli stessi risultati dei più grandi pensatori della storia della filosofia. Ma questa piccola mistificazione auto-consolatoria non bastò ad allontanare da lui il senso di tristezza e d'inadeguatezza.

Provò un analogo senso di tristezza e d'inadeguatezza quando, a cena, tentò, con una certa enfasi, di descrivere a lei la sua teoria, ma a un tratto comprese che lei – che egli aveva immaginata in prostrata adorazione nei suoi confronti, ammaliata da tanto acume - era inevitabilmente distratta dal tempo di cottura delle mezze penne rigate.

W.B.

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