Fondata sul lavoro.

Ieri mattina sono passato sotto l'ufficio dell'amico, nonché collega, Marco P., perché eravamo d'accordo sul percorrere insieme un certo tratto di cammino verso una comune destinazione.
Ho premuto, con vigore, il pulsante sul citofono.
Mi ha risposto, con energia: “scendo subito”.
Ma ormai lo conosco abbastanza bene, e so che la sua attenzione è ineluttabilmente catturata dalle contingenze. E' questo a cagionare i suoi abituali ritardi. Inoltre, dato che la temperatura era sotto lo zero, ho ritenuto di andargli incontro, e di ripararmi, così, nell'androne.
Per evitare perniciose correnti d'aria, mi sono spinto sino alla cosiddetta “guardiola”.
Dentro la guardiola era il portinaio (*) dello stabile.
L'uomo, seduto alla sua scrivania lignea, era intento a compilare la “Settimana enigmistica”.
Era interamente concentrato nell'operazione di natura cerebrale, tanto da non accorgersi minimamente della mia presenza, nonostante rientrassi in pieno nel suo campo visivo.
Lo osservo da anni. Di norma, se non si dedica ai cruciverba, studia integralmente la “Gazzetta dello sport”. Se le condizioni meteorologiche sono favorevoli, si reca sul portone (**), a crogiolarsi al sole, socchiudendo felinamente le palpebre, e lì scambia qualche parola, per ingannare il tempo, con la portinaia dello stabile adiacente.
Entrambi sono affetti da obesità grave.
Capita, di frequente, che i due si spostino, con andatura caracollante, sino al bar, per una pausa lavorativa.

E' prassi consolidata quella secondo cui, in occasione delle festività natalizie, si elargisca una “mancia” a ogni portinaio, quale giusta integrazione dello stipendio e della tredicesima mensilità.

W.B.

(*) Pare che ai tempi attuali i “portinai” si risentano, se vengono chiamati così. Sembra che sia più opportuna la dicitura “custode”. Tale espressione, che ovviamente richiama il “custodire”, non è tuttavia adeguata all'attività svolta in concreto da questa “figura professionale”. Per questo motivo insisto nell'uso del termine tradizionale.
(**) Si veda la nota precedente.

Commenti

pim ha detto…
il portinaio dello stabile ove esercito la mia attività professionale (uso questa lunga allocuzione in luogo de "il mio portinaio", che avrebbe suggerito simpatia per chi propende per lo sfruttamento dell'uomo sull'uomo) è, per la mia esperienza, l'uomo che lavora meno al mondo. in cinque anni non gli ho mai visto compiere alcuna delle attività per le quali è stato assunto e percepisce lo stipendio.
ma non solo. egli trascorre molte ore (dico molte ore) della giornata "lavorativa" a dormire, la testa reclinata sorretta dalla mano destra, il gomito poggiato sulla scrivania, nel locale guardiola a lui assegnato.
non pulisce, non smista la posta, non custodisce.
naturalmente non legge alcun giornale e non perde tempo a risolvere problemi enigmistici.
però quando arrivo, tutti i giorni che arrivo, mi dice "ooooh, buongiorno avvocato", e la cosa mi inorgoglisce assai e mi solleva dalla sgradevole visione delle scale sozze.

ma la cosa che volevo dire è un'altra.

sono convinto che l'uomo sia un po' il lavoro che fa.
tu, per esempio, o l'amico marco p. con i suoi pipistrelli urlanti, non avreste mai potuto fare il portinaio.
oppure pensa, per esempio, al vigile urbano.
chi sceglie di fare il vigile urbano?
chi ama girare col pistolino e la divisa, e schiacciare il cranio altrui con il libretto delle multe, la paletta e lo stivalone.
ecco perché i vigili sono tutti uguali, cioè stolidi, ottusi e ignoranti. ecco perché i portinai non hanno voglia di lavorare.
se uno ha voglia di lavorare non fa il portinaio. se il tuo lavoro consiste nello stare per sette ore fermo a guardare la gente che passa devi essere uno che gli piace stare fermo, anche comodamente, senza far niente.
altrimenti, visto che, e non mi si venga a dire il contrario, uno può scegliere di esercitare professioni equivalenti alle sue qualità, uno sceglierebbe di fare l'idraulico, l'agricoltore, l'operaio specializzato, insomma lavori in cui il fatto fisico interviene.
W.B. ha detto…
Caro amico,
visto che non la smetti più di chiedermi perché non commento il tuo commento - che giudichi sublim - vado a commentare il tuo commento.
In effetti quello che dici è giusto.
Si sarà notato che tendo, ultimamente, a non esprimere più opinioni, ma mi limito, quasi del tutto, a raccontare fatti.
Certamente mi si può obiettare, tu scegli certi fatti e non altri, e questa scelta è già un'opinione (argomento vecchio, di stampo giornalistico).
Eppure i fatti sono fatti.
Condivido le tue opinioni, in particolar modo sono affascinato dalla ulteriore qualifica sonora attribuita ai chirotteri di Marco P.
W.B.
Anonimo ha detto…
in ogni caso, è il caso di ricordare che il lavoro non è un valore.
e così, ecco liquidato il mélange ideologico che portò alla redazione della carta tanto cara a oscar luigi

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