Tutto teso nello sforzo di comprendere Sofocle
"Quanto alla possibilità di tutti i miei nipoti di poter
partecipare della fama che mio marito si è giustamente guadagnato nel corso
della sua vita, questo non è certo un diritto che si eredita, ma è una
conseguenza del proprio lavoro, come lui ci ha sempre indicato."
[Marella Caracciolo di Castagneto in Agnelli, intervista pubblicata
su La Repubblica del 29 ottobre 2007]
Il lavoro, dunque.
La
conseguenza del proprio lavoro.
Che cosa sia il lavoro. Che cosa significhi 'lavorare'. Perché si
lavora. Perché come causa, nel passato. Perché come fine, nel futuro.
L'utilità individuale di
un lavoro. L'utilità sociale di un
lavoro.
Utilità, in quale senso? 'Utile', un concetto oggettivo o soggettivo.
Punto interrogativo. Il valore del lavoro. Valore oggettivo, o soggettivo.
Valore per l'individuo, valore per gli altri. Il risultato del proprio lavoro.
Punto interrogativo. Il contenuto della parola. Le parole sono simboli.
Rimandano a qualcosa di altro. A cosa rimanda 'lavoro', non so. Cosa si accende
nel vostro cervello. Dipende da tanti fattori. Chissà.
Qui forse i lettori di Doppiovubi si dovrebbero esercitare nella sentence completion , tecnica ideata da Nathaniel
Branden, l'amante giovane della matura Ayn Rand. Andate pure su Google, e
digitate 'sentence completion branden'. Il primo risultato dovrebbe essere
quello buono. Vado a lavorare perché ... per me il lavoro significa ... .
Veramente dovrei andare a lavorare, così ...
La vicina di casa di Doppiovubi ha ottant'anni. E' appena stata
truffata da una banda di zingari. Solito schema. Collaudato, funziona. Pronto, Sì, chi parla, Suo
figlio, signora, ha investito un minorenne. No! Suo figlio è stato arrestato. Come è stato
arrestato. Suo figlio, mentre guidava la Multipla. Come sarebbe. Sì, ma adesso non può
telefonare, è in caserma. Non è possibile. Chiami i carabinieri se non ci
crede. C'è bisogno di soldi per tirarlo fuori. Quanti. Cinquemila euro.
Mandiamo qualcuno a prenderli. Non li ho in casa. Non importa, avrà dell'oro,
qualche gioiello. Sì, ho dell'oro. Va bene anche quello, ci dia quello che ha.
Tenete, questo è tutto quello che ho. Aiutate mio figlio, vi prego.
Quando si tratta di un'attività formalmente illecita è facile
rispondere. Il truffatore chiama 'lavoro' il suo appostamento, durato per
settimane. Ha trascritto la targa del figlio. Conosce le abitudini. I numeri di
telefono. Ha frugato nella raccolta differenziata. Ha fatto fatica. Il
truffatore chiama 'lavoro' quello che ha fatto. Ma non è 'lavoro', certamente
no. Certamente no. O forse sì, per lui, per lo zingaro sì (e sarebbe, coerentemente, 'lavoro' mettergli un sacco nero sulla testa e riempirlo di bastonate). Grande Knut. Così come è 'lavoro'
proporti un libriccino di poesie africane, e aggiungere, in caso di esito
negativo, con una certa rapidità, ti
prego-fame-caffèti prego-capo-no mangiato-oggi. Fra caffè e ti prego non c'è pausa, tutto di fila si dice. Mai capito perché vanno così veloci con quella frase. Forse si sentono in colpa. Anche quello sarebbe un
lavoro, anche se non ha alcuna utilità sociale, se non quella di spostare
'ricchezza' e creare PIL, e quindi crescita, e infine sì, ha utilità sociale. Se
il PIL cresce c'è qualcuno in ISTAT che lavora per tracciare il PIL. Il PIL
genera altro PIL. Loop.
In questi anni si considera 'lavoro' qualsiasi attività - lecita,
diciamo - che venga svolta a fronte di un corrispettivo, per lo più in denaro. A
volte è sufficiente semplicemente essere presenti
in un luogo (anche senza fare niente), in cambio di un corrispettivo. Esserci, Dasein, direbbe Heidegger, che
evidentemente conosceva molto bene il personale ATA delle scuole elementari pubbliche.
Il personale ATA delle scuole elementari pubbliche, invece e per converso, non
conosce molto bene Heidegger. Ma questo non rientra nelle loro specifiche mansioni.
Nelle loro mansioni, tra l'altro, figura la percezione del corrispettivo, alla
fine del mese. Anche quello è lavoro, percepire il corrispettivo del lavoro (o
almeno, non rifiutarlo) rientra nel lavoro del bidello, e teoricamente dovrebbe
essere oggetto di ulteriore corrispettivo. Loop. Una volta Doppiovubi conobbe
un avvocato che litigò con il suo cliente. Disse l'avvocato, ho fatto x e ho
fatto y. Mi devi dare duecento. Il cliente disse, Col cazzo che te li do.
L'avvocato lo minacciò. Il cliente ebbe paura (l'avvocato fu fortunato, nessuno
teme più gli avvocati). Arrivarono a un accordo. L'avvocato stese la
transazione. Si accordarono su centocinquanta. Dopo aver preso i centocinquanta
l'avvocato disse, Mi devi altri cento, Perché, chiese il cliente, Perché ho
steso la transazione, e la transazione vale cento, ho lavorato e devi pagarmi. Loop.
Tutto vero, giuro.
Un'altra volta Doppiovubi ebbe un custode che studiava i testi più complessi e impegnativi. Doppiovubi beccò l'usciere che, in guardiola, era immerso in Sofocle. Tu gli
passavi davanti, e lui non ti vedeva nemmeno - come Edipo -, di tanto era
sprofondato in Sofocle. Il portinaio teneva la mano sulla fronte, sul cranio,
timoroso che le idee gli sfuggissero, per trattenerle, tutto teso nello sforzo di
comprendere Sofocle.
(segue)
W.B.