Ne basta una punta
Giovanni
G. mi guardò con schifo e riluttanza. Poi mi disse la frase che mi si è
scolpita nel cervello:
“… ma perché devi costringere i tuoi genitori
a sprecare i soldi?”
Ricordo
perfettamente ogni sillaba, ogni tonalità di ogni sillaba, come se mi venisse
pronunciata ora nelle orecchie.
“… ma perché devi costringere i tuoi genitori
a sprecare i soldi?”
Quella
frase, in quanto pronunciata da G.G., mi ferì in profondità.
Fu come
se egli mi avesse infilato in gola una granata a frammentazione, e questa fosse
scesa fin nello stomaco, e laggiù fosse esplosa, sparando chiodi e metallo
negli organi interni.
Sta
esplodendo tutt’ora.
Non ha
ancora finito di esplodere.
L’umiliazione.
L’insegnamento. Il tono professorale di uno che sapeva. L’ammaestramento sul tema del denaro, il tema più delicato nei
rapporti tra me e G.G.. E in più, io che sarei stato colpevole nei confronti dei miei genitori. Come se proprio lui, e i suoi genitori, nel sottrarre ricchezze immense alla Società civile, e quindi
anche alla mia famiglia, non avessero colpe.
Come se risparmiare su un ricciolo
di dentifricio potesse spostare gli equilibri economici della mia famiglia,
quando mio padre tornava alle undici di sera, e usciva alle quattro di mattina,
per fare gli straordinari per
riuscire a pagare il mutuo su una sola
casa.
Io e mia
sorella non avevamo una camera nostra.
Io e mia
sorella dormivamo in sala.
L’umiliazione
svaporò in rabbia, la rabbia svaporò in odio.
Detta la
fatidica frase, prese il suo spazzolino
– estratto da una bustina di plastica nuova di zecca e che non sapeva di alcool
– e con tono sapienziale mi disse Guarda
come si fa, ne basta una punta.
Con un
abilissimo gesto da primario chirurgo spinale premette il tubo con delicatezza
e precisione a un tempo, e sullo spazzolino si depositò dolcemente una minima
quantità esatta di dentifricio,
frutto di chissà quanti anni di pedagogico esempio del suo - sorridente e buono
- papà dentista.
Ecco, vedi, ne basta una punta.
(segue)
W.B.