In via del tutto eccezionale.

Da tempo si limitava a qualche breve citazione.
Aveva la sgradevole impressione però che i lettori, diciamo lettori, non cogliessero appieno, anzi qualche volta per niente, il significato di quelle citazioni, ammesso che avessero un significato. Così decise di tornare a scrivere qualcosa di suo, in via del tutto eccezionale, nella piena consapevolezza che tanto i per così dire lettori non avrebbero colto neanche in qualcosa di suo un qualche significato, o comunque ci avrebbero visto un significato diverso da quello reale, o forse ci avrebbero visto soltanto qualcosa da criticare - era un periodo in cui si sentiva davvero tanto incompreso ma si sentiva anche presuntuoso, però almeno ne aveva o pensava di averne la consapevolezza e avere la consapevolezza di avere un difetto dicono che vada a elidere il difetto medesimo, salva la mala fede, come quelli che dicono Tanto mi posso pentire anche sul letto di morte e non vado all'inferno, e alla fine però ci vanno lo stesso perché avevano la riserva mentale oppure non ci vanno se l'inferno non esiste, e per inciso secondo lui esisteva - e allora tanto vale, si disse, e scrisse qualcosa di suo.

Pensò che il guaio vero economico e non solo economico della società diciamo moderna è un esercito di donne che in massa ha deciso di andare a lavorare, lasciando vuote, ridotte a dormitori, case comprate indebitandosi per quarant'anni e costringendo le donne stesse al circolo vizioso di dover lavorare per aiutare a pagare centinaia e centinaia di migliaia di euro quelle case deserte, o al massimo frequentate da altre donne per lo più straniere che ci lavorano facendo finta di togliervi la polvere e di pulirvi i vetri e lasciano a loro volta altre case vuote, quelle dove vivono in affitto ma che desiderano tanto anche loro di poter acquistare prima o poi con un mutuo quarantennale e così via, fino all'ultima donna che non lascia la casa vuota e che sogna mentre passa lo straccio sul pavimento e le scende una lacrima che è giusto che scenda perché le hanno insegnato che è giusto essere tristi se si pulisce la propria casa anziché andare a lavorare, sogna si diceva di andare a lavorare per comprarsi una casa più grande, che sarebbe rimasta del tutto deserta, nuova e grande e ben arredata - ma il capitolo arredamento è una storia a parte troppo complessa - ma deserta, abitata solo alla sera da morti viventi disfatti sul divano e semi-addormentati davanti alla televisione perchè si alzano troppo presto, ancora più presto, sempre più presto, perché devono lavorare di più, i soldi non bastano, c'è un mutuo da pagare, e chi lo paga il mutuo adesso, bisogna lavorare di più, uscire di casa all'alba e tornare troppo tardi, ancora più tardi, sempre più tardi, e lasciare la bella casa comprata con un mutuo di quarant'anni sempre più vuota. Poi immaginò un mondo dove le donne non andavano a lavorare, ma curavano la loro casetta, e non dovevano pagare nessuno per curarla, e si accontentavano di una casetta modesta ma dignitosa, e avevano un sacco di tempo libero e potevano dormire di più e potevano fare le cose con calma e non erano innervosite dalle cose da fare e dal tempo che non basta mai e osservò questo mondo immaginario e improvvisamente vide che c'erano un sacco di posti di lavoro liberi e non c'era più la disoccupazione e quelli che lavoravano, gli uomini, guadagnavano di più e tornavano a casa prima e le loro donne erano felici, e anche perché c'erano più soldi, e abbracciavano gli uomini e gli uomini si sentivano uomini ed erano felici anche loro e tornavano a casa (caverna), con la loro borsa (clava) piena di soldi (selvaggina) contenti di essere abbracciati da donne felici. Poi si accorse che quel mondo era immaginario solo da un punto di vista cronologico, perché quel mondo era esistito davvero, ma nel passato. Li chiamavano i meravigliosi anni sessanta, e allora si chiese perché meravigliosi, mica sarà stato solo per la musica, e pensò che forse le donne non stavano poi così male, e pensò anche che forse stanno peggio adesso e improvvisamente provò una pena infinita per le donne perché le vide schiave dei loro stessi desideri e imprigionate in una vita sbagliata ma che era stato promesso loro, e la televisione ma non solo le aveva così programmate minuziosamente in anni e anni di pazienti quotidiani messaggi, fin da quando erano bambine, e il sessantotto e le conquiste, cosa facciamo, mica vorremo tornare indietro, abbiamo ottenuto delle conquiste, l'emancipazione, e alla fine le donne sono state pienamente convinte, senza ombra di dubbio e pronte a incazzarsi se qualcuno sostiene il contrario, che era la vita giusta, e che le avrebbe rese davvero felici uscire finalmente da questa casa schifosa simbolo della loro oppressione, andare a lavorare in un luogo dove c'è qualcuno che dà loro ordini che le fanno stare male - perché un essere umano che riceve ordini soffre e prima o dopo va a finire che si ammala davvero a meno che non torni a casa e trovi un altro essere umano che lo abbraccia felice e gli dà un motivo o come si suol dire una motivazione per andare avanti e riuscire anche a sopportare di prendere ordini da un altro essere umano ipoteticamente superiore ma di fatto feccia, basta però tornare a casa e trovare un altro essere umano felice che ti abbraccia e non trovare invece una casa disabitata - per guadagnare soldi che sarebbero serviti per pagare questa casa schifosa dalla quale non si vede l'ora di uscire per andare a lavorare e guadagnare i soldi per pagare questa casa schifosa, ma tanto tanto desiderata e finalmente comprata per centinaia e centinaia di migliaia di euro grazie a un mutuo quarantennale.

Ed ebbe un po' paura, a scrivere queste cose, pensando che la sua, di donna, non solo non sarebbe stata d'accordo, ma si sarebbe pure incazzata, come da software correttamente installato, e si sarebbe incazzata ancora di più a leggere che la sua incazzatura era il frutto di un software correttamente installato, e si sarebbe incazzata ancora di più a scoprire che la sua incazzatura era stata prevista e quindi deprivata anzitempo della sua naturale carica esplosiva e per così dire disinnescata a priori, e quindi non si sarebbe incazzata affatto, giusto per dimostrare a sfregio che la previsione di lui era del tutto sbagliata, ma si sarebbe limitata a una significativa, ma dolorosissima per lui, indifferenza.

Però le scrisse ugualmente, queste cose.

Poi rilesse quello che aveva scritto e, quando si accorse che tutto quello che aveva scritto poteva essere confutato e irriso senza difficoltà anche da un bambino, fu colto da uno strano e poco comprensibile senso di noia verso di sé, quasi accompagnato dal desiderio che qualcuno confutasse per davvero il suo pensiero fino a demolirlo in tanti minuscoli e patetici frammenti, e concluse che sarebbe stato molto meglio tornare alle brevi citazioni.

W.B.

Commenti

pim ha detto…
un passo avanti.
la creazione più grande è quella che al creatore pare degna solo di fiamme.
più ci avviciniamo alla verità, più essa si allontana da noi.
è il beffardo inganno dell'esistenza, ovvero il simbolo della purezza della nascita: nel momento in cui sappiamo, cessiamo di sapere.
nondimeno, un passo avanti.
necessariamente.
fatti non fummo.
Unknown ha detto…
E' possibile spezzare questa catena di rinvii, che fa sembrare ogni approfondimento della realtà così nichilisticamente inutile? E' possibile sviluppare un modo di agire che superi la fluidità dell'inconsistenza ricevuta in cambio dei propri tormenti? Certo, purché si concretizzino due presupposti. Eliminare le aspettative e andare ancora più a monte nella riflessione per essere piena identità di sé mentre si agisce. Lo scopo è duplicemente virtoso: eliminando le aspettative, ogni tormento interiore diviene impulso di ricerca dell'autenticità propria; approfondendo il senso della realtà senza meccanicismi riflessi sul mondo (come nella riflessione del post ora commentato) si guadagna un criterio e uno scopo più alto. Già, percé ciò che si ottiene è puro dono e piena realizzazione al contempo. Corollario di questo teorema è che se non si scrive con questo intento, pur avendo tutti gli strumenti per farlo, ci si autolede ad ogni parola, citata o propria.
Fatti, non fumo.

Paolo
Bu ha detto…
Ma che lettori sofisticati...
La tua donna (stranamente) concorda e ti aspetta nella caverna, pronta per godere della selvaggina. Lascia però la clava da tua mamma e mettiti le pattine di lupo che mi strisci il parquet.
pim ha detto…
concordo con Paolo l'Illuminato (nel senso essoterico).
eliminare le aspettative è virtuoso, così come eliminare i riferimenti, alti o bassi che siano.
resta da capire che significato attribuire alla ricerca dell'identità di sè.
Unknown ha detto…
Pim solleva il problema più delicato, non prima di aver suonato due accordi sublimi di fiducia su premesse non certo scontate, di cui lo ringrazio (perché inducono a fertilità dialogica e a bellezza interiore condivisa). Proseguo, dicendo che la ricerca dell'identità di sé ha già un valore intrinseco, che è superiore a quello socratico se è condotto con criterio non autoreferenziale. Il narcisismo, l'idea dell'autocontemplazione per l'effetto del proprio agire sul mondo non è reale conoscenza di sé, perché da ultimo induce nuovamente al vuoto di cui sopra. Basti pensare alla povertà teleologica dell'individualismo idealista (doppiovubi ne sa qualcosa, da appassionato di narrazioni simil-londoniane). L'uomo che, conoscendosi, si erge sul mondo è destinato ad una sottile e impercettibile forma di autolesionismo, ad una condizione di insoddisfazione continuamente celata a se stesso (per non impazzire) che nuovamente lo riporta al gioco degli specchi o delle aspettative, o ad immolarsi per il nulla in un supremo sforzo di espressione di sé. Cresce negli strumenti, affina l'acume, ma poi si autotravolge nell'assenza di fini autentici, perdendo anche il gusto per ciò che ha conquistato. Invece, l'essenza di un ricerca profonda e radicale è l'apertura alla ferita che l'altro provoca in sé, ossia al paradosso per cui ci si conosce fecodamente e felicemente tanto più si concede, agendo bene e prudentemente, di lasciare aperta una strada dentro di sé per ogni incontro umano. Il problema espresso da doppiovubi allora si inverte: diventa prioritario conoscere della misura della fiducia sulla base della conoscenza dell'altro, così che questi sia pronto per ferirmi quanto basta perché la conoscenza di me stesso si innalzi, e ancora lo possa ripagare con altra e nuova fiducia conquistata. Questo rende felici, perché porta a realizzare il sé rendendo compartecipe l'altro nelle contingenze quotidiane, sforzandosi di leggere nei propri limiti di volizione qualcosa che vada oltre alla stessa volontà. In questo modo si impara anche la bellezza della semplicità senza rinunciare alla qualità con cui la si esprime, dell'essenzialità senza perdere la cura per la varietà, del Senso senza opprimere i sensi e molto altro ancora. Credo in definitiva che la persona più felice sia quella che riesca a cogliere anche dalla persona più ottusa e nemica un'occasione per esprimersi nella gioia della propria libertà.

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