Della spiegazione degli eventi e dei comportamenti.

Quando cerchiamo di capire il motivo per cui è accaduto un evento, normalmente, in un'ottica finalistica, guardiamo al risultato dell'evento occorso. Guardiamo proprio a quell'evento.
Similmente, quando una persona compie un atto - un comportamento, in genere, che può essere anche un comportamento comunicativo - per comprendere il motivo che ha mosso l'individuo ad agire così, guardiamo all'atto compiuto, e ai suoi effetti specifici.

In realtà, tutte le volte in cui accade un evento, si può osservare lo stesso positivamente, ma lo si dovrebbe osservare anche - e soprattutto, se non altro per una questione numerica - negativamente. Un evento NON è la serie infinita di eventi che sarebbero potuti accadere al suo posto in quel momento, e che non sono accaduti. La nostra visione limitata ci spinge a chiederci perché stamane ci siamo svegliati con il mal di schiena, ma non ci porta a chiederci in quali infiniti altri modi ci saremmo potuti svegliare, o non svegliare affatto.
Così, quando una persona compie un atto, per bene interpretarlo occorre anche guardare a ciò che non ha fatto, e non limitarsi a ciò che ha compiuto. In tali omissioni, se consapevoli, e a mio parere spesso lo sono - basti pensare alla sottile distinzione tra menzogna e parole volutamente omesse - spesso riusciremo a trovare la spiegazione del comportamento altrui.

In sostanza sto parlando del vuoto. I rumori, i suoni, ci sono perché c'è il silenzio, tutto attorno. Le forme esistono perché c'è lo spazio. Il male esiste perché c'è il bene.

W.B.

Post scriptum: mi rendo conto che l'ultima affermazione, quella sul bene e sul male, potrebbe ricordare Walter del Grande Lebowski, che infilava il Vietnam in ogni discorso, anche in occasione della dispersione delle ceneri di Donny, Donny che amava il bowling, nell'oceano. Ma, credetemi, non è così.

Commenti

Unknown ha detto…
Il procedimento adottato è alquanto complesso, e comporta il rischio di ragionare per ipotesi, dimenticando la realtà. Il metodo più completo ed efficace per comprendere un motivo alle spalle di un comportamento, a mio sommesso avviso, è l'indagine sul significato dello stesso comportamento per mezzo di parametri etici e morali di riferimento atti a discernerlo. Ritengo che ogni azione razionale sia allo stesso tempo morale, da qui la necessità di compiere questa valutazione. Inoltre, in tema di eventi, preferisco un metodo "olistico", capace cioè di fornire più punti di vista sul fenomeno, alla ricerca dell'approssimazione migliore alla realtà, secondo il modello già elaborato da Mannheim e Scheler, e tenendo ferma la premessa sulla verità e il suo rapporto con la conoscenza che già ho avuto modo di esporre al titolare dell'hp per email alcuni mesi orsono.
W.B. ha detto…
Non c'è dubbio che il procedimento adottato sia alquanto complesso. Esattamente come è complesso dire che il procedimento è alquanto complesso, anziché dire che il procedimento è abbastanza complesso.
Unknown ha detto…
La differenza esiste, invece. La scelta di un sinonimo di minor uso comune in un contesto espositivo ampio, implica l'aggiungersi di un'esigua complessità verbale, che però non modifica il senso complessivo di quanto si è inteso affermare. Un procedimento complesso per l'interpretazione del comportamento umano, che sottenda ai rischi evidenziati potrebbe comportare una modificazione del senso complessivo, anche in modo radicale.

Doppiovubi, questa marginalità delle Sue considerazioni di fronte al proposito di rilanciare qualche pensiero su argomenti elevati mi è "alquanto" nuova.
W.B. ha detto…
Mi sono permesso di cancellare il penultimo commento di Paolo, in quanto frutto di un piccolo errore di quest’ultimo.

Il mio commento era ironico e bonario. Non aveva alcun intento sarcastico.
Qualora Paolo si sia offeso, gli chiedo perdono.
Non ce n’era motivo.

Il mio commento, nonostante la sua ironicità, non è affatto “marginale”.
Mi spiego.
La forma - che è segno - viene prima della sostanza, sia logicamente, sia cronologicamente (ciò con riferimento alla mente del destinatario del messaggio linguistico; nella mente del mittente, è esattamente il contrario: là dapprima sorge un’idea che successivamente prende forma nel linguaggio).
La sostanza risente della struttura della forma.
Una risposta ai due ultimi commenti di Paolo avrebbe richiesto un previo, meticoloso, lavoro di “smontaggio” della forma, alla ricerca del significato.
Meticoloso, ma infruttuoso.
Farò un esempio.
Egli ha scritto:
“Il metodo più completo ed efficace per comprendere un motivo alle spalle di un comportamento, a mio sommesso avviso, è l'indagine sul significato dello stesso comportamento per mezzo di parametri etici e morali di riferimento atti a discernerlo”.
L’autore di questa frase, ne sono realmente e precisamente sicuro, aveva bene in mente i concetti che voleva esprimere.
Tuttavia, con la migliore buona volontà, io dovrei tradurre la frase che precede come segue:
“se voglio capire perché Tizio ha compiuto l’azione x, devo studiare l’azione x”.
E fin qui giriamo in tondo.
Il punto essenziale, dunque, è nella risposta a questa domanda: COME dovrei studiarla, l’azione x?
Risposta di Paolo: “per mezzo di parametri etici e morali di riferimento”.
Il perno della frase riguarda proprio gli “strumenti di indagine”.
Se dovessi usare un marcatore giallo, metterei in evidenza due parole: “per mezzo”.
Paolo dunque scrive che gli “strumenti d’indagine” sono i “parametri etici e morali di riferimento”.
Ma “quali” parametri di riferimento?
I miei, di me, che sto compiendo l’indagine, oppure i suoi, quelli di Tizio, che ha compiuto l’azione?
Chi può dirlo? Forse sono quelli di Tizio – è probabile che lo siano. Ma è solo probabile. E se anche fossero quelli di Tizio, come posso conoscerli?
Non c’è modo di capire a chi appartengano – secondo Paolo - questi “parametri etici e morali”. Quindi non c’è modo nemmeno di capire quali siano.
Allora, proprio Paolo, il quale inizialmente mi scrive che non bisogna incorrere nel “rischio di ragionare per ipotesi”, proprio lui, che mi ammonisce sul punto, formula idee che possono essere interpretate in un modo, ma anche in un altro.
Aggiungo che i suddetti “parametri etici e morali” sarebbero atti a “discernere (il motivo, n.d.r.)” (credo che si tratti del “motivo”, anche se il pronome è più vicino a “comportamento”).
Quindi, superato l’ostacolo costituito dalla interpretazione della paternità dei parametri (e non parliamo del contenuto dei parametri), e ancora grondante di ambiguità, dovrei usare quegli stessi parametri per “discernere” (parola che ha almeno due significati diversi).
Si noti, questo criterio dovrebbe essere semplice, mentre il mio era complesso.
Può ben darsi che il criterio indicato da Paolo sia semplice.
Ma lo era quando viveva nella sua mente. Uscitovene, pervenuto nel mondo della “realtà”, a cui lo stesso Paolo dichiara di attenersi con rigore, diventa incomprensibile. Quindi, inutile.
A questa stregua, come posso rispondere seriamente a Paolo, nel merito, se non sono nemmeno sicuro di avere bene interpretato il suo pensiero?
Non sarò tanto ipocrita da dire: “probabilmente non sono all’altezza di capire il pensiero di Paolo”, perché credo che il pensiero di Paolo, per la forma con cui è stato espresso, sia stato oggettivamente ambiguo.
Credo che sia una forma di rispetto nei confronti dell’interlocutore quella di tradurre le proprie idee – che in origine non sono niente altro che cellule neuronali eccitate elettricamente – in una forma tale da poter essere decodificata dal destinatario.
Dunque, penso che la mia ironia in tema di complessità non fosse affatto “marginale”.
O mi sbaglio?
Con immutata stima.
W.B.
Unknown ha detto…
Doppiovubi, non ho trovato nulla di offensivo nel Suo commento, così come non ho trovato utile ad alcuno l'ironia ivi espressa. Occorre ammettere che quanto riferisce in termini di difficoltà nella decodificazione del messaggio era aspetto sottaciuto nel precedente intervento, né era possibile compiere interpretazioni estensive a partire dall'ironica analisi di un singolo vocabolo (almeno mi lasci affermare di non essere dotato di questa capacità deduttiva, senza pretesa di indicare elementi formali oggettivi di incomprensione nel Suo scritto).

Da qui la mia semplice perplessità: per quanto possa essere considerato povero e ambiguo il mio primo commento, poneva un embrionale problema metologico, che Lei poteva semplicemente non prendere in considerazione, cassare con poche parole, o valutare di approfondire. Così si è prodotta la mia considerazione sulla marginalità di un commento che non ho trovato pertinente a nessuna delle opzioni sopra evidenziate, a differenza del Suo secondo intervento.

Ribadisco i dubbi legati al metodo d'indagine suggerito nel Suo post. E' un procedimento indiretto e per questo comporta l'aggiungersi di ipotesi che altrimenti possono essere evitate: ciò basta a definirlo "complesso"; inoltre, poiché indiretto, devia dalla realtà fenomenica in quanto tale. Quanto basta, a mio avviso, almeno a definirlo "rischioso", rispetto agli obbiettivi posti.

La cosa che non ha contestato e che do per pacifica, salvo eventuali nuove Sue considerazioni, è la (da me ritenuta) necessaria distinzione tra comportamenti ed eventi, rispetto all'approccio conoscitivo. Dove è coinvolto un comportamento umano, vi è una dimensione morale che lo rende distinguibile da tutti gli altri fenomeni in cui non interviene l'arbitrio. Data per buona questa premessa mi presto ad aggiungere qualcosa a quanto espresso nel primo commento per provare a renderlo meno ambiguo.

Ritengo che il comportamento umano sia conoscibile nella misura in cui si riesca a ricondurre ad una scelta morale distinguibile nella sfera soggettiva dell'attore, secondo la premessa per cui ogni azione razionale sia anche un'azione morale (per questo rimando alle teorie di Pizzorno, nel suo libro, Il velo della diversità). E' chiaro che questa operazione richiede, in chi osserva, un parametro universale di giudizio. Questo parametro è riconducibile a sua volta in una scelta morale, questa volta dell'osservante. Poiché non ho fondamenti individualistici nella valutazione dei comportamenti, ritengo vi sia una morale e un'etica superiore ad altre.

Di tutto questo, però, abbiamo già approfonditamente parlato, così come del problema della verità e della sua conoscibilità (in tema di fenomeni).

La prego di non essere così prudente nell'esporsi con me. La stima non comporta dichiarazioni d'intenti, casomai fatti che inducano conseguenze positive da essa. Poca o tanta che sia, se ne possiede per qualcuno e crede sia fecondo il suo intervento, la faccia fruttare sempre, a costo di risultare incompreso. E' chiaro che Le sono grato per aver messo a fuoco l'incompletezza di quanto espresso in prima battuta, tuttavia non ritengo che l'errore formale o l'ambiguità possano costituire mancanza di rispetto per l'interlocutore, se (come in questo caso) trattasi di elementi posti nel quadro di una dialettica in itinere, che possono essere migliorati e resi più chiari semplicemente discutendone. Questo purché ci si lasci "ferire", senza aspettative che non siano legate a se stessi.

Cari saluti.

Paolo

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