La paura del buio
Il
mostro è dunque – come dice la Dariona - uno
che fa il buio, cioè qualcosa che genera
paura.
Se una
chimera ti si avvicina facendo le fusa, non la consideri di certo un mostro.
Gli è
che ciò che devia dalla normalità, il diversissimo,
spaventa. Spaventa perché il cervello non è abituato a catalogarlo come abituale. E ciò che è diverso potrebbe
essere potenziale fonte di pericolo. Non hai esperienze, non conosci quello che
potrebbe accadere.
E’
l’ignoto che genera paura. E’ quello che non conosci, che temi (*).
E’ per
questo che la Dariona chiama mostro “ciò che fa il buio”. Dentro il buio non
sai cosa si cela. Per questo il buio fa paura (**).
Quando
hai razionalizzato l’anomalo – che sia Shrek, Goldrake, Renato Brunetta o la
chimera – non ne hai più paura, l’anomalo diventa normale.
(segue)
W.B.
(*) Sul
punto vanno fatte due osservazioni importanti. La prima. Quello che per definizione non conosciamo è quello
che, nemmeno volendo, possiamo conoscere. A ben riflettere, l’uomo non può
conoscere solo un’entità: quella situata nel futuro. Il futuro è inconoscibile, per quanto l’uomo cerchi di
imbrigliarlo (cfr. la statistica e il calcolo delle probabilità). Proprio
perché è inconoscibile, e quindi sconosciuto al massimo grado, il futuro fa
paura. Di qui l’ansia e la preoccupazione per il domani. Se sapessimo
esattamente che cosa ci aspetta domani – per averlo visto, come in un film –
non saremmo preoccupati o in ansia. Al più saremmo tristi e addolorati, se si
tratta di un evento negativo, o contenti e gai, se si tratta di un evento
positivo. La seconda osservazione. Un modo importante per vincere la paura di
un entità è conoscerla, studiarla, esaminarla, farne esperienza. Se hai paura
dei ragni, il modo migliore per debellare questa paura consiste nello studiare
la vita dei ragni, nei minimi particolari. Non si arriverà ad amarli, forse, ma
probabilmente la paura cesserà. Se hai paura di parlare in pubblico, l’antidoto
è farne esperienza, buttarsi a capofitto nel problema e parlare in pubblico
appena ti è possibile.
(**) Uno
dei miei incubi ricorrenti, da bambino, che mi ha accompagnato per anni, è il
seguente. Mi trovo solo in casa. C’è il buio. Mi avvicino all’interruttore
della luce, di una stanza in particolare. Lo premo e non succede niente. Ne
provo un altro. Nulla. In tutta la casa manca la corrente. Da una stanza – la
stanza che temo, completamente oscura – sento che qualcosa mi afferra, e mi
trascina nel buio. Io lotto disperatamente, ma la cosa mi avvinghia ed è
irresistibile. Sono terrorizzato, perché
nel buio non so cosa c’è. Col tempo poi – negli anni – l’incubo si è in certo
qual modo evoluto. Mi trovo in un qualunque ambiente, e cerco di accendere la
luce. Quando mi accorgo che la luce non si accende, realizzo che a) il format
della cosa che mi avvinghia e mi trascina nel buio sta per accadere; b) si
tratta di un sogno; c) cerco di svegliarmi dal sogno e in genere ci riesco
prima che la cosa cominci a
trascinarmi.