Il viaggio



Milleottocentonovantasette giorni fa, e precisamente in data 25 settembre 2007, Doppiovubi scrisse un post intitolato “Tempo e desiderio”, con il quale, in via embrionale e sperimentale, tentò di indagare i rapporti tra spazio, tempo, velocità e soggetto pensante.
Quasi un anno e mezzo dopo, e precisamente in data 25.4.2008, Doppiovubi ritornò su questi temi, scrivendo “Il gesto”.
Oggi Doppiovubi è finalmente in grado di dire la parola (abbastanza) definitiva su questi argomenti.
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Possiamo dire, in via molto generale, che l’uomo è felice quando il contesto particolare in cui sta vivendo (stato che chiameremo “x”) corrisponde al suo stato desiderato (che chiameremo “y”).
Se x=y, l’uomo si sente “bene”.
Per converso, l’uomo è infelice, e tendenzialmente soffre, quando x y.
Qualche esempio.
Piove a dirotto, e non ho un riparo: ho freddo, è inverno.
Ho sete, e non ho da bere.
Voglio essere amato, e non mi comprendono.
Voglio uscire a fare una passeggiata, ma dovrei lavorare.
Ho sonno, ma mi rigiro nel letto: non riesco a dormire.
Tutta la nostra vita – possiamo dire quasi ogni singolo istante di essa – consiste in una innumerevole sequenza di confronti tra x e y. Karl Popper ci intitolò addirittura una sua opera: “Tutta la vita è risolvere problemi”.
Ogni qual volta x non corrisponde a y, l’uomo percepisce tale diseguaglianza come un “problema”. Esistono problemi seri (es.: un tumore al pancreas) e problemi trascurabili (es.: grattarsi la schiena che prude e non riuscire ad arrivare nel punto esatto), ma sempre di problemi si tratta. Si può dunque graduare la scala dei problemi, ma tale graduazione sarà estremamente soggettiva, e, in quanto tale, non ci interessa qui.
Quindi, per “risolvere il problema”, l’uomo comincia a “lottare”, ad “affannarsi”. Si “attiva”, “prende dei provvedimenti”. Si muove. Compie atti. Fa qualcosa.
Studia, programma, si ingegna, elabora, pensa, razionalizza, interpreta.
Nasce quindi una strategia, che dovrebbe servirgli, in teoria, a far coincidere x con y, al buon esito del programma.
E così compro un ombrello, per non bagnarmi.
E così entro in un bar, e domando una Sprite.
E così cerco di spiegarmi, e miglioro la mia strategia di comunicazione.
E così rimando il lavoro che devo svolgere.
E così, inghiotto una colorata pasticca di sonnifero per dormire saporitamente.
Sappiamo che esiste un’intera branca di studi, il c.d. problem solving. Come risolvere i problemi è già un problema da risolvere; qualcuno, in altre parole, si è posto il problema di come risolvere i problemi.
Il problem solving ci insegna che i problemi vanno ridotti, per essere appunto risolti, in tanti problemi sempre più piccoli, quindi più facilmente risolvibili. I programmatori ne sanno ben qualcosa. Se compiamo un passo alla volta, se possibile un passo piccolissimo (il più piccolo possibile), anche un complicatissimo problema può essere “risolto”.
Anche i matematici costruiscono le loro impalcature sulle operazioni elementari, tramite deduzioni dalle proprietà di base, per arrivare a sistemi sempre più complessi.
Se voglio comprare un ombrello, con lo scopo di non bagnarmi, devo risolvere tutta un’altra serie di sotto-problemi: devo avere il denaro, devo trovare chi mi venda l’ombrello, devo recarmi in quel luogo di vendita, etc. etc. In teoria i sotto-problemi che si generano sono in numero elevatissimo (e i sotto-problemi si moltiplicano a loro volta in sotto-sotto-problemi, ossia, per fare un esempio, se non ho i soldi devo recarmi presso un bancomat, devo cercarlo e trovarlo; sulla strada, poi, possono sorgere altri sotto-problemi di terzo livello, per esempio, non mi ricordo il PIN, ho perso il bancomat, l’apparecchio è fuori servizio, e così via; qualche volta si cambia strategia: per esempio, posso rubare i soldi, o rubare direttamente un ombrello, o farmelo prestare, le possibilità sono virtualmente infinite, solo che non ce ne rendiamo conto). Tutte queste micro-azioni e micro-strategie sono guidate da un unico macro-obiettivo: non bagnarmi (far coincidere x con y). Spesso, poi, si perde di vista l’obiettivo finale, e ci si perde nei sotto-problemi. Come automi programmati con diagrammi di flusso, perduti in complesse sub-routines.
Risulterà chiaro ormai al lettore che siamo immersi nei “problemi”, che siano macro o micro; vi siamo immersi come acciughe sott’olio.
“Risolto” un problema, se sono riuscito a far coincidere x (lo stato/contesto per cui mi bagno e ho freddo) con y (lo stato personale in cui non mi bagno), in questo caso agendo sulla modificazione di y (se fossi Dio potrei agire su x, sul contesto, e far cessare la pioggia; in molti casi si può agire su x senza essere Dio) si presenta subito un altro problema. E se non se ne presenta un altro, lo cerchiamo con pervicacia, e ovviamente lo troviamo (perché si nota soltanto ciò che si cerca): abbiamo di fronte a noi un ventaglio di innumerevoli problemi pronti per essere affrontati, e risolti. E intanto la vita passa via rapida, e ancora una volta ritorna in mente Popper: tutta la vita è risolvere problemi. Ormai non ce ne accorgiamo quasi più.
Dal punto di vista sistematico, se volessimo organizzare tutte le categorie di problemi in una scala gerarchica, all’apice troveremmo i problemi fondamentali, che derivano dall’istinto, riducibili a due essenziali: sopravvivere e riprodursi (è difficile dire quale dei due venga prima). A cascata, derivano miliardi di altri sotto-problemi, funzionali, in via diretta o spesso molto indiretta, a risolvere quei primi due. Questo per dire che la situazione in cui gli esseri umani si trovano – con riferimento alla “problematicità” della vita – è naturale e non indotta dalla cultura, assoluta, intrinseca e non contingente.
Ci riguarda tutti.
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Ma anche Doppiovubi non deve perdersi, perché vi vuol parlare del rapporto tra lo spazio, il tempo, la velocità e il desiderio.
L’elemento che più interessa a Doppiovubi è il tempo. Doppiovubi oggi è assolutamente convinto della verità di un’affermazione che anni fa aveva soltanto ipotizzato: il tempo non esiste. Meglio: tutto è già accaduto, il film è già stato “girato”. Abbiamo solo l’illusione che il tempo esista, e dunque “scorra”. D’altra parte, sappiamo che il tempo non è una grandezza assoluta, ma relativa. E tutto ciò che non è assoluto, è illusorio [1].
In effetti, siamo già tutti morti. E’ che non abbiamo ancora vissuto la scena (madre) della nostra morte.
La considerazione secondo cui il tempo non esiste, e tutto è già accaduto, porta con sé (lasciando da parte la teoria degli universi paralleli) l’altra affermazione, della quale parimenti oggi Doppiovubi è fermamente convinto, ossia quella secondo cui ciò che sta succedendo doveva succedere, e non poteva non succedere (il che, peraltro, implica che l’uomo non ha la minima possibilità di cambiare le circostanze “future”, proprio perché il tempo non esiste). L’unica possibilità che ci resta è quella di osservare il film [2], nel quale siamo attori con un copione immutabile [2bis].
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Tutte le volte in cui l’uomo si accorge che x non collima con y, come dicevamo, mette in moto un meccanismo (spinto dal desiderio) atto a far coincidere x con y.
Ma quello che interessa all’uomo non è soltanto il fatto del collimare in sé.
Ciò che interessa all’uomo – tipico del desiderio – è fare in modo che tra lo stato di distonia tra x e y e lo stato di collimazione tra x e y, passi il minor tempo possibile.
Per tornare al nostro esempio, non voglio bagnarmi adesso. Voglio essere quanto prima all’asciutto. Non voglio e non posso aspettare. Una corrispondenza tra x e y “ritardata” equivale a una frustrazione, a un obiettivo mancato. Equivale all’infelicità.
Quindi il rapporto non è soltanto tra x e y, ma anche tra quanto tempo intercorre tra x, stato attuale, e y, stato desiderato. Di qui il fascino della magia, della bacchetta di Mago Merlino, che in un solo istante realizza i desideri: un tocco di bacchetta e x diventa subito uguale a y. I bambini molto piccoli percepiscono con ira l’impossibilità di far collimare x e y in un tempo immediato: voglio la merendina ora, non tra dieci minuti. Di qui, le lacrime copiose e i pianti disperati. Più in generale, possiamo dire che più una persona non tollera il gap temporale fra il problema e la soluzione dello stesso (chiamasi volgarmente anche “impazienza”), più è da considerarsi “infantile”. Quindi, la lotta non sarà solo per far coincidere x e y, ma per farli coincidere il prima possibile.
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Ed è proprio qui che entra in gioco l’altra grandezza fisica, anch’essa illusoria, che è la velocità.
Ci insegnano che la velocità è uguale allo spazio diviso il tempo. Se è vero, come è vero, che il tempo non esiste, tale equazione si rivela assurda [3]. Comunque, per quanto ci concerne, nel nostro mondo illusorio governato da leggi (parimenti illusorie) – e pertanto il sistema è tanto reale quanto lo è un sogno -, noi sappiamo che grazie alla velocità si può abbreviare il tempo che ci occorre per andare da un luogo all’altro. Ma noi sappiamo anche che andiamo da un luogo all’altro sempre e soltanto per risolvere un “problema” (ossia per far collimare x e y), e quindi la velocità è utile soltanto ad abbreviare la nostra insoddisfazione, perché ci consente di accorciare i tempi per ottenere y.
Di qui il culto della velocità e per la velocità, e il giudizio assiologico nei confronti di velocità e lentezza [4]. Essere più veloci significa abbattere i tempi di soddisfazione dei desideri; essere lenti significa rimanere immersi nella brodaglia dei problemi per un tempo più lungo. Essere lenti è considerato negativo. Essere veloci è giusto e apprezzabile [5] .
Ma abbiamo appena detto che la nostra vita è costellata di problemi. Se vogliamo essere coerenti, dovremo accelerare sempre di più, e risolvere sempre più problemi e sempre più in fretta.
Doppiovubi ha notato che le persone più “veloci” sono anche quelle più insoddisfatte della loro vita.
E’ il coniglio bianco che corre sempre freneticamente, con l’orologio appeso al collo.
L.C. aveva capito molte cose.
Dato che viviamo in una società dove il culto è quello della velocità (4G è ormai meglio di 3G; è meglio laurearsi in tre anni che in sei), se viviamo in relazione con gli altri (e non possiamo non farlo, anzi possiamo ma non vogliamo) la velocità è destinata ad aumentare.
Non possiamo (più, ormai) rallentare. Ma dovremmo farlo.
Ora, a parere di Doppiovubi, come detto, la velocità è in diretto rapporto con la insoddisfazione. Più si è “veloci”, più si è insoddisfatti. E uno dei motivi è presto detto: il numero di problemi da risolvere è virtualmente infinito, e chi ritiene (si illude) di sopperire grazie alla velocità alla numerosità dei problemi, è condannato alla frustrazione e all’infelicità; è condannato a inseguire desideri su desideri, per tutta la vita. Ma ad avviso di Doppiovubi, il principale motivo di insoddisfazione è il seguente. Come viaggiare ad alta velocità, diciamo a duecento chilometri orari, impedisce all’osservatore di cogliere i particolari del paesaggio, perché passano davanti al sistema visivo senza la possibilità di essere focalizzati, così la velocità – che abbiamo detto essere lo strumento principe per abbreviare il lasso di tempo che conduce alla realizzazione del desiderio costituito dalla “soluzione” di un “problema” - ci impedisce di cogliere lo spazio che intercorre tra uno stato di insoddisfazione iniziale e lo stato di soddisfazione finale: lo spazio che si situa tra questi due estremi si può anche definire come vita. “Correre” da una situazione problematica alla sua soluzione significa perdersi il viaggio, il contenuto, la sostanza [6]. Equivale a guardarsi tre minuti di highlight di una gara di calcio anziché soffrire o gioire per novanta minuti. Equivale a trovarsi in cima alla montagna grazie all’elicottero, anziché grazie alla fatica dell’arrampicata, correndo il rischio e accettando la sfida. Perdere di vista l’obiettivo, e concentrarsi sull’essere attuale – altro modo per riferirsi al celeberrimo hic et nunc – significa vivere. Focalizzare il singolo fotogramma non rovina il film, anzi. Ma per apprezzare il singolo fotogramma occorre andare in stand by, o quanto meno rallentare, per quanto possibile, la velocità della pellicola.
L’intera vita può essere vista e interpretata come il viaggio verso la soluzione di un enorme problema (quello della comprensione del significato della vita stessa), che comincia con la nascita (momento x, dove iniziano tutti i problemi) e termina con le braccia incrociate sul petto, distesi al freddo e al buio dentro una cassa di legno (momento y, dove finiscono tutti i problemi). Ma a questo punto, come dice sempre Doppiovubi, tanto vale infilarsi una pistola in bocca appena possibile e pervenire a y. No. E’ quello che sta in mezzo, tra gli estremi, il percorso tra la nascita e la morte, che rappresenta la sostanza dell’esistenza. Tornando ai problemi di ogni giorno, è lo spazio tra x e y che rappresenta atomisticamente la vita, e se non facciamo caso a questo spazio, se non vi diamo valore, allora compriamoci questa benedetta pistola appena possibile e scriviamo le nostre due ultime righe d’addio.
Il Wu-wei (il non-agire) tanto caro a Doppiovubi, si realizza anche non rimanendo in balìa dei risultati. Non-agire significa (anche) non essere schiavi del desiderio. Significa essere attori consapevoli. Significa rallentare e percepire l’esistenza.
Anche il platonico kairòs, sul quale Doppiovubi ha scritto poco ma pensato molto [7], rappresenta il momento giusto per compiere un’azione; ma è impossibile agire nel momento opportuno se siamo spinti continuamente dal desiderio di cambiare la nostra situazione contingente, di risolvere i problemi che innumerevoli si presentano.
Uscire, così, dalla prigionia del tempo. Liberarsi.
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Pare che con Italo, adesso, sia possibile arrivare a Torino, da Milano, in soli 41 minuti.
Evviva.

W.B.


[1] Doppiovubi ha studiato per molti anni il concetto di "tempo"; è confortato dal fatto che gli scienziati che hanno dedicato la loro esistenza a studiare il tempo, in gran parte si sono suicidati e non ne sono venuti mai a capo, perché il tema è talmente complesso da far perdere la ragione. Molto meglio ammettere l’inesistenza  del tempo. Altre evidenze empiriche della relatività del tempo, dal punto di vista soggettivo, sono le distorsioni temporali percettive tipiche dell’assunzione di sostanze stupefacenti, ma, molto più frequentemente, anche quelle oniriche: sappiamo per esperienza che il tempo durante il sogno scorre molto più lentamente rispetto a quando siamo in stato di veglia.

[2] Questo potrebbe spiegare fenomeni come il vaticinio, la profezia, la chiaroveggenza e i sogni premonitori: si potrebbe trattare di sguardi fugaci alle scene successive del film, non ancora viste ma già esistenti; evidentemente qualcuno, in circostanze eccezionali, ha la facoltà di andare in fast forward sulla pellicola.

[2bis] Qualcuno ha detto che l’uomo ha il potere di “cambiare” più il passato che il futuro; l’affermazione sembrerebbe paradossale, ma a ben guardare non lo è: per lo meno, il passato è noto, mentre il futuro è del tutto sconosciuto. Conoscere il passato significa avere quanto meno il potere di re-interpretarlo, con un'operazione di reframing fondata su uno sguardo a lungo termine sulla propria esistenza (grazie alla quale operazione spesso eventi che sembravano negativi nell'immediato, si rivelano a posteriori assai fortunati), ciò che è impossibile fare rispetto al futuro, proprio in quanto ignoto.

[3] L’irrealtà di uno degli elementi dell’equazione si "propaga" all’equazione nel suo complesso. Non si dimentichi che Dio, entità assoluta per definizione, è anche detto “motore immobile”. Peraltro varie acquisizioni della fisica fanno vacillare il nostro concetto di “spazio”, altro elemento dell’equazione; basti pensare al c.d. entanglement, che mette in crisi il principio di contiguità spaziale tra causa ed effetto; o anche si consideri che sostanzialmente la materia è “vuota”, visto lo spazio enorme che intercorre tra il nucleo atomico e le “orbite” – se ancora si possono chiamare così – elettroniche; abbastanza di recente, poi, i fisici stanno revocando in dubbio lo stesso “principio di realtà”.

[4] In natura sembra che non esistano animali che “si affrettino” come è costume degli esseri umani; sembra che l’animale viva in un “normale” stato di quiete, o di lentezza relativa, sino a quando non interviene un evento eccezionale – per es.: la necessità impellente di sopravvivere – che induce l’animale ad aumentare la velocità; persino il ghepardo – che dovrebbe essere l’animale più veloce del mondo sulla superficie, raggiungendo i 130 km/h, e andando da 0 a 100 km/h in circa tre secondi  – normalmente si muove con estrema lentezza e calma, riservando tutte le sue energie al momento in cui deve assalire la preda (peraltro la velocità massima non può essere mantenuta dal ghepardo che per brevissimo tempo, in quanto il suo organismo non riuscirebbe a tollerare il calore elevatissimo che si genera). I casi di animali estremamente veloci sembrano essere dettati unicamente dalla necessità di sopravvivenza (o predare o essere predati), ciò che evidentemente non vale per l’uomo. Se il falco pellegrino – che normalmente si libra in stato di inerzia grazie alle correnti d’aria, senza dare nemmeno un battito d’ala - non piombasse sulla preda a 300 km/h, probabilmente morirebbe di fame; ma affrettarsi perché Zara sta chiudendo, non mette certo a rischio la sopravvivenza, quanto meno non nell’immediato. E' evidente che in questo post, dunque, Doppiovubi non si riferisce alla velocità atta a risolvere problemi in cui è in gioco la sopravvivenza (se un soggetto non respira più occorre certamente affrettarsi); tali problemi esiziali rappresentano, nella vita di una persona, una percentuale talmente bassa da essere completamente trascurabile.

[5] Doppiovubi è notoriamente considerato come "lento". Ovviamente, il concetto di “velocità” e quello di “lentezza” sono relativi; chiunque è “lento” rispetto a Usain Bolt, e lo stesso Doppiovubi è fulmineo rispetto a una lumaca; quando affermiamo che un individuo è “lento” ci riferiamo inconsapevolmente a una “velocità media” calcolata mediante l'osservazione generalizzata degli individui che fanno parte del nostro sistema sociale. Sempre di relatività si tratta.
Peraltro Doppiovubi non si riferisce soltanto alla velocità fisica (affrettare il passo, per intenderci), ma anche e soprattutto alla frenesia mentale; la velocità dei pensieri è funzionale alla soluzione dei "problemi", ma ci impedisce di avere il pieno controllo della mente. E' appena il caso di ricordare che, insieme ai problemi per così dire "reali", come quelli sin qui citati, si danno altresì i problemi "immaginari", dove la "x" e la "y", anziché essere stati concreti, sono soltanto stati ipotizzati; le conclusioni non sono diverse, perché l'ansia, la preoccupazione e la paura si generano per la mancata coincidenza tra il desiderato e il reale, con la particolarità che quest'ultimo è reale solo nella mente del soggetto. La spinta a modificare lo stato mentale è altrettanto intensa di quella di cui alla vita reale.

[6] Qualche tempo fa, Doppiovubi ha avuto questo bizzarro pensiero: i vecchi sono più lenti dei giovani, questo è un dato di fatto incontestabile (cfr. il recente post del 1° novembre 2012). La Natura (Dio?) “frena” gli esseri viventi, e, più passa il tempo, più li rallenta. Si tende a etichettare come “peggiore” la situazione del vecchio che rallenta sempre più, rispetto alla freschezza e allo "scatto guizzante" del giovane virgulto; e se non fosse così? Se la grandezza di un uomo si potesse realizzare pienamente solo con la saggezza portata dalla lentezza connaturata con la ponderazione degli eventi, e se quindi il meccanismo naturale per far migliorare un uomo fosse proprio quello di rallentarlo, per togliergli giocoforza - e soprattutto suo malgrado - la presunzione connaturata alla sua giovinezza, e fargli coattivamente percepire la bellezza della vita, bellezza comprensibile solo attraverso la cura e l’attenzione per il percorso, più che per la destinazione? Una sorta di gioco al contrario, dove al costante e ineluttabile deperimento fisico corrisponde un aumento esponenziale della consapevolezza.  Non è peregrino immaginare – contro ogni evidenza immediata – che la vita sia un percorso da uno stato peggiore – la gioventù – a uno migliore – la vecchiaia, sino al migliore di tutti gli stati, ossia la morte. Spesse volte Doppiovubi ha l’impressione che la verità si situi proprio nel luogo più nascosto per definizione, ossia agli antipodi della realtà; basti pensare al concetto di "nemico": secondo il monaco Shantideva, nel basilare trattato Guida al modo di vivere del bodhisattva, redatto nell'VIII secolo d.C., il "nemico" che ci fa soffrire è visto - paradossalmente - come una benedizione e una fortuna, in quanto ci consente di esercitare, e dunque rafforzare, la pazienza e la tolleranza, armi formidabili contro i Tre Veleni della mente, ossia l'ignoranza, l'attaccamento alle cose e l'odio, che rendono l'uomo infelice. L'apparenza, in questo come in molti altri casi, è esattamente opposta alla verità. 

[7] Cfr. il post del 19 luglio 2011, ma soprattutto quello del 15 marzo 2011.

Commenti

Anonimo ha detto…
Per la correttezza logica di una serie di sillogismi e di considerazioni concatenate su argomenti complessi occorre che gli assiomi siano fondati perché il discorso non si perda nel vacuo.

"Se x=y, l’uomo si sente “bene”.
Per converso, l’uomo è infelice, e tendenzialmente soffre, quando x ≠ y.
Qualche esempio.
Piove a dirotto, e non ho un riparo: ho freddo, è inverno.
Ho sete, e non ho da bere.
Voglio essere amato, e non mi comprendono.
Voglio uscire a fare una passeggiata, ma dovrei lavorare.
Ho sonno, ma mi rigiro nel letto: non riesco a dormire."

Questo assioma e la sua esplicazione non è pacifico. Anzitutto si confonde il piano sensibile immediato (sentirsi bene) con quello mediato da altre scelte di priorità razionale tra diverse esigenze (lavorare per un guadagno materiale prossimo, anziché uscire dall'ufficio per un guadagno materiale immediato), con quello mediato interiormente ("essere felice" implica un processo più complesso e ampio rispetto ai processi satisfattivi dei bisogni corporali o alla risoluzione dei conflitti di priorità sul piano materiale).

Affermare una coincidenza sul piano logico tra questi stati falsa quanto segue, dato che la problematizzazione di una difficoltà non è l'unica strada percorribile per descrivere il processo di reazione umana, specie date cause diverse.
E certamente diverso è il bisogno dal desiderio, due diversi elementi soggettivi in relazione a un obbiettivo in cui è implicata una difficoltà. Avere bisogno significa essere privi di qualcosa di essenziale per la sopravvivenza, desiderare significa (de-sidera) proiettarsi verso qualcosa di elevato di cui si può anche fare a meno nel "problem solving", e che certamente appartiene solo alla categoria della mediazione interiore, morale, razionale, nell'insieme della corporeità e della spiritualità (comunque essa sia intesa dal lettore).

Poiché Doppiovubi fa coicidere nella problematicità elementi appartenenti a piani logici distinti e principi volitivi altrettanto difformi è facile incorrere nella conseguente affermazione per cui tutto è determinato da una causa di bisogno intrinseca all'essere umano, per la quale la frustrazione finisce per coincidere con l'infelicità.

Tuttavia, anche in questo passaggio logico è presente un ulteriore errore, poiché, se anche fosse corretto (e non lo è) il primo assioma, il tempo non coincide con la percezione dei bisogni che (parafrasando) "in ogni caso saranno o non saranno realizzati", sebbene il fattore della realizzazione sia connaturato al divenire dell'agire, anche solo in senso descrittivo.

In effetti, abolendo il tempo, occorrerebbe anche abolire il principio di relazione tra causa ed effetto e - ciò che sottace Doppiovubi, pur essendo implicito anch secondo il suo personale e attuale sentire religioso - qualunque principio di libero arbitrio. D'altra parte, non sarebbe il primo a fondare un pensiero del genere, peraltro assai infecondo e assai rischioso in merito al tema della responsabilità.

Con tutto ciò, senza nemmeno entrare nel tema degli esempi offerti, tengo a dire a Doppiovubi che prima di definire un assioma occorre valutarne la coerenza dei presupposti, e che occorre cura anche nei passaggi successivi, altrimenti si rischia di sprecare il proprio tempo a esprimere un bisogno di espressione e di confronto, pur avendo desideri in grado di superarli, se ben orientati e se orientati al bene.

Paolo
Anonimo ha detto…
Avevo intenzione di inserire qualche nota al precedente commento, strumento che piace tanto a Doppiovubi.

Ciò per correggere un paio di errori, e per dare migliore approfondimento alle sottolineature.

1. Al terzo paragrafo l'espressione "e la sua esplicazione" manca di parentesi, altrimenti il verbo che segue dovrebbe essere accordato al plurale.

2. Nel quarto paragrafo, viene affrontato il tema del bisogno e la distinzione dal desiderio. Si potrebbe obbiettare che esistono bisogni non solo legati alla sopravvivenza, e che non sia così lampante la differenza tra bisogno e desiderio; in tal senso si tiene a specificare che l'analisi riguarda un concetto di bisogno prossimo a quello hegeliano nell'ambito dell'agire umano. Per il noto pensatore ogni traiettoria operativa è innestata in una fitta trama di dipendenze. Doppiovubi, che da tempo si pone il problema della libertà, sembra affrontare la questione alla maniera hegeliana, almeno sotto un profilo logico-strutturale, sebbene difficilmente tratti il tema della volizione nell'ambito della collettività, come Hegel amava fare. E' chiaro che chi scrive è consapevole che qualunque riferimento non esaurirebbe la descrizione e la complessità del pensiero di Doppiovubi: le riflessioni che pone sono in ogni caso importanti per il discernimento del titolare del blog. In sintesi, lo scrivente ritiene scorretto e improbabile riferirsi all'esperienza umana in modo che essa sia riducibile a un insieme di bisogni, e dei conseguenti problemi che nascono per soddisfarli.

3. Il tema del desiderio e del tempo è già stato affrontato da San Tommaso d'Aquino e - come questi afferma nella "Somma teologica" - certamente esso - il desiderio - non appartiene al tempo quando riferibile alla quiete dell'Infinito, ma al tempo si misura se l'oggetto del desiderio vi soggiace. E' un importante elemento logico, per cui si afferma che un soggetto non può distinguersi dal contesto in cui agisce e vive, e si illuderebbe a pensare alla propria vita o a quella altrui come a un film; non possiede lo strumento per farlo perché vive nel reale, secondo le regole proprie della realtà in divenire. E' possibile invece concepire la distanza dal tempo nell'esperienza del CREATORE, ossia quando i desideri sono vissuti nella dimensione dell'Infinito, quell'Infinito che crea per amore oltre Sé e che ha per Sua natura distinzione dalla creazione. Si entrerebbe quindi nel difficile tema di cosa sia il "Regno di Dio" nella vita dell'uomo, e cosa sia - o meglio, come sia - Dio che si fa uomo, tuttavia il post di Doppiovubi pare molto lontano da questi temi. Per tornare a valle, in sostanza, se si ammette la relazione con la caducità del mondo e la sua materialità, cui si appartiene, si deve ammettere la rilevanza del tempo in relazione al desiderio che ad esso è riferito: neanche ammettendo le forzature sul tema causa-effetto e libero arbitrio l'assunto potrebbe trovare dimostrazione, solo una qualche giustificazione logica maggiore.

4. In sostanza l'errore di Doppiovubi è il seguente: come già detto, non solo non può confondersi bisogno e desiderio - nell'ampiezza concettuale descritta, dove il bisogno è passività da cui al massimo emanciparsi e il desiderio è invece proattività crescente verso l'Infinito -, ma addirittura è impossibile sul piano logico riferirsi all'esistenza umana in senso atemporale se il riferimento è all'agire sul piano materiale.

5. "anch" sta per "anche", nel settimo paragrafo.
Anonimo ha detto…
6. Da ultimo, il pensiero di Doppiovubi è sempre molto interessante. Di più, contiene certamente elementi veritativi fortemente legati alla sua unicità, e Doppiovubi è un grande tecnico e conoscitore degli elementi intrinseci alle forme. Qualunque diamante non nasce puro, come Doppiovubi sa. Se questi avrà la continua disponibilità a purificare il proprio pensiero e il proprio cuore, in sostanza a farsi voler bene ricercando nella sua stessa vita a fondo le tracce della sua regalità - tutt'altro che esauribile nell'imperio sulle regole comunicative del blog -, sono sicuro che il suo desiderio crescerà fino a rendere tanti persuasi della sua facondia, e magari a correggersi verso una più alta e comune partecipazione alla regalità.

7. Doppiovubi cambia le regole in tema di regalità il 21.12, è bello sapere che qualcuno le abbia cambiate sullo stesso tema il 25.12. Buon Natale Doppiovubi.

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