Non sono mica rincoglionito, sai.

Pim e Doppiovubi si sono ritrovati d’accordo su un fatto importante. I vecchi – tutti i vecchi, senza alcuna eccezione -, non sono minimamente consapevoli delle loro limitate capacità. Credono fermamente di avere la stessa memoria, la stessa lucidità, gli stessi riflessi di quando avevano sedici anni.
Anzi, spesso pensano di averne in sovrappiù. Forse perché a queste caratteristiche aggiungono la cosiddetta saggezza dell’età. La saggezza dell’età non influisce in meglio sul rincoglionimento. Lo peggiora, proprio nella misura in cui uno crede di non essere rincoglionito in quanto saggio. In genere, il vecchio, quando gli si fa notare che è rincoglionito, reagisce molto male e replica stizzito, Non sono mica rincoglionito. Purtroppo lo è, e alla grande.
Si può concordare sull’ulteriore fatto secondo cui il rincoglionimento sia un processo graduale. Uno non si sveglia una mattina a settantadue anni e improvvisamente, alla Gregor Samsa, si trova rincoglionito, mentre fino alla sera prima aveva i riflessi di James Bond (personaggio che, detto tra parentesi, è un autentico coglione, ma questo è un altro discorso). Un trentenne è più rincoglionito di un ventenne. Un quarantenne è più rincoglionito di un trentenne. Un quarantaduenne è più rincoglionito di un quarantunenne.
In linea teorica, alla fine della lettura di questo post sarete più rincoglioniti di quando avevate iniziato a leggerlo. Più saggi, perché vi siete abbeverati alla sapienza doppiovubiana, ma sicuramente un po’ più coglioni di prima.
Detto questo, l’illusione di non essere rincoglioniti non colpisce solo l’anziano (per questo Doppiovubi ha scelto di usare lo scandaloso termine ‘vecchio’, in quanto relativo; un ventenne è più ‘vecchio’ di un diciottenne, seppur non ‘anziano’), ma tutti indistintamente gli esseri umani (pare, dicono gli scienziati, dai diciotto-vent’anni in avanti, quando la curva delle capacità fisiologiche comincia a calare), seppur in misura diversa. Quindi, tu che stai leggendo, non credere di esserne esente (a meno che tu non abbia sedici anni, ma il target dei lettori di Doppiovubi è molto diverso, sembrerebbe). O meglio, senz’altro credi di esserne esente, come tutti o quasi, ma esente non sei. Ma è inutile che Doppiovubi te lo dica, tanto non ci credi, esattamente come il nonno si mette a urlare e si incazza se gli fai notare che ha perso le chiavi (sei tu che mi hai messo confusione in testa, io non perdo mai niente).
Facciamo un passo avanti, ma prima sgombriamo il campo da un equivoco. E’ vero che l’esperienza, in parte (minima), può compensare la perdita di capacità cognitive. Col tempo posso perdere un po’ di memoria, ma dato che ho conosciuto le tecniche di lettura rapida, riesco ad apprendere di più.  Col tempo posso essere meno agile, ma riesco a interpretare meglio le situazioni e a essere più efficiente (Lionel Messi gioca meglio ora di dieci anni fa, ma i suoi muscoli e i suoi riflessi sono peggiorati). Col tempo non vedrò arrivare lo scooter che mi taglia la strada inopinatamente, perché i bastoncelli del mio campo visivo sono peggiorati, ma sulla base dei chilometri percorsi, so che può succedere, e in qualche modo sono più preparato. Questo non toglie che il processo di rincoglionimento sia inesorabile. Puoi lottare finché vuoi, ma alla fine dovrai arrenderti. Tanto vale arrendersi subito.
Se è vero, come è vero, che chiunque, in qualunque momento della sua vita, sta subendo gli effetti devastanti del tempo sulle proprie capacità, ecco che emerge un ulteriore elemento di riflessione importante. Dato per scontato che ciascuno pensa di avere ragione, e di essere migliore dell’altro (dato inspiegabile razionalmente – non esiste un motivo razionale per cui uno dovrebbe ritenersi migliore di un altro -, ma dato reale), il paradosso socratico, So di non sapere, si rivela di una portata molto più estesa di quanto non sembrerebbe.
Non solo l’uomo dovrebbe sapere di non sapere, ma dovrebbe ammettere e riconoscere il costante deterioramento delle sue facoltà, come pure l’ontologica piccolezza e ridicolaggine delle sue facoltà. I migliori, appunto, sono quelli che sono consapevoli della loro pochezza, dei loro limiti. I migliori sono quelli che riconoscono il fatto di essere i peggiori, e di essere peggiorati, e di peggiorare. I migliori sono quelli che hanno dubbi, ansie, paure e insicurezze, sempre maggiori col tempo. I migliori vedono in loro stessi la polvere di cui sono fatti, la loro caducità, il loro destino di nullità e morte. I migliori sono quelli che non si sentono in grado di giudicare gli altri, e più il tempo passa, meno li giudicano. I migliori sono quelli che piegano la testa di fronte alla critica altrui, riconoscendola come vera, o quanto meno possibile, o verosimile. I migliori sono i mansueti, e aumentano la loro mansuetudine con il passare del tempo. I migliori sono quelli che si accorgono di non ricordare le cose, e di ricordarne sempre meno, e non lo nascondono. I migliori sono quelli che ammettono di non capire e di non essere all’altezza, molto meno di un tempo. I migliori non fingono. I migliori si sentono inadeguati, sanno di avere torto più di quanto hanno ragione. I migliori sanno di non essere niente e nessuno, e di esserlo sempre meno.
E i migliori sanno che stanno costantemente peggiorando, senza rimedio. Sino alla fossa.
Conosci te stesso, uomo. Conosci te stesso. Il limite, i limiti. Il limite fisico intrinseco, che hai dalla nascita – causato dallo spazio, dalla materia e dalla sua estensione -, e l’altro limite, dell’entropia, del secondo principio della termodinamica, della disgregazione, quello cronologico – il tempo, che passa – che ti fa peggiorare, rispetto a quello che eri e rispetto agli altri.
Ammettilo, uomo. 
Gli ultimi, solo così, saranno i primi.

- Nonno, non hai capito niente. Guarda cos’hai combinato…
- Hai ragione. Sono completamente rincoglionito. Perdonami.

W.B.







Commenti

Anonimo ha detto…
“Tanto per cominciare si dovrebbe iniziare morendo, e così il trauma è bello che superato.
Quindi ti svegli in un letto di ospedale e apprezzi il fatto che vai migliorando giorno dopo giorno.
Poi ti dimettono perché stai bene e la prima cosa che fai è andare in posta a ritirare la tua pensione e te la godi al meglio. Col passare del tempo le tue forze aumentano, il tuo fisico migliora, le rughe scompaiono.
Poi inizi a lavorare e il primo giorno ti regalano un orologio d’oro.
Lavori quarant’anni finché non sei così giovane da sfruttare adeguatamente il ritiro dalla vita lavorativa.
Quindi vai di festino in festino, bevi, giochi, fai sesso e ti prepari per iniziare a studiare. Poi inizi la scuola, giochi con gli amici, senza alcun tipo di obblighi e responsabilità, finché non sei bebè.
Quando sei sufficientemente piccolo, ti infili in un posto che ormai dovresti conoscere molto bene.
Gli ultimi nove mesi te li passi flottando tranquillo e sereno, in un posto riscaldato con room service e tanto affetto, senza che nessuno ti rompa i coglioni.
E alla fine abbandoni questo mondo in un orgasmo”.

Ronin
Anonimo ha detto…
A leggere questo post pare che Doppiovubi voglia emanciparsi dalle certezza delle conseguenze della vecchiaia, quasi che il conoscere il proprio limite e dichiararlo costituisca di per sé esperimento catartico di eternità. Eppure che miglioria ci sarebbe da una constatazione di povertà se ad essa non è legato nulla che riguardi un cambiamento successivo? Come dire, a che serve scoprire che l'acqua di una fonte è gelata, quando vi si deve lavare un neonato? Ecco che, dalla constatazione deve ben procedere il cambiamento, così che il neonato non abbia un padre scellerato che non lo lava per povertà di mezzi, credendo che l'aver guadagnato la consapevolezza del freddo definisca il suo compito. Dalla conoscenza del limite deriva il meglio se si cerca l'aiuto per svolgere il proprio compito, se si riconosce che soli si è sempre manchevoli, che occorre la fatica di trovare nuovi mezzi, ma che da ultimo ci è chiesto di provvedere comunque, anche quando è evidente i limite. Affidarsi, per operare meglio, per riconoscere il dovuto, e scaldare l'acqua per il bagnetto. Nello scambio di battute finale, scelto da doppiovubi, c'è la consapevolezza del nonno, ma non il paziente e garbato aiuto del nipote, né l'attenzione all'oggetto del problema che li ha divisi. Si può andare oltre tale vanità?

Paolo
Anonimo ha detto…
http://www.youtube.com/watch?v=aeXimAQazbk
Anonimo ha detto…
E' però vero - e credo non si possa negare - che la vita ci assegna un compito assai curioso, ovvero quello di essere "di più" proprio nel momento in cui sei "di meno".

Così quando hai energie, fisico e motivazioni per fare tardi la sera e non ti spaventano il buio, l'inverno, nemmeno senti il richiamo della fame, sei nell’età in cui devi ubbidire a una mamma/nonna/parente anagraficamente maggiore di te che ti intima di tornare a casa che è ora di cena.

Invece sono quelli gli anni preziosi, e non basta che a capirlo ci sia chi li ha già - ahimè - lasciati alle spalle: in una sorta di rito cinico, di vendetta postuma e trasversale, anche se sai quanto sia prezioso quel quarto d'ora da cui ti strappano ad amici, alla conta del nascondino, al muretto dove c'è quella che inizia ad avere quell'accenno tremendo e irresistibile di quelle che più avanti chiamerai senza ritegno tette...

....ecco, quando chi ti chiama SA che quel quarto d'ora o più è prezioso e irripetibile per l'intera vita, è tanto più rigoroso nel chiamarti all'ordine al rispetto delle regole, all'imperativo "devi imparare".

con il senno di poi, quello che ci renderebbe tutti scienziati se l'avessimo prima, verrebbe da dire senza mezzi termini "me ne sbatto delle regole, della cena, e pure dell'ordine.”

ma sappiamo tutti per esperienza vissuta che le cose poi non vanno così, e che alla fine tutti abbiamo mangiato senza convinzione il minestrone o la minestrina risucchiando dal cucchiaio mentre mentalmente eravamo prima ancora su quella biglia che non andava in buca e poi su quel paio di tette (mentalmente c'era la deroga anagrafica a chiamarle già con il loro nome) che avevamo lasciato in entrambe i casi a metà.

magari - ancora più tortura nella tortura - in balìa di quelli più grandi che invece non avevano l'obbligo dell'adunata.

questo pistolotto per dire quanto in gioventù in realtà si finisce con il vivere la vita allo stesso modo di come la vivrebbe Alonso se gli dessero da guidare il carrello della spesa invece degli ottocento cavalli.

hai voglia a dire che è giusto e che si fa così.

lo inizi a capire in quell'età di mezzo, che non è quella stabilita da Dante che con le logiche odierne avrebbe fatto fallire l'INPS (meglio, soldi risparmiati, ma abbiamo fiducia che non manca molto) ma è posizionata almeno un decennio più avanti.

nel mezzo del divario tra la minestrina-gusto-tette e questo upgrade del "mezzo del cammin di nostra vita" c'è la tragicità di questo ragionamento ancora più acida e cinica.

possibile?

certo che si può.

per prima cosa ti sfranchi almeno legalmente dai lacciuoli gerarchici della famiglia e ti becchi quella fase in cui sei un perfetto minchione - diciamo le cose come sono - ma sei convinto di essere tu, veramente tu, il vero padreterno che il mondo non ha ancora incontrato.

e qui quella categoria di saccenti "ti insegno io le regole" in modo molto bastardo - sempre per dare alle cose il colore che meritano - svaniscono.

nessuno ti spiega che sei, appunto, un minchione come tanti altri tuoi più o meno coetanei.

dicono sommessamente (e rigorosamente tra di loro a bassa voce ché tu non senta) che "si sta facendo le ossa", che "è l'età" e altre amenità del genere.

(segue)
Anonimo ha detto…
non uno che ti dica chiaramente, che tu sia maschio o femmina, "figlio mio, spassatela adesso e sbattitene le balle di tutto e tutti perché questa età non te la ridà più nessuno"

e no, "loro", il KGB degli equilibri del mondo, i portatori sani di regole&disciplina che pure e prima di te si sono persi lo spettacolo, e potrebbero metterti in guardia dalla reiterazione dell'errore, tacciono.

anzi, sviano, ti ricordano che domani c'è da svegliarsi presto quindi non fare tardi.

ti iniziano a volteggiare come avvoltoi ventilandoti con le ali quel concetto di "mettere la testa a posto" che consta nel pratico di due sostanziali palle al piede.

che - dando loro retta - nei due terzi dei casi in capo a poco si uniscono, soprattutto nel genere maschile, alle altre due fornite di serie dal progetto divino - che forse non era casuale - e sostanzialmente sono, in ordine vario ma improcastinabile:

- compra casa (e fatti il mutuo)
- sposati

da decidere cosa vuoi fare prima, ma sta di fatto che dando retta ai famigerati consigli, che scoprirai solo dopo essere più subdoli di quelli per gli acquisti che dava Costanzo, ti ritrovi a spendere la parte più preziosa e irripetibile della tua vita dietro a questi due capisaldi del compiacimento materno/paterno/familiare.

Per questo molti in quella fascia venti/quaranta finiscono con l'ammazzarsi chi di lavoro, chi di studio per meglio lavorare e posizionarsi socialmente dopo, chi di straordinari, chi si mette cappi al collo con corde che sarebbero buone per la Costa Concordia e inizia a calibrare la propria esistenza nella misura in cui riesce a soddisfare contemporaneamente banca per il mutuo, finanziaria-per-la-cucina. finanziaria-per-la-macchina.

Siccome (e ti hanno insegnato che siccome non si dice ma sai che c'è? chissenefrega) spendi le energie fisiche e psichiche dietro a questo tour de force impossibile e barbaro, poi c'è da dire che anche quella a cui le tette che sognavi durante la minestrina nel frattempo sono cresciute, ti ha pure graziato del fatto che te le ha fatte vedere.

e le "attenzioni" che tu, giorno dopo giorno, fine settimana dopo fine settimana, mese dopo mese, invece che strepitose opportunità che da piccolo ti saresti sognato di avere, diventano barbare pretese.

in realtà vorresti dedicarti anche a qualcosa di tuo, chessò, il Milan, la Formula Uno, l'hobby che ti appassiona, poi si, anche le tue tette cara, ma cerca di capirmi...il mutuo, la rata uno, la rata due, il dentista...

la proprietaria delle tette, di regola non capisce.

questo processo di auto alienazione volto ad auto annullarsi e a far si che i famosi "migliori anni della nostra vita" diventino solo il tempo di una centrifuga di cose, persone, giorni, ferie-ad-agosto etc etc. pare nella maggior parte dei casi inevitabile e assolutamente seriale.

giungendo, quindi, alla famosa soglia di cui si è già detto, nella posizione in cui nel migliore dei casi ti sei costruito una scorza dello spessore della proboscide di un elefante su occhi e orecchie, tale per cui riesci a sopravvivere alle parole di quella che nel frattempo è diventata a tutti gli effetti coniugue, ma non solo.

riesci, ad esempio, ad abbozzare addirittura interesse e compiacimento quando la di lei madre - altrimenti detta suocera - spara le sue immancabili cazzate per le quali la risposta migliore sarebbero due mani da camionista al collo.

reggi nientemeno che pranzi domenicali dove padre/fratello/parenti della coniuge andrebbero polverizzati con il Napalm e congedarti dicendo con convinzione "è stato un piacere"

arrivi a quella soglia anagrafica dove il mutuo se non è finito è diventato l'equivalente di una pizza per quattro, della macchina non te ne frega più nulla (tanto hai una lei che regolarmente se corri dice che ha paura, quindi che ti frega della 200 cavalli Euro5?), la cucina può anche andare benissimo così per tutta questa era geologica...

(segue)
Anonimo ha detto…
...e tu sei stanco.

li vedi quei ventenni, quei trentenni che il sabato paiono radioattivi dall'energia che hanno addosso.

e inizia a darti fastidio il loro caciare, le loro risate, il fatto che "loro" stanno vivendosi quella vita che per te inizia a essere non esattamente un passato - ché farebbe tanto anzianità dirlo - ma percepisci senza mezzi termini che per te si tratta di pagine già girate.

quando si legge un libro che rapisce pare ci sia un invisibile magnetismo che ti porta a voltare pagina dopo pagina con la voracità di voler arrivare alla fine, di sapere, di capire, di scoprire.

quando poi arrivi all'ultima riga sei si soddisfatto, ma onestamente vorresti pizzicare quà e là parti del racconto, ma non sai esattamente a che pagina sono, te le ricordi, le hai presenti, ma sono - appunto - passate, nel mucchio.

così capita quando sei a....quaranta? quarantacinque?

vecchio non sei vecchio, ci mancherebbe.

ma la moto - che magari sognavi da ragazzino e nel frattempo ti sei concesso - inizia a farti venire il mal di schiena.

se ti chiedono di tirare l'alba poi il giorno successivo sei sotto anestesia.

la fila in autostrada "tra Bologna e Rimini Sud" inizia a essere motivo per ricorrere al Lexotan.

cose così.

quelle che in quell'età d'oro in cui ti sei speso come un matto per fare quello che "andava fatto" e per "mettere la testa a posto" sarebbero sembrate bazzecole, motivi per farci una risata, opportunità per bivaccare con gli amici, adesso paiono fatiche di Ercole.

Non sei vecchio, ma sei maturo, termine che dice tutto e niente e che dovrebbe essere più che un inevitabile traguardo - laddove inevitabile non l'ha stabilito proprio una cippa di nessuno - dovrebbe, questo si, essere un'opzione.

a una certa età quando si è genitori andrebbe detto al proprio erede: senti un po', le strade adesso sono due, o ti ammazzi di impegni, preoccupazioni, scadenze, debiti, rotture di palle varie, compromessi, sacrifici e incazzature per i prossimi venti venticinque anni e alla fine però diventi MATURO...

...oppure caro il mio giovane virgulto puoi scegliere di vivertela.

tanto hai talmente tante energie, vitalità, forza, determinazione ed entusiasmo che puoi decidere ogni giorno di cambiare rotta.

però ricordati, ecco questo si che sarebbe un discorso onesto, che POI quando ne hai 40/45 ti piaccia o non ti piaccia qualcosa per scollinare l'altra metà della strada te la devi inventare, ma intanto....goditela! che io non l'ho fatto e Dio solo sa quanto mi mangio le mani.

Allora si, allora andrebbe bene - caro Doppiovubi - che uno arrivi, chessò, sui quarantaquattro che in quanto numero doppio è anche simpatico, e INIZI a fare qualcosa per vivere dignitosamente gli altrettanti (si presume) anni che ha davanti.


(segue)
Anonimo ha detto…
è pur vero che nel frattempo non avrebbe arricchito lo Stato con un quarto di secolo di tasse e contributi, magari avrebbe solo preso beni e servizi come una estensione metaforica di un allattamento sine die.

ma tranquilli, adesso, sazi appagati e ubriachi di VITA spesa alla come andava di viverla, adesso mi metto dietro buono buono a fare qualsiasi cosa, anche debiti se serve.

adesso si che guarderei queste folle con la metà dei miei anni con l'arguzia e il sottile compiacimento di chi sotto la barba (grigia) dice "e adesso vediamo come ve la cavate voi, bastardi..." ma detto con affetto si intende.

di arrivare poi in fondo alla vita, ma pure iniziare prima del fondo come ben sappiamo, a essere rincoglionito, mi andrebbe anche bene.

pago di ogni giorno indimenticabile, e non di una massa informe di anni che devi scoprire solo da qualche tabulato, che devi mettere a fuoco per ricordarti perché monocolore, a quel punto di rincoglionirmi sarei anche contento.

forse - e ovviamente dico forse ché tutto questo sproloquio è un gigantesco punto esclamativo che assalito da dubbi e perplessità ha piegato la schiena diventando interrogativo - ci sono due tipi di vecchi rincoglioniti.

quelli che usano la psiche, la forza dell'ipocondria applicata al massimo livello, per "sopportare" una vita che non è stata la loro, vissuta al contrario rispetto a come avrebbero voluto e forse potuto, e allora per non incazzarsi ogni santo giorno che ancora Dio gli impone su questa terra preferiscono assentarsi mentalmente quà e là, anche in forma continuativa coordinata alle volte, per reggere alla cosa.

e quelli rincoglioniti perché sazi, quelli che le hanno provate tutte, ché pure se la sono prima spassata, poi si sono fatti i loro anni di presunta maturità e adesso sono semplicemente pile scariche, treni in prossimità del capolinea, che ridacchiando sotto i baffi (bianchi, nel frattempo) un po' lo sono e un po' ci fanno per vedere, come direbbe Jannacci, l'effetto che fa.

Io non so Lei, egregio Doppiovubi, come ritiene di essere arrivato alla scollinata della sua vita.

quello che posso dire è che mi e Le auguro di arrivare a essere due rincoglioniti alla Keith Richards, che seppure un giorno non capisse più nulla non penso si porti nelle nebbie dell'oblio e della demenza qualche cosa che non ha fatto in tempo a fare.

Buon sano rincoglionimento!

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