[Intervallo-2]

Prima Parte (per molti).

Forse, prima di andare avanti a vivere le nostre vite, dovremmo fermarci un attimo, a riflettere.

Il semplice tentativo di raggiungimento di un qualsiasi 'obiettivo' desiderato, comporta una rinuncia, un sacrificio, una perdita. Non esiste in natura un'attività 'a costo zero'. Il Sistema è costruito così, e, al momento (almeno, fino a quando non colonizzeremo altri pianeti, ciò che, probabilmente, accadrà nel giro di un centinaio di anni), è l'unico Sistema di cui disponiamo (da vivi, s'intende).

Per portare un banalissimo esempio: se vuoi dormire, e di fatto dormi, riacquisti sì le energie psico-fisiche, ma ti perdi certamente qualcosa che avresti potuto sperimentare in stato di coscienza vigile. Se invece vuoi svolgere un'attività qualsiasi, non puoi dormire, e dunque sarai più 'stanco' di prima. E' semplice.

A ogni guadagno corrisponde una perdita.
Il motivo di questa correlazione è assai semplice: il tempo. Il maledetto (o benedetto) 'tempo', che esiste in questo mondo e lo caratterizza, impedisce a qualsiasi ente che 'esista' qui, di svolgere due attività contemporaneamente, ma mette le attività 'in fila', una dopo l'altra.
Di conseguenza, se fai questo, non fai quello. 
Per chi ha una propensione 'spaziale', più che 'temporale' (Doppiovubi, per sua inclinazione, ragiona meglio in termini di 'tempo', anche se sappiamo che non esiste il 'tempo' in quanto tale, bensì unicamente lo 'spazio-tempo', come entità unitaria e inscindibile), si può anche dire che nulla si crea e nulla si distrugge, ovvero tutto si trasforma, o ancora, come ama dire Doppiovubi in termini molto più semplici, tutto 'si' sposta da un luogo all'altro, ossia tutto non fa altro che spostarsi o essere spostato. Quindi se 'fai' qualcosa in un luogo, stai semplicemente togliendo, sottraendo, spostando, muovendo, qualcos'altro da un altro luogo. Nulla può 'trovarsi' (come direbbe Martin Heidegger) in due luoghi contemporaneamente. Se sei qui, non sei là (come direbbe Adriano Celentano).
Rinunce, sacrifici, perdite, da una parte, e acquisizioni, realizzazioni, guadagni, dall'altra parte.
Nessuno può ottenere un guadagno senza subire, al tempo stesso, la correlativa perdita (qui la parola-chiave, da ricordare, è 'correlativa', quindi il nesso).
A volte la perdita è nascosta, il prezzo non si vede, perché magari lo vedrete soltanto anni dopo, ma statene pur certi, il prezzo da pagare c'è. Piccolo o grande, ma c'è, anche soltanto in termini di impossibilità di fare (o non fare) qualcos'altro. E' una legge di 'natura', e in quanto tale si può studiare, analizzare, descrivere, maledire, subire, ma non la si può cambiare.
Se sei un bambino, insegui la felicità e il benessere, senza sapere che devi, dovrai, pagare.

E se è così - ed è così -, diventa tutta e soltanto una questione di scelte. 
Uno, ormai, ha irrimediabilmente perduto la sua 'forma fisica', ma si gusta (spesso) un buon hamburger con untissime patatine fritte. 
Un altro, invece, ha gli addominali molto scolpiti, ma deve fare una notevole fatica per mantenerli, e mentre lui suda agli attrezzi, un altro ancora si rilassa in poltrona, guardando l'ultima intrigante serie su Netflix, pescando compulsivamente da un bel paccone di Cipster.
Uno ha studiato Husserl per vent'anni; è vero, è un po' pallido ed emaciato, ma su quella locandina campeggia il suo cognome, principale relatore a quel convegno annuale di filosofi che provengono da tutta Europa, che un po' lo invidiano, e un po' lo stimano. Lui però si sente orgoglioso della sua conoscenza esclusiva (e state pur certi che conoscere e comprendere Husserl non è da tutti), e di sicuro questa conoscenza lo ha migliorato sotto il profilo evolutivo dell'essere. Ma quanto ha 'perduto', in questi vent'anni?
Un altro, invece, ama stare in compagnia, parlare con tanti 'amici', sedersi al tavolino di un bar a sorseggiare allegramente un Negroni, a discorrere del più e del meno. 'Husserl' per lui rappresenta semplicemente un suono, e niente di più: mai sentito nominare, forse sarà l'ultimo acquisto dell'Inter, magari un esterno proveniente dal Werder Brema. E costui, che ama stare in compagnia, ha sicuramente migliorato il suo tessuto di relazioni sociali. Al tempo stesso, in termini di introspezione e schemi di pensiero, ha perso molto.

Certamente questi sono esempi estremi. 
Alcuni, pochissimi invero, riescono a trovare forme di equilibrio grazie alle quali non rinunciano a un piccolo piacere, ma al tempo stesso non 'esagerano', e dunque non pagano un 'grande' prezzo correlato. 
Ma il prezzo da pagare, per quanto sia piccolo, c'è. E se non c'è in termini di 'danno', c'è sempre e comunque in termini di tempo ed energia dissipata. 
Se stai bevendo un mezzo bicchiere di vino, e ti fermi lì, certamente il tuo fegato riuscirà ad azzerare completamente il 'danno', ma -necessariamente- avrai 'consumato' il tempo necessario a gustare il vino stesso, che non è solo il tempo occorrente per fare scendere il liquido in gola, ma è anche l'approvvigionamento del vino stesso - o comunque la gestione del rapporto con chi ha provveduto all'approvvigionamento, per conto tuo -, la scelta e il costo del vino, la scelta di un luogo adatto dove berlo, la disponibilità di almeno un calice, che poi sarà da lavare, e lo laverai tu (con un detersivo e una spugna che previamente hai dovuto procurarti) o far lavare, da una persona, magari da te pagata, o da una macchina che consuma energia elettrica e che hai dovuto scegliere, comprare e installare, e che ha bisogno di manutenzione, e in più hai avuto 'in carico' la gestione concreta del rapporto umano con chi sta bevendo insieme a te (se c'è qualcuno che sta bevendo insieme a te), o se sei solo, la gestione dei tuoi pensieri durante il sorseggio. 
'Bere un bicchiere di vino' equivale pertanto a un notevole e complesso investimento di tempo e risorse, e dunque, per la legge inviolabile che stiamo descrivendo, implica una correlativa perdita, e non da poco. 
Ma il 'benessere' - o il 'guadagno' - sono fatti così: relegano 'dietro le quinte' tutta l'attività 'preparatoria'. In quei momenti, quando gusti il vino (sempre che alla fine non si riveli pessimo), le perdite sono rintanate in un'area nascosta e ben poco visibile (è fatto psicologico), tant'è vero che Doppiovubi ha dovuto pensarci un po' su, per enucleare tutte le 'perdite nascoste' del sorseggio di un mezzo bicchiere di vino (e certamente ce ne sono molte altre che ha dimenticato, senza contare che quelle descritte sono perdite certe, poi ci sono quelle possibili, derivanti dalla 'sfortuna', per esempio, il rovesciarsi qualche goccia di vino rosso sulla tua bella camicia di lino bianco, da duecento euro). 
Qualcuno penserà - erroneamente - che Doppiovubi voglia andare a parare là, dove si ponga l'opzione di non fare nulla per non avere problemi. Ma ovviamente non è quello il punto di caduta, abbiate pazienza.

E' tutta e soltanto una questione di scelte.

Mentre hai 'scelto' di fare - o non fare - qualcosa, qualsiasi cosa, stai contestualmente pagando il relativo prezzo. Dato che il prezzo è necessario, già ora, mentre stai facendo - o non stai facendo - quella determinata cosa, stai pagando il prezzo. 
Ciò che è necessario in futuro, esiste già ora. Il modello-base di questa argomentazione è la morte. Essendo ineluttabile, è già presente ora, non è 'futura'. Possiamo, forse dobbiamo, considerarla come attuale. E' propriamente 'futuro' solo il 'possibile', quello che potrà accadere o potrà anche non accadere. Ma ciò che necessariamente accadrà, è già presente. Questo è un antichissimo 'pallino' di Doppiovubi. Doppiovubi ha infatti elaborato questo originale concetto di 'evento presente': come detto, l'evento 'presente' è anche l'evento 'futuro' che necessariamente accadrà. E più è probabile l'accadimento, più si deve considerare 'presente', anche se è - formalmente - collocato nel futuro. Se noi abbiamo la ragionevole certezza che un  evento accadrà, esso sta accadendo già adesso, quanto meno nella nostra sfera della coscienza (che è poi, per ciascuno di noi, l'intero mondo che esiste; infatti quando, con la morte, scompare la coscienza, scompare il mondo intero, il che pone un serio problema di esistenza oggettiva del mondo stesso, come direbbe Philip Dick, per intenderci).
E' per questo che stiamo pagando già ora il prezzo di quello che abbiamo scelto di fare, o di non fare, adesso. Questo ha un'importanza centrale, come vedremo oltre, sotto molti profili. Pensare, erroneamente, che il prezzo da pagare sia collocato nel futuro, non ci consente di stabilire la giusta correlazione tra guadagni e perdite. Più sopra Doppiovubi, scriveva che la parola-chiave è 'correlativa', riferita a 'perdita': è un'arte molto difficile e rara quella di riuscire a correlare esattamente ciascun guadagno alla sua specifica perdita (unica via per un confronto razionale tra benefici e costi), essendo quest'ultima, come abbiamo detto, nascosta e quindi difficilmente individuabile. E poi, forse - qui Doppiovubi azzarda un po' - siamo 'programmati' per non vedere subito il prezzo da pagare, naturalmente offuscato dal benessere del guadagno che stiamo ottenendo, o a cui stiamo 'puntando'. Per questo la 'scelta' 'giusta' è difficile da realizzare, e l'esercizio del libero arbitrio estremamente tortuoso e complicato, al punto da far dire a molti che il libero arbitrio nemmeno esista.

Ma, eccepiranno i più 'concreti' tra voi, che senso ha evidenziare sin da ora che sto pagando un prezzo? non è meglio, forse, gustare senza pensieri il mio saporito hamburger, e non pensare ai danni che mi sta arrecando e alle perdite che comporta? non è meglio, forse, correre, sudare e sollevare pesi, per costruire il mio fisico da CR7, e non pensare a tutto ciò che mi sto perdendo, dedicando le mie preziose ore all'esercizio in una palestra? Ma lasciamo il pensiero del prezzo da pagare, o che stiamo già pagando, a dopo, anzi, a mai! Altrimenti ci rovineremo anche il presente. Chi vuol essere lieto, sia. 

Doppiovubi crede invece che sia davvero molto importante pensare 'adesso' al prezzo che stiamo pagando 'adesso'. Qualificare il prezzo come 'attuale', lo trasporta nel suo luogo naturale, che è il presente. In quanto prezzo 'presente', va dunque considerato subito, esattamente insieme all'esperienza di 'guadagno', che viaggia a suo braccetto. Sempre di momento presente stiamo parlando, ed è inutile fingere che non sia così.

Se uno non ha ben presente il prezzo che sta pagando già ora, la scelta è falsata. 
Anzi, la scelta è - diremo di più - sbagliata
Introduciamo qui un nuovo, particolare e originale significato di 'sbagliato'.
Non è sbagliato in sé mangiare l'hamburger. Se io credo che mangiare un hamburger, anzi, mangiare tanti, tantissimi hamburgers, sia una buona cosa per me, e accetto di pagare il prezzo di andare -anche irreversibilmente- sovrappeso, la mia scelta rimane (seppur solo formalmente, come vedremo) 'giusta'. La scelta, invece, diventa incontestabilmente 'sbagliata' quando io mangio tantissimi hamburgers, e non ho capito (o non ho considerato, o non ho voluto considerare) che diventerò molto grasso, con quello che ne consegue. Oppure spero, invano, di non ingrassare. Per ora mi mangio gli hamburger, poi 'si vedrà'.
Suonare il violino per dieci ore al giorno, tutti i giorni, è profondamente, oggettivamente e inconfutabilmente sbagliato, se non ho capito che cosa dovrò (anzi, devo) pagare, e dunque che cosa avrò (ho) perso, per arrivare a essere il primo violino della Scala (ammesso che ci arrivi, ed è molto più probabile che non ci arrivi). Quelle belle frasi da Facebook (inseguire un sogno) rappresentano tante volte - troppe volte - l'inizio della fine. Più che un sogno, è un'orribile trappola mortale: inseguire un incubo, sarebbe meglio dire.
C'è da sottolineare, comunque, che qui, qualificando la scelta come 'sbagliata', non entriamo nei contenuti della scelta, ma ci riferiamo unicamente all'elemento formale del concetto di 'scelta'. Una 'scelta' che non tenga in considerazione le conseguenze inerenti e correlate alla 'scelta' stessa, non è una 'scelta', ma un mero comportamento etero-orientato (dipendente e non autonomo), che prescinde da un reale e sensato elemento volontaristico. Sotto questo profilo, anziché chiamarla 'scelta sbagliata', potremmo anche qualificarla meglio come 'non-scelta' (anche se porre il 'non' davanti a un ente, dice poco, perchè suddivide il mondo in due categorie, di cui una è troppo ampia). Peraltro, anche una 'scelta' che si può definire tale, dunque assunta con la piena consapevolezza di tutti gli effetti che ne derivano, potrebbe essere 'sbagliata', in seconda battuta, riguardo ai contenuti. Tornando all'esempio di cui sopra, se io mangio venti hamburgers, molto elaborati, ogni giorno, nella totale consapevolezza del fatto che, a causa di questa scelta, morirò a breve (consapevolezza che probabilmente ebbe Elvis Presley negli ultimi mesi della sua povera esistenza, anzi, meglio, nei poveri ultimi mesi della sua straordinaria esistenza), la scelta è 'giusta' nella forma, ma 'sbagliata' nei contenuti. Il primo livello, imprescindibile, è quello di compiere scelte che siano davvero scelte, e il secondo livello è quello di compiere scelte che, giuste formalmente (dunque consapevoli), siano tali anche nei contenuti. In questo noiosissimo post ci riferiamo soprattutto alle scelte 'sbagliate' a livello formale, anche perché il giudizio di 'sbagliato' sul piano formale (per come lo abbiamo strutturato qui) è abbastanza semplice e inconfutabile, mentre sul piano contenutistico diventa opinabile (anche se certamente esiste ciò che è 'giusto' in senso oggettivo, nonostante questa qualificazione oggettiva sfugga all'essere umano, o comunque sfuggano i criteri di discernimento).

E allora diviene vitale comprendere l'esatta correlazione tra quello che stiamo facendo e l'inevitabile prezzo da pagare. Questa è la vera libertà.

Il guaio è che spesso viviamo in mondi di fantasia. 
Pensiamo che dieci ore al giorno di violino ci porteranno alla perfezione nell'esecuzione, e dunque a  diventare celebri e a essere acclamati, e forse falliremo nell'obiettivo. Che poi, è sempre e solo quello della felicità. Perchè l'uomo, senza dubbio, è stato 'progettato' per anelare alla felicità. 
Ma il prezzo, quello, sì, lo pagheremo comunque, e lo pagheremo comunque proprio perché lo stiamo già pagando ora, per definizione, come abbiamo detto e ridetto. 
Intanto le dieci ore al giorno di esercizio al violino (oltre a tutte le altre 'perdite nascoste', che emergeranno un poco alla volta, col tempo) sono svanite per sempre.
Con riferimento all'obiettivo di 'primeggiare', poi, c'è da aggiungere una considerazione molto importante. Strada facendo  può accadere di 'abbassare l'asticella', come moltissimi tra noi fanno quando falliscono la realizzazione del 'sogno primario'. Questo 'ripiegamento' rappresenta soltanto un misero tentativo di auto-consolazione, anche per dare un significato a posteriori , nell'esempio, a migliaia di ore di esercizio sprecate.
Se non l'avete capito, che il prezzo viene pagato subito, e dunque (in quanto già pagato) è irrecuperabile, pensateci su ancora e meglio, e non potrete non convenirne.

Forse, prima di andare avanti nelle nostre vite, dovremmo fermarci un attimo a riflettere. 
E chiederci: ma ne vale la pena?
Lo scriviamo di nuovo, così forse è più chiaro: ne vale la pena?

I casi più gravi sono quelli che si verificano quando, per il tramite di coercizioni più o meno sofisticate (ma, stringi stringi, sono sempre coercizioni, ricatti, materiali o morali, estorsioni dirette o trasversali), imponiamo ad altri che osservino certi comportamenti che noi abbiamo ritenuto come degni di essere compiuti, o impediamo ad altri di tenere certi comportamenti che noi abbiamo considerato censurabili, e sono i casi più gravi perché il prezzo lo facciamo pagare a loro, ovvero alle nostre 'vittime'. 
Si tratta dello schema del 'se non fai questo... allora...', oppure del 'se fai questo... allora...', schema che di questi tempi è molto 'di moda', e anche 'politicamente corretto', perchè così si salvano le apparenze: nella facciata, mantieni la tua 'vittima' libera di scegliere, ma di fatto è costretta a fare quello che vuoi tu, che sei il suo aguzzino e ricattatore. 
Sapete bene quanto sia frequente questo modello. E' lo schema della violenza, fisica o psicologica. Soprattutto psicologica.
In quei casi non si pone un problema di scelta 'sbagliata', perchè il soggetto che compie l'azione, o l'omissione, non coincide con quello che ha deciso l'azione o l'omissione. Ma anche nel migliore dei casi, quando 'imponiamo' a qualcuno qualcosa 'per il suo bene', se noi 'sbagliamo' scelta (perchè il bene non arriva, o forse ne deriva addirittura un male), il prezzo lo pagherà quel 'qualcun altro' che noi abbiamo 'indotto' ad agire (o non agire) in un certo modo. 
E questo non è bello.

Ci siamo passati tutti. 
Quando eravamo bambini, ci hanno imposto di fare qualcosa, o ci hanno impedito di fare qualcos'altro. Lo hanno fatto, pare, 'per il nostro bene'. Ma il prezzo, poi, lo abbiamo pagato tutto (c'è  scritto 'tutto', ma va bene anche se, distrattamente, avete letto 'tutti') noi.
I più sfortunati tra noi non hanno nemmeno conseguito il 'traguardo' che qualcuno 'sognava' al posto loro; perchè un bambino non ha 'traguardi' da raggiungere, se non quelli che altri (la famiglia e la società) hanno progettato e scelto per lui e hanno inculcato in lui, fino a convincerlo, un po' alla volta, che si tratta del 'suo' 'sogno', personale e unico.
Se non ritornerete come bambini: ossia, se non vi libererete dei sogni altrui, che diventano incubi vostri.
Dunque, un fallimento a cui si è sommato il prezzo da pagare, anzi già pagato. Non, un premio e il correlativo prezzo da pagare. Bensì, un fallimento e il correlativo prezzo da pagare. La combinazione peggiore. 
Sofferenza su sofferenza. Poveri bambini.

Ho perso la mia vita dietro a un fottutissimo violino, e dopo tutto questo, adesso non sono nessuno. Tiro avanti con qualche lezione privata, quando mi capita. 
Ho passato anni e anni ad allenarmi, sotto la canicola e la pioggia, per inseguire il sogno di diventare un giocatore dell'Inter, e ora sono qui a giocare a calcetto con altri cinquantenni, falliti come me, un po' panciuti e ansimanti, ma tutti molto frustrati.
Poi si cresce, ma si continuano a fare scelte 'sbagliate' (nel particolare senso, qui esposto, di non considerare il corrispettivo da pagare, anzi, pagato). 

Se si hanno figli, si scarica ignobilmente su di loro l'errore.
Alcuni tra voi, lettori, sono genitori, altri lo saranno, alcuni non lo saranno mai. Tutti, però, hanno avuto genitori, che hanno sbagliato.
Si badi bene, l'errore del genitore non è solo quello di coartare la volontà del figlio - dirigendola verso una scelta perniciosa - ma anche quello di lasciare al figlio troppa libertà di 'sbagliare'. Il prezzo lo pagherà comunque il figlio. E poi, naturalmente, ma solo in seconda battuta, lo pagherà anche il genitore, in termini di senso di colpa, ammesso (e non concesso) che il genitore abbia una coscienza, e, anche ammesso (e non concesso) che ce l'abbia, che decida di ascoltarla. Un sistema per discolparsi, o per trovare giustificazioni, o incolpare l'altro genitore, bene o male un genitore lo trova, frugando bene da qualche parte.
Le colpe dei padri, e delle madri, ricadranno sui figli.

Forse, prima di andare avanti, dovremmo fermarci un attimo a riflettere. 
Ne vale la pena?
Non stiamo parlando delle 'grandi scelte della vita'. 
Decidere se andare a vivere a New York o nel nulla di un paesino della Brianza dal nome improbabile. 
Stiamo invece parlando di piccole scelte banali, compiute ogni singolo giorno, ogni singolo minuto, ogni singolo secondo. Ogni più piccolo bivio che si presenta, e continuamente, lungo il nostro tortuoso percorso.

Stiamo parlando di dire qualcosa o di tacere, di compiere un singolo atto oppure no. 
Di scegliere il benessere proprio, o quello di chi ti è vicino.

Tante piccole scelte - microscelte, ancora una volta il lato microscopico della realtà, quello 'invisibile' - che determinano tutta la nostra esistenza. Poi tiri le somme, ti guardi allo specchio, e ti chiedi: 

come sono arrivato sin qui? come ho potuto?

Le scelte sbagliate, quelle inconsapevoli.
Alcune volte sono scusabili. Io non lo sapevo - nessuno lo sapeva - che quel particolare 'farmaco' avrebbe portato queste conseguenze. Ero in buona fede. Ma le scelte sbagliate in buona fede, e dunque sotto un certo profilo nemmeno si possono dire 'sbagliate', sono relativamente poche.
Ma la scelta inconsapevole, la scelta 'sbagliata', dove una maggiore attenzione, introspezione, e lucidità,  in ordine alla comparazione con il prezzo da pagare, avrebbero condotto a una scelta diversa, quella è inescusabile.
E il guaio è che quando ti incammini lungo una strada, diventa sempre più difficile deviare. La strada stessa, a un certo punto, ti governa, ti indirizza, decide per te. Arrivato sin qui, vado avanti, cerco di raggiungere 'l'obiettivo', a ogni costo. La 'sindrome del giocatore di poker' che ha perso molto e non può (vuole) più fermarsi.
Meglio sarebbe, tante volte, girarsi, tornare indietro, e ricominciare tutto da capo, ma su basi diverse e nuove.

E poi, accade che quando, prima o dopo, ci troviamo di fronte il prezzo da pagare - nel senso che ormai 'lo tocchiamo con mano', ne sentiamo tutta la durezza e la concretezza -, e non possiamo più negarlo, allora ci arrabbiamo, diventiamo tristi, delusi, frustrati, addolorati, quello che in inglese, con parola multiforme e ricca, si definisce upset. Però non eravamo upset quando godevamo del nostro benessere, cullavamo il nostro desiderio, 'mettevamo nel carniere' il nostro guadagno, il nostro momento 'positivo'. Questo sì, è 'infantile' nel senso deteriore del termine, pretendere il guadagno e rifiutare la correlativa perdita. 
Ci fu Qualcuno che suggerì di provocare la perdita, addirittura, anziché perseguire il guadagno. 
Qualcuno infatti disse:
"... e a chi vuol litigare con te e prenderti la tunica, lasciagli anche il mantello.". 
Il che significa rovesciare il comune, 'umano', modo di ragionare. Vedremo nella Seconda Parte che il rovesciamento della logica 'umana' è un'opzione da considerare attentamente.

C'è ancora tempo. Non siamo condannati a sbagliare per sempre. "Ormai è andata così" non esiste. Finchè ci rimane un anelito di vita, un flebile respiro, finchè qualcuno non decreterà la nostra morte cerebrale, ogni singola scelta che compiamo potrà essere ancora 'giusta'.

Doppiovubi per molti anni ha riflettuto sulla teoria della 'metempsicosi', o 'reincarnazione'. L'idea ha in sè un certo fascino, e, se vogliamo, un'apparente sua logicità. Ma - anche a prescindere totalmente dal fatto che essa è incompatibile con il cristianesimo, il che di per sè sarebbe dirimente per chi è cristiano, come lo è Doppiovubi, come sapete - purtroppo la teoria è errata, per tanti motivi, anche logici e dunque 'laici', che non staremo qui a enucleare. Se la teoria è errata, significa che abbiamo una sola vita a disposizione. E se abbiamo una sola vita a disposizione, dobbiamo 'usarla' bene, o comunque al meglio, quindi cercare di 'sbagliare' il meno possibile. Pensiamo bene a quello che stiamo facendo, adesso.

Detto questo, forse è giunto il momento di tentare di elevarsi a un livello superiore.

Seconda Parte (per pochi).

Giusto qualche giorno fa, Doppiovubi ha fatto una fugace puntatina a St. Moritz. Davanti al meraviglioso Badrutt’s Palace erano posteggiate un’elegante e lucidissima Rolls Royce, e un’aggressiva e sportiva Aston Martin Vantage, tutta bianca con losanghe grigio/azzurre, e proprio mentre Doppiovubi stava osservando queste due -antitetiche- meraviglie della tecnica, è arrivata, assai rombante, quasi a dire Non c’è limite al lusso, una McLaren 720S coupé, color granata [sui trecentomila euro (considerato qualche immancabile optional), e 341 km/h di velocità massima], contenente un cinquantenne, dall’aspetto apparentemente annoiato, e al suo fianco una donna dall’età imperscrutabile, dall’aspetto certamente annoiato. Il cinquantenne è sceso, e ha depositato le chiavi, per il parcheggio, nel palmo della mano di un ossequioso e deferentissimo incaricato, che vestiva una divisa, casualmente dello stesso colore della McLaren, con in più degli alamari gialli. L’addetto ha ‘parcheggiato’ la McLaren con perizia e rapidità. ‘Parcheggiato’ è scritto tra virgolette perchè, più che essere stata parcheggiata, la McLaren è stata semplicemente ‘spostata’ di tre-quattro metri, ed è stata lasciata, per così dire, in ‘esposizione’, in bella mostra, ‘a spina di pesce’, davanti al piazzale dell’hotel. Un perfetto oggetto del desiderio per i comuni mortali che non se la possono permettere, ma che, ciononostante, inseguono il sogno.
Ed ecco che, pochi metri oltre, compare dal nulla - infatti, forse, non è mai esistita - una coppia, che passeggia e si ferma a osservare, con totale distrazione e noia consolidata, l’adiacente vetrina di Cartier. Lei, settantenne, ma dall’aspetto di una cinquantenne, cammina leggiadra, come fosse su un immaginario cuscinetto d’aria - ma forse il cuscinetto c’è davvero -, e indossa un vestitino rosa quasi trasparente, ma comunque adeguato ai classici ventidue gradi del luogo. Lui, ottantacinquenne, ma dall’aspetto di un sessantacinquenne, cammina a scatti, come se avesse le giunture meccaniche di un androide - e forse le ha davvero, le giunture meccaniche -, e indossa una giacca molto attillata, di lino marrone, e pantaloni chiari fascianti, corti alla caviglia, come usa tra i giovani d’oggi. La porzione di caviglia così audacemente scoperta, rivela purtroppo una pelle biancastra, secca e raggrinzita, ricoperta di un reticolo di venuzze azzurre, come fossero fiumi su una carta geografica. Al polso s’intravede un orologio che potrebbe valere - diecimila euro più, diecimila euro meno -, quanto la Aston Martin Vantage vista poco fa. I due passano davanti a Doppiovubi, che in quel momento diventa -per loro- diafano e dunque del tutto invisibile, anche perché - da previdente e cauto uomo del volgo - egli sta portando al braccio un pesantissimo giaccone totalmente invernale, in quanto, alla rag. Fantozzi, aveva ‘previsto’ di trovarsi in mezzo a para-siberiane tormente di neve, e aveva tragicamente sbagliato tutto. Doppiovubi, a bocca semiaperta (già in quel momento veniva concepito questo post), ruota su se stesso, di centottanta gradi, seguendo, come calamitato, i movimenti della magnetica coppia.
E proprio la visione del dinamico duo ha fatto riflettere Doppiovubi e germogliare le idee che state assimilando.
Anche il duo, nonostante il cuscinetto d’aria e il costosissimo orologio, pagherà (anzi, paga già ora) un prezzo. Il loro ‘guadagno’ è rappresentato dalla vita di gran benessere che stanno vivendo, e che probabilmente vivono da quando sono nati. Il loro ‘Prezzo’, in ultima analisi, è costituito dalla morte, il contraltare della vita, la grande perdita. La grande perdita sta per abbattersi, inesorabile, anche sul dinamico duo, spazzando via tutto.
Potremmo anche chiamarlo il ‘Prezzo’, con la ‘P’ maiuscola.
E tutti noi paghiamo, già ora, il Prezzo. In un gioco di cerchi concentrici, o ‘scatole cinesi’, in ogni cerchio troviamo un piccolo guadagno che otteniamo, che corrisponde a un piccolo prezzo che paghiamo. E a ogni cerchio di diametro più grande, corrisponde un guadagno ancora maggiore e un prezzo ancora maggiore. Fino all’ultimo cerchio, quello dove al grande Guadagno, la vita stessa, corrisponde il grande Prezzo da pagare, la morte. 
In fondo al percorso c’è la cassa, e il cassiere che ci attende, con un sorriso ammiccante, per la riscossione definitiva.
Di fronte allo spauracchio del cassiere, alcuni protestano, con una notevole dose di arroganza e tracotanza: dobbiamo cercare di lottare, dicono, per equiparare il grande Prezzo, che pagheremo, e anzi stiamo già pagando, con la vita che stiamo vivendo; dobbiamo cercare di rendere la vita degna del prezzo-morte; dobbiamo cercare di vivere al meglio, altrimenti, non ne vale la pena.

E allora, con riferimento a questo tema, esistono tre ‘categorie’ di individui, pur considerando che di categorie nette, in natura, non vi è traccia alcuna, perchè vi sono infinite graduazioni e sfumature: si passa da una categoria all’altra senza soluzione di continuità. 
Queste ‘categorie’ rappresentano l’evoluzione umana.

La prima categoria è costituita da coloro i quali non capiscono, né capiranno mai, che si deve verificare sempre, per inviolabile legge di natura, un equilibrio tra guadagno e perdita. Sono coloro che, istintivamente e geneticamente, inseguono soltanto il ‘benessere’ in quanto tale, e che, di conseguenza, ne sono succubi e dipendenti; vedono soltanto 'una faccia della medaglia'. Quando la perdita, ovvero il prezzo, si presentano ai loro occhi, si disperano e si arrabbiano, sono frustrati e delusi, pestano i piedi per terra e inveiscono contro il Sistema, imprecano contro la ‘sfortuna’, e sentono di ‘non meritare’ la 'sofferenza' che li avvinghia. Costoro sono moltissimi, rappresentano la quasi totalità degli esseri umani. Non vedono minimamente il ‘quadro complessivo’. A costoro è dedicata la Prima Parte di questo post.

La seconda categoria è formata da coloro i quali hanno bensì capito, in linea generale, che è necessario e insuperabile l’equilibrio tra guadagni e perdite. Quando la perdita, ovvero il prezzo, si disvela, di norma sono abbastanza preparati a 'fronteggiare' l'evento negativo, ma qualche volta non lo comprendono, non ne sono consapevoli, perchè non avevano colto appieno la correlazione tra guadagno e perdita. In quei casi anche loro si arrabbiano. Ma non si evolvono quasi mai, bensì, quale reazione, combattono, imperterriti, per aggiungere alle loro vite nuovo e ulteriore ‘benessere’, per superare, in un infinito gioco al rialzo, il dolore (che, ineluttabile, li raggiunge), attraverso nuovi momenti di ‘guadagno’, e così lottano colpo su colpo. Costoro, che appartengono a questa seconda categoria, credono di 'aver capito tutto', credono di aver colto il ‘quadro complessivo’, ma in realtà si illudono. La Seconda Parte di questo post è riferibile anche a loro. Il dinamico duo di St. Moritz fa perfettamente parte di questa categoria. Ed è molto difficile che il dinamico duo evolva mai verso la terza categoria. I più ‘ricchi’, tra quelli che appartengono alla seconda categoria, ricevono, accumulano e perpetuano ingenti patrimoni - materiali ed esperienziali -, per lasciarli ai loro figli, e così - vanamente - tentar di vincere la tenzone contro la morte.

La terza categoria è costituita da coloro i quali sono andati ‘oltre’, e hanno capito perfettamente che il cerchio più esterno, formato dalla vita (quale guadagno ‘complessivo’), e dalla morte (come supremo e definitivo Prezzo), è quello che domina, sotto il fondamentale profilo del significato, tutti gli altri cerchi in esso contenuti, e dunque questi ultimi devono giocoforza essere interpretati alla luce del cerchio più grande: il ‘quadro completo’ o ‘quadro complessivo’. Diversamente da quanto meticolosamente spiegato nella Prima Parte di questo post (finalizzata (vanamente) a cominciare a smuovere le coscienze della prima categoria), costoro hanno capito che la scelta ‘giusta’ non è la singola scelta, la piccola e speciale scelta che si presenta a ogni bivio, a cui deve corrispondere la consapevolezza di un guadagno correlato, come se si trattasse di un’equazione, dove a un ‘+1’ che compare a sinistra corrisponde necessariamente un ‘-1’ a destra, per ottenere la somma zero. Costoro hanno capito non solo che l’equazione non può mai risolversi in un guadagno maggiore della perdita, ma anche che l’equazione è inserita in una serie di equazioni sempre più grandi tra loro, fino a raggiungere la Grande Equazione tra vita e morte, dove la morte, quale evento istantaneo, è maledettamente capace di elidere un’intera vita fatta di ipotetici momenti di ‘felicità’. Ma costoro si fermano qui, a questa comprensione, e ritengono che la Grande Equazione non sia superabile. Vedono il quadro complessivo, ma non lo trascendono.

Ma non risponde al vero che le categorie siano soltanto tre.

C’è infatti, e infine, una quarta categoria di individui, composta invero da pochissimi esemplari. Costoro non si accontentano di aver semplicemente compreso che la Grande Equazione è tra vita, come congerie di potenzialità, e morte, come annichilimento di ogni potenzialità. Costoro non cercano unicamente di rendere la vita degna di essere vissuta, in correlazione con il supremo Prezzo. Costoro vogliono superarla, questa Grande Equazione, ed entrare in una logica superiore e folle, assurda per tutti gli altri esseri umani (e infatti ‘gli altri’ li considerano visionari e sognatori), una logica anormale e anomala, per la quale il saldo tra guadagno e prezzo da pagare sia positivo. Essi, come tutti, anelano alla felicità, ma a una felicità duratura, imperitura, e quindi reale (solo ciò è imperituro è reale, il resto è illusorio), non compensata, e quindi elisa e annullata, da un corrispondente dolore. Perchè l’uomo, dicevamo, è sì progettato per anelare alla felicità, ma a quella reale, non a un traballante simulacro di effimera felicità.
All’inizio della Prima Parte, forse lo ricordate, dicemmo che il Sistema, per come è costruito, prevede che sia impossibile non ‘pagare un prezzo’ quale corrispettivo al ‘benessere’ desiderato e (talvolta) conseguito.
La quarta categoria di individui, che pure ha ben compreso questa legge, indissolubilmente legata allo spazio-tempo, arditamente ha deciso di superarla.
Qualcuno disse: “Voi avrete tribolazione nel mondo, ma fatevi coraggio; io ho vinto il mondo”. Tradotto nel linguaggio adottato in questo post, significa che abbiamo la possibilità, unica e irripetibile (la vita è una, dicevamo alla fine della Prima Parte), di andare oltre questo Sistema, e di entrare in un Regno dove sia possibile ciò che qui non lo è in alcun modo, ossia godere di un guadagno immenso, al quale - incredibilmente - non sia correlata alcuna perdita. Un Regno dove, dunque, si possa raggiungere la vera ‘felicità’. Per entrare in quel Regno, quel Qualcuno ha dato istruzioni precise da seguire, a disposizione di chiunque lo desideri.

E se, anche adesso, volete insistere a puntare tutte le vostre fiches sul prossimo hamburger, sul prossimo addominale scolpito, sul prossimo spritz, sul prossimo convegno internazionale di filosofia, o sulla prossima McLaren 720S coupé, fate il vostro gioco, perchè siete ovviamente liberi di farlo. Tanti auguri.

W.B.

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