George e Doppiovubi (2)

Prendiamo un film, un film qualunque.
In relazione al film, esistono varie categorie di 'utenti', che corrispondono a vari 'tipi umani'.
La prima categoria, che è la più ampia in senso numerico, guarda il film, e lo percepisce diciamo 'passivamente'. Si accontenta delle percezioni, in modo meccanico. La domanda che costoro si pongono è: nessuna domanda.

Poi ci sono quelli che vogliono sapere come è fatto il film. Non mi riferisco agli 'effetti speciali' o al 'making of' (categoria di persone che invero sarebbe ampia, e sono i cosiddetti 'curiosi', categoria invero volgare, la 'curiosità' è concetto grezzo e volgare, di infimo livello). Mi riferisco al funzionamento della 'pellicola' (digitale o analogica che sia). Sappiamo infatti che il movimento delle immagini (che è ciò che distingue la cinematografia dalla fotografia, come suggerisce la parola, dal greco 'kinema') è un'illusione ottica data dalla velocità con cui una serie di immagini, quasi identiche tra loro, vengono mostrate in sequenza. L'occhio umano (quindi il cervello, a quanto pare) percepisce un movimento che non esiste (lo scrivo di nuovo, non esiste; lo scrivo ancora per i più distratti, non esiste). Pertanto il film, che è già illusione in senso sostanziale (gli attori fingono di essere qualcosa che non sono, come argutamente rilevò qualcuno otto mesi fa), è anche illusione in senso formale. Una doppia illusione (*). Quanto alla illusione percettiva, fisica, appunto, sono pochi quelli che sono interessati a capire come si giunga a ingannare il cervello (perché di vero e proprio inganno si tratta). Quei pochi comprendono intuitivamente che l'immagine dinamica non può esistere, e si pongono appunto la domanda: come è realizzata la simulazione del movimento? (**)

Poi c'è un ultima categoria di persone, ancora più sparuta, che sono quelli che vogliono capire chi ha ideato l'illusione (non il regista o il produttore, ma l'inventore). La domanda che si pongono è: chi c'è dietro questa illusione? chi ha creato questa illusione?

Tre diversi tipi di spettatori (o, con espressione altrettanto volgare, 'fruitori') del prodotto finale.
L'uomo della strada tocca un oggetto rigido, diciamo un sasso, lo percepisce rigido, e si accontenta della percezione. Non si pone alcuna domanda. Niels Bohr, tra gli altri (tanti), non si accontentava di questa percezione (di tipo neurologico e quindi (***) del tutto illusoria), e voleva capire come è fatta davvero la materia. Poi ci sono altri ancora che, posto che il sasso sembra rigido, ma non lo è, si chiedono chi ha creato il sasso, e (soprattutto) ha creato l'illusione della rigidità della materia di cui è (o dovrebbe essere) composto.
Ecco, di queste quisquilie dovremo parlare.
(segue)

W.B.

(*) Per chi crede nella 'realtà', l'illusione è addirittura triplice, perché l'immagine di una cosa reale è un'illusione in sé, in quanto rappresenta la cosa reale ma non lo è. Per chi non crede nella 'realtà' della 'realtà' (cosiddetto 'immaterialismo'), l'illusione è duplice. Per Doppiovubi l'illusione è duplice.
(**) E' essenziale aggiungere: una volta che hai compreso, la prima volta, che il movimento dell'immagine è illusorio, puoi senz'altro continuare a guardare altri film godendone la trama e l'interpretazione, ma non potrai prescindere mai più dalla acquisizione intellettiva secondo cui ciò che stai guardando è illusorio. La fotografia, in questo senso, è 'meno' falsa. Quando mi riferisco alle modalità attraverso le quali si arriva alla illusione del movimento, mi occupo non solo della costruzione industriale della pellicola, o del Blu-ray, ma altresì di qualcosa di molto più complesso, ossia di come l'occhio trasferisca al cervello informazioni falsate rispetto a ciò che è. La pratica dunque non si può chiudere sbrigativamente leggendo in cinque minuti la voce Wikipedia che parla dei Fratelli Lumiere.
(***) Il 'quindi' è sofferto.

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