Howard Roark
E'
giunto il momento di chiarire il progetto di Doppiovubi. Egli sta
trattando dell'assetto socio-economico, e quindi politico, non perché
ritenga che sia possibile un cambiamento sul piano collettivo. Sul
punto, lo ha specificato più volte, Doppiovubi è scettico e
pessimista. Lo scopo di Doppiovubi è esclusivamente quello di
descrivere il fenomeno socio-economico attuale in termini, per
quanto possibile, di verità e oggettività. Il fine ultimo è quello
di trovare una strada (exit strategy, la chiamano) adeguata per il
singolo individuo. Come nel rapporto uomo-Dio la salvezza è un fatto
individuale e non collettivo, così – ormai – in campo
socio-economico, l'unica questione che possiamo affrontare (e
risolvere) è quella delle modalità della salvezza individuale.
Dobbiamo trovare la via per 'salvare' noi stessi e coloro i quali
gravitano intorno a noi, e a cui teniamo. Doppiovubi vuole 'salvare' anche i suoi pochi lettori. La società, infatti, nel suo complesso è
ormai perduta. La sbuffante mandria di bisonti sta correndo a perdifiato verso
il baratro, baratro esistenziale prima ancora che economico (diremmo innanzitutto esistenziale, e di conseguenza
economico). Bisogna studiare i bisonti, bisogna studiare il
baratro. La mandria è inarrestabile. Bisogna scegliere se finire nel
burrone insieme a loro, tentando vanamente di fermarli, oppure
salvarsi.
La domanda è abbastanza retorica.
La domanda è abbastanza retorica.
Prima
che qualcuno pensi, erroneamente e pateticamente, che Doppiovubi
voglia indicare qualche strategia 'efficace' e 'pratica' per
guadagnare di più, o qualche idea 'smart' per fondare una 'start-up',
leggete qui di seguito.
Il
mirino di Doppiovubi è puntato altrove, non equivocate, miei simpatici e sbuffanti bisonti.
In
un famoso film del 1949 (no, non è per niente famoso, oggi, ma lo
era nel 1949), un architetto di New York crede fermamente nei suoi
progetti e nel suo modo di costruire. E' pronto a tutto pur di non
vendersi. La sua arte, la sua creatività, per lui sono
irrinunciabili. Per tale motivo, i suoi affari peggiorano sempre più.
Non ha un soldo. Non riesce più a pagare nemmeno le bollette. Gli
rimangono in tasca poco più di diciassette dollari (all'epoca un
guadagno medio mensile si aggirava sui trecento dollari).
Rappresentano tutto il suo patrimonio. Finalmente viene convocato
dagli amministratori di una banca. Hanno scelto il suo progetto per
costruire la nuova sede della banca. Davanti al tavolo dove sono
srotolati i progetti, si sta per concludere l'accordo e firmare il
contratto. L'architetto Roark, Howard Roark (interpretato da un
incredibile Gary Cooper), sorride. E' felice. Il vento sta finalmente
cambiando. I suoi sforzi vengono premiati. Gli amministratori della
banca pongono solo qualche 'piccola condizione'. Il volto di Roark
comincia lentamente a mutare. Il sorriso scompare. Si acciglia. Uno
degli amministratori si avvicina al modellino del grattacielo
progettato da Roark. Da dietro una tenda, il banchiere estrae alcuni elementi
architettonici, che erano stati preparati. Ecco, vede, architetto,
aggiungeremmo questo elemento qui, e un altro qui. Per venire
incontro al gusto dei nostri clienti. Dobbiamo accontentare tutti,
sa, e oggi questo è ciò che viene richiesto. I nostri clienti
devono sentirsi a loro agio in banca. Allora firmiamo il contratto?
Howard Roark dice no. I banchieri sono esterrefatti. Non possono
crederci. Uno di loro, con sprezzo, dice a Roark che loro sono i suoi
clienti, lo pagano, ed egli deve fare quello che dicono loro, deve
costruire come dicono loro, gli conviene. Loro, per di più, sanno
che l'architetto si trova in gravi difficoltà economiche. Al che
Howard Roark risponde con una frase enfatica che ben descrive il
significato di tutto il film, e l'essenza della visione del
personaggio: “I don't build in order to have clients, I have
clients in order to build!”. In America direbbero, that's all. E'
tutto qui. Howard Roark arrotola i suoi disegni e se ne va,
nonostante i banchieri lo minaccino. Loro sono potenti, senza il loro
consenso non si va da nessuna parte. Secondo Roark, non importa il
cliente, non importa il corrispettivo del suo lavoro. Importa ciò
che fa, e come lo fa. Tutto il resto, la fama, il denaro, non hanno
alcuna importanza. L'opera, innanzitutto. In order to build. Aggiunge
Doppiovubi, non ha alcuna importanza l'opinione che gli altri si
formano di voi, nel bene e nel male, ma soprattutto nel bene.
La lode è pericolosa, è l'inizio della fine.
Ma,
sotto il profilo economico, Howard Roark ce la farà? Riuscirà ad
avere successo? Sono domande che hanno una risposta, ma che qui non
va data (e nemmeno bisogna porsi le domande), perché altrimenti
tutto il discorso che stiamo facendo cade, anzi, crolla, miseramente
e tristemente. Se vi ponete quelle domande, e le ritenete essenziali,
fuori di qui, sciò, non vi voglio, andate via immediatamente e non
leggetemi mai più, andate subito su corriere punto it, scritto così
perché altrimenti verrebbe linkato, a leggervi le notizie più
curiose e a passare un po' di tempo in serenità.
Il
film, se mai vorrete vederlo (dubito che lo farete, miei giovani
bisonti, ma è mio dovere consigliarvi di farlo) è 'The
Fountainhead' di King Vidor. In inglese 'fountainhead' significa
'sorgente' ma anche 'ispirazione'. In Italia è stato tradotto con
'La fonte meravigliosa'. Ogni tanto si inventano le traduzioni,
aggiungono qualcosa. Il film è tratto dal best-seller del 1943 'The
Fountainhead' (tradotto, infatti, 'La fonte meravigliosa') di Ayn
Rand, la quale ha scritto anche la sceneggiatura del film. Ayn Rand,
che ha influenzato fortemente Alan Greenspan, governatore FED per
quasi vent'anni e suo amico intimo e ammiratore, era una scrittrice
secondo Doppiovubi abbastanza modesta (il libro è inferiore al
film; peraltro con Atlas Shrugged, la summa del suo pensiero, del 1957, la Rand ha dimostrato di essere migliorata moltissimo come scrittrice), ma le sue idee – non tutte, ma molte certamente sì – sono
da tenere in grande considerazione. E con ciò dovrei avere azzittito
qualcuno che – troppo frettolosamente – mi ha etichettato come
'comunista' (anche se non è certamente un'offesa, quanto meno con
riferimento alla teoria primigenia, oggi probabilmente sì, osservando lo spessore di alcuni sedicenti comunisti).
Andate
adesso a rileggervi il penultimo post. La frase di Marella in
epigrafe. Le conseguenze del lavoro. La fama. Il denaro. Il lavoro
come strumento per ottenere fama e denaro. Qualcosa dovrebbe riuscire
più chiaro. Quelli che vogliono lavorare il meno possibile. Quelli
che truffano. Quelli che fanno altro. Quelli che ti concedono una
foto in fretta perché devono andare a lavorare. Quelli che si
buttano da un viadotto, pur essendo rampolli del casato più potente
in Italia. Il lavoro come strumento. I don't build in order to have
clients. Il fine è la cosa più importante. Perché si fa qualcosa.
Perché. Ossessionatevi con questa domanda. Ponetevela in
continuazione. Perché lo sto facendo? Perché lo sto facendo? Di che
cosa ho veramente bisogno?
Che cosa sto cercando?
Cominciate
dunque a chiedervi, cari lettori, qualunque attività svolgiate nella
vostra vita, se 'costruite' per avere clienti, o avete clienti per
avere l'opportunità di 'costruire'. Un 'cliente', fuor di metafora,
può ben essere il valore che gli altri vi attribuiscono. E
allora non stiamo più parlando di economia, ma di psicologia. E di
storia. Ancora una volta, non della storia collettiva, ma di quella
individuale. Stiamo parlando della vostra infanzia, e della vostra
intera vita. Perché lo sto facendo?
Poi,
potremo andare avanti.
(segue)
W.B.