Giocando pigramente con dei sassolini.

Ogni santissimo giorno, anche se non avrebbe voluto, sbatteva violentemente la sua faccia davanti alla prova, sempre più inconfutabile, del fatto che tutti gli esseri umani, nessuno escluso, trascorrono la loro intera esistenza impregnati di un egoismo senza limite. Quando questa constatazione era riferita agli altri, ciò lo colmava di tristezza e amarezza. Quando invece era rivolta a se stesso - perchè lui sapeva bene di non costituire per niente un'eccezione a questa regola – ciò lo rendeva rabbioso. La tristezza si approfondiva e la rabbia montava quando Doppiovubi rifletteva su questa sua convinzione, cioè che la regola, la norma per l'uomo, ovvero il suo stato naturale, è quello di essere profondamente egoista, mentre Amore rappresenta una vera e propria eccezione, verso cui è difficile tendere, e in ogni caso bisogna esercitare un conato, uno sforzo cosciente e costante per nuotare contro la corrente, perchè il fiume degli istinti ti spinge inesorabilmente verso la tua di sopravvivenza, e per di più a scapito dell'altro e spesso con la sua sopraffazione, verso il soddisfacimento dei tuoi propri desideri, verso il tuo proprio godimento, ed ebbe un bel predicare Gesù, quando invitava ad amare il prossimo, e Doppiovubi avrebbe voluto essere lì a parlargli, per chiedere a lui, nella sua privilegiata qualità di sedicente figlio di Dio, qualche necessario chiarimento. Ed ecco che Doppiovubi decise tosto di partire, e in pochi attimi catapultò la sua mente duemila anni indietro, nel centro di Gerusalemme. Aveva previsto di materializzarsi in un luogo molto silenzioso, di raccoglimento, e invece capitò nel bel mezzo di un mercato, dove il rumore era assordante. Cercò Gesù con lo sguardo, dopo tutto non avrebbe potuto non vederlo, perché c'era andato apposta, con la sua mente, proprio per incontrarlo.
Eccolo là.
Lo vide in un angolo polveroso, seduto per terra, appoggiato a un muretto di pietre, intento a giocherellare pigramente con dei sassolini. Accanto a lui, un giovane che sonnecchiava.
La cosiddetta iconografia classica lo aveva sempre dipinto con tratti eterei, una tunica candida, un corpo magro e alto, un viso bello e regolare, una barba lunga e con riflessi dorati. Una figura divina, appunto.
Al contrario, Gesù era grasso, e vestiva una tunica lercia. Emanava un odore sgradevole. Portava sì la barba, ma corta, ispida e mezza imbiancata. Il volto aveva lineamenti rozzi. Sembrava un delinquente. Per un istante un pensiero terribile attraversò la mente di Doppiovubi, forse non avevano tutti i torti a condannarlo, pensiero che scacciò subito con riluttanza.
“Ciao, Gesù.”, disse Doppiovubi.
Gesù alzò lo sguardo su Doppiovubi, gli sorrise e lo salutò calorosamente.
“Sei davvero così, come ti vedo, o sei così soltanto nella mia fantasia?”
“Ero davvero così, Doppiovubi. Perché, come pensavi che fossi?”
“Ti immaginavo alto, biondo, con la tunica linda…”
“Lo so, come mi immaginavi, così mi hanno sempre immaginato quasi tutti.”
“C’è un problema, Gesù. Se tu sei quello che sei - e lo sei, credo - dovresti sapere già, in anticipo, tutto quello che sono venuto a chiederti. E allora perché dovrei chiedertelo, perché non mi rispondi direttamente?”
“Perché questo dialogo dovrà essere scritto. E chi lo leggerà non potrà comprendere le risposte, senza aver letto le domande. Ma andiamo a parlare tranquillamente sotto quel sicomoro.” (n.d.r.: nella prima versione di questo dialogo con Gesù, Doppiovubi scrisse che Gesù, allontanandosi verso il sicomoro, disse al giovane vicino a lui: “Pietro, tu resta qui.”, ma poi questo inciso fu cancellato in quanto considerato come una vera e propria banalità; sappiamo peraltro con una discreta certezza che Pietro si trovava davvero lì, con Doppiovubi e Gesù; anche il dettaglio del sicomoro fu dapprima eliminato, per poi essere aggiunto nuovamente, in virtù di tutta una serie di motivazioni che non è opportuno illustrare qui).
Doppiovubi fece finta di capire dove fosse il sicomoro. Non aveva alcuna idea di come fosse fatto un sicomoro. Così trotterellò dietro a Gesù, che ridacchiava tra sè, perché conosceva, e per di più in anticipo, tutto quello che passava nella mente di Doppiovubi.
E Doppiovubi sapeva che Gesù sapeva.
Era imbarazzante. Doppiovubi, con uno sforzo di lucidità, cominciò a bella posta a far scorrere rapidamente centinaia di immagini casuali nel cervello, alcune per la verità anche schifose od oscene, giusto per dimostrare a Gesù di avere in qualche modo il controllo della situazione, pur essendo sotto costante osservazione.
Gesù guardò Doppiovubi negli occhi, e sorrise con furbizia.
“Dunque, Doppiovubi, so che sei venuto qui da me per chiedermi per quale motivo l’uomo è stato creato egoista e non naturalmente altruista. Te lo sei chiesto per l’ennesima volta nella tua piccola cucina, domenica sera, durante il GR1 che non stavi ascoltando. Così hai deciso di compiere questo bizzarro viaggio.”
“Esattamente, Gesù.”
“Tu, quindi, credi che l’uomo sia stato creato naturalmente egoista?”
“Sì, lo credo. Non è così?”
“Difatti è proprio così, Doppiovubi. Quello che in senso molto lato – con te posso parlare chiaro, soprattutto qui - potremmo anche chiamare nostro padre, in effetti ha creato l’uomo naturalmente egoista.”
“Tu vai predicando da sempre che dobbiamo amare il prossimo come noi stessi.”
“E’ vero. Lo predico continuamente.”
“Questo significa che dovremmo amare il prossimo, infatti è un comandamento. E significa che per natura, spontaneamente, non lo amiamo. Significa ancora che Dio non ha predisposto l’uomo per amare il suo prossimo, ma per amare soprattutto se stesso.”
“E’ così. Se tu fossi stato Dio, come avresti creato l’uomo?”
“L’avrei creato naturalmente altruista. Pensa che bello, Gesù, un mondo in cui tutti si amano, dove tutti pensano al bene del prossimo prima che al proprio. Dove se tuo fratello ti chiede la tunica, tu gli dài spontaneamente anche il mantello, senza che ci sia bisogno che un Gesù venga ad ammonirci di farlo.”
“Se l’uomo fosse stato naturalmente altruista, non sarebbe mai stato possibile quello che dici. Mio fratello non mi chiederebbe la tunica. Perché penserebbe che è meglio che io la tenga per me. Starebbe al freddo, piuttosto. Ma a quel punto io spontaneamente gli darei la mia, di tunica, perché anch’io sarei altruista. E lui proverebbe dolore, perché mi vedrebbe privo della mia tunica. Un mondo di sofferenze indicibili.”
“Non ti posso confutare, Gesù, anche perché questo dialogo l’ho inventato io. Entrerei in contraddizione con me stesso.”
“Infatti, non mi puoi confutare, ma non per il motivo che hai detto. Ma lascia che ti dica: tu sei qui, in questa tua vita, per compiere esperienze. Una di queste è l’amore verso il prossimo, la negazione del sé – negazione che effettivamente è contro natura - per la felicità di tuo fratello. E l’esperienza profonda consiste nel transitare da uno stato di egoismo, imperfetto, a uno stato di altruismo, perfetto. Se Dio avesse creato l’uomo naturalmente altruista, questa esperienza meravigliosa sarebbe stata impossibile. Dio non avrebbe nemmeno creato l’uomo, in quel caso. La creazione sarebbe stata un atto inutile. L’uomo vive davvero e conferisce un senso alla sua esistenza soltanto se esce dal sé e si muove verso l'esterno, verso l'altro da sé. Lo stesso atto creativo – la stessa energia, l'esplosione, anche quella primigenia - è un atto che ha una direzione precisa, dall'interno all'esterno. Lo stato dell'uomo, egoista, è invece contrassegnato dal movimento degli elementi esterni verso il sè. Va in senso contrario rispetto all'atto creativo, e non può creare felicità. E' comunque un'esperienza, necessaria anch'essa, che però consente, potenzialmente, l'attuazione dell'altra esperienza di cui parlavamo prima, l'esperienza di quello che convenzionalmente chiamiamo amore.”
“Gesù, toglimi una curiosità, visto che siamo qui.”
“Dimmi, Doppiovubi, se posso, volentieri.”
“Ma tu sei veramente il figlio di Dio, o sei solo un illuminato?”
“Tutt'e due le cose insieme. Io l’ho detto tante volte. Siamo tutti, per usare la tua espressione, figli di Dio. Solo che alcuni, come me, lo sanno, altri no.”
“Eppure, come ti ho detto prima, questo dialogo l’ho inventato io. Quali garanzie ho che quello che dici sia giusto e vero?”
Gesù guardò Doppiovubi negli occhi, e sorrise con furbizia.

W.B.

Commenti

Unknown ha detto…
Vedo una tensione alla ricerca di senso nei rapporti umani in questa ricostruzione, con tutte le difficoltà del caso, visto che l'appello all'immaginazione non manca. Mi permetto di pensare che questo tentativo sia molto intimistico e poco relazionale, nonché implichi anche una scarsa fiducia verso il discernimento secolare delle fonti e in generale verso un discorso di sviluppo storico e "comunitario" del rapporto di Dio con gli uomini, a vantaggio di una visione più elettiva. Con tale espressione intendo dire che questo Gesù ha caratteristiche che permettono al suo creatore di accomodare tutto ciò che egli non giustifica sotto un piano di pieno autocontrollo, rispetto alla sua ricerca di miglioramento nell'etica personale che egli già conserva come irremovibile. Così Gesù diventa illuminato (o forse "iniziato"...) e Dio insieme, retore che sonda per fini di non immediato servizio nella mente altrui e insieme però amante dell'uomo. Insomma non più "Via, Verità e Vita", ma solo uno come tanti, che però ha scoperto la via, verità e vita, estranee a sé. E in effetti questo Gesù fittizio, senza le sue qualità primarie e intrinseche più importanti, che si conoscono per disposizione relazionale ed esistenziale oltre che per ragione, non può che essere brutto, e non certo il "bel pastore" dai tratti sindonici. Inoltre, contrariamente al passo evangelico citato, questo Gesù è perfino incapace di mostrare all'esperto di legge che con il pieno dominio della sua filosofia senza un'esperienza esistenziale non separata, a sciogliere ogni riserva, è impossibile una strada di ricerca di miglioramento. Questo Gesù per forza sorride di furbizia, cos'altro può fare?

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