Idee ottime.


Come molti sanno, di recente Anders Behring Breivik è stato condannato a ventuno anni di carcere per avere ucciso settantasette persone (1).
Il Tribunale norvegese – sulla base di una perizia psichiatrica - ha stabilito che Breivik è “sano di mente” (2).
In altre parole, Breivik sarebbe “normale”. Doppiovubi, invece, ingenuamente, dava per scontato che Breivik fosse anormale. Era normale che fosse anormale. E’ anormale che sia normale.
La decisione scandinava spariglia le carte e costringe Doppiovubi ad annoiarvi.
Delle due l’una: o il Tribunale ha sbagliato, e quindi Breivik è pazzo, oppure il Tribunale non ha sbagliato, e quindi, per l’appunto, Breivik è normale (2bis). Magari un po’ malvagio e originale, con idee non proprio condivisibili, ma normale. I suoi cento miliardi di neuroni funzionano bene, come quelli di tutti gli altri esseri umani. L’hardware è ok. La scheda madre funziona. L’hard disk non ha bad sectors.
Quale sarebbe il motivo, allora, per cui Breivik uccide settantasette persone e il portinaio di Doppiovubi si limita a uccidere, seppur con gusto, le zanzare dentro la sua guardiola con il VAPE o con Leggo?
Il motivo risiede nella storia di Anders, da quando - primo fotogramma - è uscito dalla sua mamma, abbagliato dalla luce della sala-parto, a quando ha finalmente imbracciato il fucile mitragliatore il 22 luglio dell’anno scorso. Se il portinaio di Doppiovubi avesse avuto la stessa storia di Anders – sin nei minimi dettagli – adesso sarebbe lui a mostrare il pugno chiuso in aula e a scusarsi per non avere ucciso di più.
Quindi Breivik è come il portinaio di Doppiovubi. Ha avuto solo una storia diversa (3). E’ il software inserito nel tempo (ovvero, l'esperienza individuale) nella struttura mentale di Breivik – struttura che abbiamo detto essere regolarmente funzionante – ad aver generato l'errore, e l’orrore.
Ritorna alla mente il Brandon Shaw di “Nodo alla gola”, di quel diavolo di Alfred Hitchcock (4). Anche perchè l’argomentare finale del professor Rupert Cadell - l’ottimo J. Stewart, le cui occhiate sono incredibili per intensità - non convince. Invece le tesi omicide propugnate per gioco (per gioco?) sul divano, sorseggiando un drink, in realtà reggono proprio perché l’uomo è così, l’uomo è intrinsecamente malvagio. Rupert chiama la polizia – sparando dalla finestra – perché la società esige questo.
Senza i freni della società, senza la cultura, senza Dio – osa aggiungere Doppiovubi - saremmo circondati da nugoli di Breivik.
Ritorna alla mente la depravazione totale del calvinismo.
Ritorna alla mente In cold blood di Truman Capote, e comprendiamo l’interesse dello scrittore per la strage di Holcomb.
Ritorna alla mente Caino.
Come ci ricorda James Hillman, il generale Patton, attraversando il campo di battaglia cosparso di morti e feriti, tra sangue e dolore, disse “Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita”.
Siamo tutti Breivik. Forse con il punto la frase è troppo forte e per qualcuno suonerà offensiva. Doppiovubi la riformula: siamo tutti Breivik?
Ma Doppiovubi vi tranquillizza, state sereni, non è così, è molto meglio pensare che Breivik sia pazzo, sia anormale, e il Tribunale norvegese abbia sbagliato tutto.
Senz’altro è così. Sicuramente.
Riprendiamo, tranquilli, le nostre vite normali.

W.B.

 
(1) Circa tre mesi di carcere per ogni individuo ucciso.
(2) Dovremmo poi capire se lo psichiatra che ha confezionato la perizia sia normale, e non pazzo a sua volta; per scoprirlo dovremmo sottoporre lo psichiatra a perizia psichiatrica, e anche il secondo psichiatra, alla Escher, dovrebbe essere esaminato, e così via, all’infinito.
(2bis) Doppiovubi copia e incolla: “Ora basta - dice il giudice Elisabeth Arntzen alle cinque e mezzo del pomeriggio - basta, signor Breivik: perchè lei non è pazzo, è un terrorista, un criminale, uno che ha ammazzato 77 norvegesi; che si merita i 21 anni di carcere, il massimo della pena, e nemmeno adesso mostra pietà”. La giudice Arntzen esige che Breivik, in quanto “normale”, dimostri “pietà”.
(3) Non ci addentriamo nel melmoso territorio delle cause in virtù delle quali la storia di Breivik è stata diversa, e in particolare se Breivik abbia scelto per sé una storia diversa, perché altrimenti entreremmo nell’inestricabile ginepraio dove le parole-chiave sono destino, libertà e colpa. Di fatto, Breivik ha avuto una storia diversa.
(4) E di Patrick Hamilton, autore della commedia da cui è tratta la sceneggiatura, che a sua volta si ispirò al caso reale dei due studenti assassini, noto come “Leopold and Loeb” (1929), caso che ci ricorda vagamente un certo Scattone e un certo Ferraro.

Commenti

pim ha detto…
troppa carne al fuoco, professore.
Anonimo ha detto…
Il succo del problema è stato affrontato già con grande attenzione da H. Arendt ne "La banalità del male" a proposito di Eichmann. Ecco, magari da lettore affezionato gradirei leggere un contributo che sveli qualcosa di più del rapporto tra giustizia e irriflessività nella condizione postmoderna. E credo che l'analisi dovrebbe farsi più tecnica, dato che i lettori ritengono senz'altro di avere a che fare con un campione dello studio della forma in rapporto alla giustizia. Mastro Doppiovubi, qui i lettori pretendono il massimo...

Paolo

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