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Visualizzazione dei post da luglio, 2007

E' troppo tardi

Mi compro un televisore nuovo. Vado a casa, lo tolgo dalla scatola, lo metto sul mobile. Sta bene, sta proprio bene. Forse sarebbe meglio un po' più in là, vicino alla pianta. Ecco, così è perfetto. Nella scatola ci sono le istruzioni. Devo trovare un luogo per conservarle, potrebbero essermi utili. Poi c'è la garanzia. Bisogna spedirla? Nessuno la spedisce più, il venditore mi ha detto che basta lo scontrino. E se poi questa qui bisogna spedirla? Allora decido di spedirla. La metto sul mobile dell'ingresso. Non ho il francobollo, domani passo dal tabaccaio, così compro il francobollo e la spedisco. La cassetta delle lettere non è lontana, un centinaio di metri. Domani faccio tutto. Però bisogna compilarla, la garanzia. Facciamolo adesso, così non ci pensiamo più. Poi c'è la privacy. E se poi mi coprono di pubblicità? E se io non dico di sì, non è che poi non è più valida la garanzia? Mi leggo l'informativa sulla privacy. Bene, problema risolto, non sono obbligato,

Agone

"Meditavo dunque se non fosse per caso possibile pervenire a un nuovo regime di vita, o almeno alla certezza di esso, senza mutare l'ordine e il regime abituale della mia vita; ciò che, spesso, invano tentai. Infatti, le cose che si incontrano per lo più nella vita e sono considerate dagli uomini come bene supremo, per quanto è lecito concludere dalle loro opere, si riducono a queste tre: ricchezza, onore e piacere. Queste tre cose disorientano a tal punto la mente dal renderla del tutto incapace di pensare a qualche altro bene." Alla fine del 1656 così scriveva Baruch Spinoza, nel 3° paragrafo del Tractatus de intellectus emendatione . La traduzione che ho riportato è di Filippo Mignini, il quale ha curato la meravigliosa edizione delle Opere di Spinoza per I Meridiani di Mondadori, di recentissima pubblicazione (aprile 2007). "Queste tre cose disorientano a tal punto la mente..." Questo passo, con particolare riferimento alla ricchezza, mi ha richiamato - e

Come un cane

Gli esseri umani, in particolare nella società occidentale, curano la propria immagine. Tranne una sparuta minoranza di autentici esteti, lo fanno per essere approvati dagli altri, o quanto meno per non essere disapprovati. Il presupposto è che il prossimo nutra un certo interesse verso di noi. Se il prossimo fosse cieco, poniamo, (quasi) nessuno si occuperebbe e si preoccuperebbe più di tanto della propria immagine. Mancherebbe il riscontro. Lungo il tragitto che quotidianamente compio si può incontrare un barbone. Vive su una panchina, ai margini di un parco. In genere è disteso. Dorme. Fuma, legge i giornali distribuiti gratuitamente e intanto gesticola, parlando da solo e a qualcuno che scorge solo lui, a commento di quello che legge. Dà da mangiare ai piccioni. Li osserva. E’ magro, ha una lunga barba grigia, avrà sessant’anni. I vestiti sono sempre gli stessi. Mi sembra abbastanza felice, tutto sommato. Ma non è della sua “immagine” che voglio parlare. Due giorni fa, mentre mi di

Fear and loathing in Las Vegas

Una blogger ha scritto di recente: "Ognuno ha una propria idea di felicità". Che ognuno abbia una propria idea di felicità, è un fatto, e quindi, come fatto, è vero. Non vorrei però che si confondesse l'opinione con la verità. Quindi io completerei la frase così: "...ma non è detto che tale idea sia giusta". Molti hanno idee diverse su che cosa ci sia dopo la morte. Secondo Democrito ed Epicuro, per esempio, dopo la morte non c'è niente. Secondo Platone, invece, c'è qualcosa. Io non so chi abbia ragione (ovvero, ho la mia idea, ma può ben darsi che io mi sbagli completamente). Quello che posso affermare è che la verità permane identica a sé stessa, anche se noi non la conosciamo; voglio dire: sicuramente c'è una e una sola verità, sullo stato dell'uomo dopo la morte. Non si possono dunque confondere le opinioni degli uomini con la verità. O meglio: è legittimo esprimere la propria opinione, e, oltre che legittimo, è anche auspicabile. L'impor

Meister Eckhart

Ieri ho letto questa frase: "Infatti, ciò che essi sono, lo sono grazie a Dio, e ciò che hanno, lo ottengono da Dio e non da loro stessi.". E, poco oltre: "... come Cristo ha detto : "senza di me non potete fare niente". Questo è detto in Giovanni, 15,5. Ho verificato. Il versetto completo è: " Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla .". In latino: "Ego sum vitis, vos palmites. Qui manet in me, et ego in eo, hic fert fructum multum, quia sine me nihil potestis facere .". "Senza di me non potete fare nulla". Ho riflettuto sul punto, e invito anche voi a riflettere. Chi non crede in Dio, potrebbe comunque soffermarsi utilmente sul tema. Quello che abbiamo, lo abbiamo davvero ottenuto grazie a nostri meriti? Quello che siamo, lo siamo davvero diventati grazie a nostri meriti? W.B.